Sentenza storica - okmugello.it
Con la sentenza n. 94 del 2025, la Corte Costituzionale ha introdotto un importante cambiamento nel trattamento previdenziale degli invalidi civili: anche chi rientra interamente nel sistema contributivo ha diritto a un assegno ordinario di invalidità almeno pari al minimo vitale fissato per legge. A oggi, si tratta di 603,40 euro mensili.
Fino a questa decisione, chi aveva iniziato a lavorare dopo il 1996 — dunque soggetto esclusivamente al sistema contributivo introdotto dalla legge Dini — poteva ritrovarsi con una pensione d’invalidità inferiore alla soglia minima, perché calcolata solo sui contributi effettivamente versati, senza alcuna integrazione da parte dello Stato.
Secondo la Corte, questa disparità non è più accettabile. Il principio affermato è che il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo non può incidere sulla funzione solidaristica dell’assegno di invalidità, il cui finanziamento continua a gravare interamente sulla fiscalità generale. In altre parole, la protezione garantita dallo Stato in caso di grave riduzione della capacità lavorativa non può dipendere unicamente dai contributi accumulati.
Una tutela minima per tutti
Il trattamento di invalidità ordinario è destinato a chi, a causa di patologie fisiche o psichiche, vede ridotta la propria capacità lavorativa a meno di un terzo. È una misura rivolta esclusivamente a persone in età lavorativa e viene riconosciuta previo accertamento medico da parte dell’INPS. Al raggiungimento dell’età pensionabile, l’assegno si trasforma in pensione di vecchiaia.

Per richiedere il beneficio è necessario avere almeno cinque anni di contribuzione e almeno tre anni di contributi versati nei cinque anni precedenti la domanda.
Nonostante la portata innovativa della decisione, la Corte ha stabilito che il nuovo principio varrà solo per il futuro. Nessun ricalcolo, dunque, per gli assegni già erogati in passato a chi è interamente nel sistema contributivo. L’INPS aveva segnalato il rischio di un impatto finanziario insostenibile, qualora venissero riconosciuti anche gli arretrati: una spesa straordinaria che avrebbe potuto mettere in crisi i conti pubblici.
Questa sentenza rappresenta un passo avanti sul piano dell’equità sociale: rimuove una disparità che penalizzava soprattutto i giovani lavoratori e i precari, spesso con carriere discontinue e redditi bassi. Resta tuttavia il nodo della mancata retroattività, che lascia fuori chi negli anni passati ha percepito un assegno inferiore pur trovandosi in analoghe condizioni.
La sfida ora si sposta sul piano attuativo: sarà necessario aggiornare le procedure INPS e informare i potenziali beneficiari del nuovo diritto. Ma soprattutto, si apre un nuovo capitolo nel rapporto tra sistema contributivo e garanzie minime sociali.


