Bruno Munari, un designer, un artista che non ha mai perso lo spirito di esplorare e stupirsi su ciò che lo circondava. Spesso ripeteva «i bambini di oggi sono gli adulti di domani». Un bambino creativo è felice così come un adulto quando può risvegliare la propria creatività.
La maggior parte dell’impegno di Bruno Munari è espresso in questa frase: «Siccome è quasi impossibile modificare il pensiero di un adulto, noi ci dovremo occupare dei bambini. Saranno gli uomini e le donne che formeranno la nostra prossima società futura. Sono già qui adesso, hanno 3, 5, 7 anni.
Propongo quindi di allestire, in tutti i Musei, alcune salette come laboratori per bambini, dove questi possano andare a giocare con l’arte visiva» Era una considerazione degli anni’80 del secolo scorso e se guardiamo attualmente i Musei, spessissimo troviamo stanze dedicate alle attività per bambini e bambine. Fu un precursore.
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Ma perché tanto interesse per il mondo dell’infanzia? Munari scelse di lavorare anche con i bambini affinché ne crescano di migliori. È una strategia rivoluzionaria quella di lavorare sui e con i bambini come futuri uomini. Il suo sogno era quello di promuovere una società fatta di uomini creativi e non ripetitivi. Un progetto di vita che ha contribuito a rendere l’artista nei suoi ultimi anni sereno e fiducioso, consapevole di avere gettato semi fecondi.
Nato nel 1907 a Milano e cresciuto in una piccola cittadina del Veneto, trascorreva molte ore ad ammirare il funzionamento degli strumenti e si immergeva nella natura con tutti i sensi. Era un bambino contemplatore attivo e attento del movimento: dall’azione dell’acqua e dell’aria alle suggestioni potenti della Materia e la sua trasformazione.
Una capacità che saprà poi trasformare in creazioni artistiche. Anche da quella esperienza di bambino, così come la frequentazione degli artisti futuristi, Munari ha saputo trarre insegnamenti che lo hanno portato a sviluppare la curiosità e a sperimentare e vedere la nascita di qualcosa che non c’è e andare oltre a quello che si fa normalmente. Secondo Munari durante l’infanzia la conoscenza della realtà che ci circonda avviene istintivamente mediante attività che gli adulti chiamano gioco.
Tutti i ricettori sensoriali sono aperti per ricevere dati: guardare, toccare, sentire i sapori, il caldo, il freddo, il peso e la leggerezza, il morbido e il duro, il ruvido e il liscio, i colori, le forme, le distanze, la luce, il buio, il suono e il silenzio tutto è nuovo. Tutto è da scoprire e il gioco favorisce l’apprendimento. Il gioco fa parte dell'arte dell'educare e sicuramente “giocare è una cosa seria”. Poi si diventa adulti, si entra nella società e uno alla volta si chiudono i ricettori sensoriali.
Non impariamo quasi più niente, usiamo solo la ragione e la parola e ci domandiamo: quanto costa? A cosa serve? Quanto mi rende? E si finisce per non usare più il naso e gli orecchi, perché non badiamo più al rumore e agli odori. L’artista probabilmente continua a chiedersi, a volte con una certa preoccupazione, come sarà l’uomo del futuro. Si adopera per inventare e interpretare attraverso il linguaggio artistico che ha affinato, è colui o colei che più si avvicina allo spirito del bambino.
Sappiamo bene: “da cosa nasce cosa” e il mestiere di progettare deve tenere presente tutti i recettori sensoriali. Il linguaggio tattile è la prima forma di comunicazione del bambino, è un linguaggio di amore e di conoscenza, ma a differenza degli altri sensi, comporta infatti un contatto con altri corpi e materie, fonte non solo di conoscenza, ma anche di piacere. Munari, formatosi all’interno del gruppo dei futuristi, prende in esame l’educazione al tatto (ricordiamo F.T. Marinetti con il Manifesto del Tattilismo del 1921).
Realizzò su tavole di legno, dei libri tattili con vari materiali come carte vetrate di varia finezza, sughero, corde, metallo, pelle e pelliccia così da offrire diverse sensazioni visive e tattili e indica anche i tempi di lettura (lento, forte, veloce, velocissimo), come fosse una partitura musicale. Nel 1954 vince il premio Compasso d’oro con un progetto, commissionato da Pirelli: il Gatto Meo e la scimmietta Zizi, dei simpatici pupazzetti. Nel 1976 Munari progetta il Messaggio tattile per una bambina non vedente.
Il Messaggio, con le sue continue sorprese, riprende l’idea già espressa dall’artista con la Tavola Tattile, un’opera d’arte da percepire con il tatto, indispensabile per un non vedente, ma altrettanto importante per i vedenti. Sono i libri plurisensoriali chiamati Prelibri, sono libri-oggetto, senza parole, senza testo, sono oggetti comunicativi, sperimentati in tutte le loro possibilità e non solo in rapporto al testo che le pagine possono contenere.
Adatti a bambini che ancora non sanno leggere, ma che sono lì presenti con tutti i sensi, curiosi, con la voglia di scoprire cose nuove e di fare le cose che fanno i grandi. Sono libri con stimoli visivi, tattili, sonori, termici e materici, pieni di sorprese. Fatti per immaginare, fantasticare ed essere creativi. I Prelibri, in particolare quelli tattili, sono dunque frutto delle esperienze culturali e artistiche associate ad un’attenta osservazione e frequentazione dei bambini e a una profonda conoscenza della psicologia infantile.
All'esperienza visiva della texture, con qualità di lucido o di opaco, si affianca l'esperienza tattile legata al senso della morbidezza o della durezza, oltre alle fustellature e le pieghe. Nasce così il libro pensato per i bambini ma che seduce anche gli adulti, perché corrisponde ad un bisogno formativo nuovo, basato sui principi di relazione e intelligibilità. In questo senso i libri di Munari stimolano la crescita e il cambiamento in rapporto alla molteplicità dei punti di vista, nel superamento degli stereotipi comportamentali e cognitivi.
Per i più avventurosi poi inventa un Libroletto. Ma che cos’è? Un libro o un letto? È un libro abitabile progettato da Munari con Marco Ferreri nel 1993 è formato da sei cuscini di materiali diversi di cm. 70x70. Le brevi frasi del testo sono scritte sul bordo del cuscino, non c’è un inizio o una fine e le pagine si possono staccare dal libro per comporre storie sempre nuove. Vanno poi ricordati il suo vocabolario dei gesti, il linguaggio delle posate, gli straordinari libri illeggibili. Libri e giochi, secondo l’artista, devono essere trasformabili e manipolabili, spesso non finiti, perciò da completare in piena libertà.
Giochi per una esperienza sensoriale globale, che abituano il bambino a divertirsi ed esplorare l’immaginazione e la sensibilità. I bambini devono essere stimolati a crescere liberi da stereotipi, a sviluppare tutti i sensi e a scoprire il senso della vita. Negli anni ‘90 prendono campo le iniziative denominate “Giocare con Munari”.
Erano Laboratori dove un piccolo ma ricco mercato di materiali stravaganti posti su tavoli/bancarella erano esposti per essere poi trasformati in opere d’arte. In quel periodo mi è capitato di partecipare in un laboratorio “liberatorio” (così veniva chiamato) alla presenza di Bruno Munari1.
Mi trovavo al Museo di Arte contemporanea Peccei di Prato, dove adulti e bambini potevamo manipolare molti materiali con diverse caratteristiche materiche, cromatiche, termiche, di peso, di forma, di struttura, una sorta di campionario. L’idea munariana era di combinarle assieme per formare qualcosa che non si sa cos’è. Eravamo liberi di creare lasciandosi suggestionare dalle varie qualità dei materiali, dalle forme, dai colori, dal peso e dal tatto, nel modo più spontaneo possibile.
I materiali potevano essere combinati per contrasto o per affinità, potevano essere combinati per colore, per peso etc. allo scopo di creare composizioni secondo la propria sensibilità. Sempre senza pensare all’arte ma al gioco, a una specie di ginnastica mentale che, grazie al caso, permetteva combinazioni stimolanti per la fantasia. I bambini sono molto attratti dalla quantità e dalla varietà dei materiali disposti sui tavoli e ben divisi per categorie, dove è vietato non toccare.
Vorrei sottolineare l’importanza della disposizione dei materiali per stupire, per suscitare curiosità e far venire la voglia di fare. Promuovere la scoperta di cose nuove favorendo la conoscenza e stimolare il pensiero progettuale creativo sono tra gli obiettivi principali dei laboratori del metodo Munari. Il primo momento è dedicato all’ esplorazione e alla scoperta dei vari materiali. Si conosce con tutti i sensi. All’adulto spetta aiutare i bambini a dare un nome giusto alle cose: così si allarga la loro conoscenza.
Munari stesso si lasciava attrarre da alcuni materiali che lo incuriosiscono e iniziava a giocare felice accanto ai bambini che lo osservano con attenzione, imparando cose nuove. La capacità progettuale è un’abilità radicata nell’essere umano, è una caratteristica comune a tutti. Ogni persona sa ampiamente progettare, indipendentemente dal suo grado di istruzione. La differenza tra chi è stato o non è stato addestrato al progetto è minima.
Le specifiche, ma sempre delimitate, conoscenze tecniche e culturali di un progettista riconosciuto ovviamente integrano e completano la sua capacità innata comune a tutti che però già in sé corrisponde quasi totalmente all’abilità di progetto. Ogni giorno ci troviamo di fronte a molti problemi e quella che operiamo costantemente, usando la nostra capacità di imitazione dell’esistente assieme alle esperienze del passato, è una rapida scelta della soluzione migliore tra una serie di ipotesi.
Quella spinta che mi sembra essere all’origine della nostra abilità di progetto, quella della tensione alla vita. Il metodo Munari si adatta a diversi tipi di problemi, richiedendo di volta in volta competenze diverse ed è adatto tanto per i problemi piccoli quanto per quelli grandi. Esiste una metodologia progettuale per i vari aspetti pratici delle questioni e ha sempre condotto un'incessante ricerca sulle forme della visione e sulle possibilità̀ della percezione ed è considerato un precursore delle tendenze ottiche e cinetiche.
La fantasia viene definita come «tutto ciò che prima non c’era anche se irrealizzabile» si tratta cioè di una facoltà totalmente libera di pensare anche la cosa più assurda e impossibile. L’invenzione invece è «tutto ciò che prima non c’era ma esclusivamente pratico e senza problemi estetici» dunque la realizzazione di ciò che serve concretamente all’uomo senza preoccuparsi del suo aspetto esteriore.
Arriviamo a questo punto alla creatività, definita come «tutto ciò che prima non c’era ma realizzabile in modo essenziale e globale». Siamo nel campo della progettazione, dunque un’applicazione della fantasia che però tiene conto sia degli elementi concreti del problema (come l’invenzione) che di quelli psicologici, umani e sociali.
La creatività è una capacità produttiva dove fantasia e ragione sono collegate per cui il risultato che si ottiene è sempre realizzabile praticamente. L’immaginazione infine è «il mezzo per visualizzare, per rendere visibile ciò che la fantasia, l’invenzione e la creatività emanano». Ora che abbiamo queste definizioni, torniamo a una domanda fondamentale: da dove nascono le idee? Il prodotto della fantasia, come quello della creatività e della invenzione, nasce da relazioni che il pensiero fa con ciò che conosce.
Dunque, alla base di tutto sta la capacità di creare nuove relazioni tra ciò che conosciamo ed è evidente che quanti più dati abbiamo a disposizione, tante più associazioni potremo realizzare. Il problema basilare quindi, per lo sviluppo della fantasia, è l’aumento della conoscenza, per permettere un maggior numero di relazioni possibili tra un maggior numero di dati. La creatività, come uso finalizzato della fantasia e dell’invenzione, si forma e si trasforma continuamente.
Essa esige una intelligenza pronta ed elastica, una mente libera da preconcetti di alcun genere, pronta a imparare ciò che gli serve in ogni occasione e a modificare le proprie opinioni quando se ne presenta una più giusta. L’individuo creativo è quindi in continua evoluzione e le sue possibilità creative nascono dal continuo aggiornamento e dall’allargamento della conoscenza in ogni campo. Una persona senza creatività è una persona incompleta, il suo pensiero non riesce ad affrontare i problemi che gli si presentano, egli dovrà sempre farsi aiutare da qualche altra persona di tipo creativo.
L’estetica di Munari è «estetica della logica», espressione e prodotto di una coerenza formale. Non è emozione violenta, ma sottile piacere della scoperta di quel codice ovvio che detta le leggi attraverso cui la realtà - natura o creazione umana - si esprime e viene percepita nelle proprie componenti: colore, luce, forma, gravità, movimento, scorrere del tempo. La forma dell’opera d’arte, come dell’oggetto di design, nasce dall’osservazione della regola della natura, dallo studio delle leggi matematiche, dall’indagine del funzionamento di una macchina, dalla scoperta dei codici della comunicazione.
Compito dell’artista è svelare queste regole, queste costanti, portarle alla luce in tutta la loro potenzialità espressiva. Non attraverso l’amplificazione e la ridondanza della materia e della forma, ma tramite un processo di riduzione e scarnificazione che recuperi la radice di un’essenzialità.
Pertanto, conservare lo spirito dell'infanzia dentro di sé per tutta la vita, vuol dire conservare la curiosità di conoscere, il piacere di capire, la voglia di comunicare, ben esprime la sua filosofia di vita e costituisce uno degli obiettivi più importanti che si prefiggono i laboratori: aiutare i bambini a non perdere il senso della curiosità.
Perciò è importante sviluppare e approfondire il tema della polisensorialità. Invece di fare lunghe spiegazioni è preferibile far vedere come si fa con azioni-gioco percepibili attraverso i sensi. Azioni-gioco alla scoperta di come utilizzare in modo non convenzionale materiali e strumenti.
Con il gioco il bambino partecipa globalmente, al contrario, se ascolta si distrae perché continua a pensare ad altre cose. Compito dell’educatore è dare ai bambini tutte le informazioni di tipo tecnico, senza suggerire temi già predisposti dagli adulti. Interviene solo se è necessario.
È utile e interessante osservare le azioni e il gioco dei bambini quando sperimenta o crea qualcosa di nuovo. Infine, la frase che più mi colpisce di Bruno Munari è: “Non bisogna mai copiare per imbrogliare, bisogna copiare per capire. In questo caso copiare vuol dire imparare a fare, ma ognuno di voi deve realizzare una propria idea personale che non sia copiata.”