La testomianza, toccante ed a cuore aperto, di come Luca, detto anche Pecchio, vive la sua disabilità. Luca, che presta servizio alla biblioteca comunale di Borgo, in questo lungo scritto autobiografico analizza e riflette sulla sua condizione e sulle difficoltà nei rapporti con gli altri. Un invito a riflettere... per tutti....
Mi chiamo Pecchio (all'anagrafe: Luca Lapi).
Sono nato il 17 Marzo 1963.
Sono giovane?
Penso di sì nella misura in cui lo è, biologicamente, chi ha un'età compresa tra 0 e 50 anni, ma la domanda più importante è, per me, un'altra: mi sento giovane?
Penso di sì, ma temo anche di no, nella misura in cui è giovane chi si sente, psicologicamente, tale, indipendentemente dall'età biologica, a suo agio con chiunque e riesce, spontaneamente, a stabilire con chiunque rapporti di reciproca fiducia che sappiano affrontare, vittoriosamente, la prova del tempo.
Penso di sì perché mi sento, ad es., più a mio agio con chi è, attualmente, coetaneo dei miei genitori, ma la mia predilezione è per gli ultraottantenni (il mio babbo lo è) e, soprattutto, ultranovantenni.
Temo di no perché, salvo poche eccezioni, mi sento più a disagio con chi è più vicino alla mia età, soprattutto, mio coetaneo.
Perché mi sono trovato in queste situazioni?
Sono diversabile (con paralisi agli arti inferiori ed agli sfinteri) a motivo della Spina Bifida e dell'Idrocefalo diagnosticati subito dopo la mia nascita, ma non ho più la Spina Bifida e l'Idrocefalo, oggi, ma la lesione neonatale, la malformazione di cui vivo i postumi.
La Spina Bifida e l'Idrocefalo non sono malattie.
Non sono malato di Spina Bifida e di Idrocefalo.
Non ho la Spina Bifida e l'Idrocefalo.
Ho avuto la Spina Bifida e l'Idrocefalo che, poi, mi ha portato a disabilità più o meno importanti con altre conseguenze a livello neurologico.
Ripeto: perché mi sono trovato in queste situazioni?
Sono convinto di trovare risposta nella diversa sensibilità dei miei interlocutori (femmine e maschi).
I genitori dei miei "amici" restavano, infatti, coi miei e con me senza isolarmi ed io coi genitori dei miei "amici" e coi miei senza sentirmi isolato.
I miei "amici m'isolavano, invece (forse, involontariamente): era ovvio che preferissero giochi motori (corse, pallone, moscacieca, ecc., a cui mi era impossibile partecipare) anziché sedentari (tombola, gioco dell'oca, carte, domino, dama, scacchi).
Occorre, ora, che apra una parentesi sulle mie diversabilità.
L'esperienza che ne è derivata mi ha portato a considerare, inizialmente, questo mio stato un problema con cui sarei stato costretto, per sempre, a convivere e, convivendoci, mi avrebbe portato, spesso, ad autocommiserarmi.
Mi ha portato a non vederne, da piccolo, che i lati negativi: sedia a rotelle, stampelle che consideravo una vergogna, non potere fare ciò che altri potevano quando e quanto volevano, ma l'esperienza che ne è derivata, a posteriori, e sto vivendo, tuttora, salvo piccoli, fastidiosi problemi, mi ha portato a vederne anche i lati positivi: le mie diversabilità possono essere risorse da porre a servizio dei più bisognosi, ricchezze da condividere con tutti.
Mi ha portato, in altre parole, ad intravedere le diverse abilità, apparentemente nascoste nelle mie disabilità: non posso camminare con le mie gambe, ma posso farlo con la mia mente, il mio Cuore e la mia Anima.
Ho scritto:"...STAMPELLE CHE CONSIDERAVO UNA VERGOGNA..." e mi spiego.
Iniziai a camminare con le stampelle, a 11 anni, dopo avere passato i precedenti sulla sedia a rotelle ed incontravo, per la mia città, bambini più piccoli: mi puntavano il dito e, rivolgendosi ai genitori, facevano loro notare, a voce alta, quanto fossi buffo e sembrassi piccolo (a 11 anni) poiché ero e sono, evidentemente, basso di statura, nella parte inferiore del corpo.
Mi vergognavo, davvero, a 11 anni, dinanzi a codeste situazioni.
Pensavo (ignorando, allora, cosa, realmente, avessi) che si trattasse di una situazione provvisoria e che non fossi, ancora, abbastanza, cresciuto per potere camminare.
Ho capito tutto, invece, da adulto, delle conseguenze della Spina Bifida e dell'Idrocefalo: le ho accettate e, grazie alla mia fede cristiana, le ho accolte come doni d'amore misteriosi di Dio Padre, non come Suoi castighi verso di me.
Non mi vergogno più, perciò, incontrando, oggi, sulla sedia a rotelle, su cui sono dovuto ritornare, bambini che si comportano come quelli di un tempo: non provo che dispiacere, non per me ma per codesti bambini che considero insufficientemente educati dai genitori o dalla scuola al rispetto per tutti.
Provo dispiacere, inoltre, per tutti i bambini e adulti che convivono, con disagio, con la loro diversità fisica e che, a motivo delle loro emotività e sensibilità, soffrono dinanzi ad esternazioni, più o meno innocenti, di alcuni bambini verso di loro.
Ho imparato, col tempo, in qualche modo, ad ignorare tali esternazioni, ma penso che molti altri bambini e adulti non ci siano riusciti e mi sento solidale, perciò, con ciascuno di loro.
Non intendo dire che, oggi, quelle esternazioni mi avviliscono, quando dico "...IN QUALCHE MODO...", ma, piuttosto, il constatare che mi piovano addosso in momenti e/o periodi di sofferenza a causa dell'isolamento che mi è stato imposto da chi consideravo amici.
L'ironia è che loro non arrivino ad accorgersi di essere responsabili del mio isolamento.
Si tende a educare, giustamente, scolari e studenti al rispetto verso gli extracomunitari, loro compagni di classe, ma si tende a trascurare l'educazione al rispetto dei diversabili.
Mi chiedo e chiedo, perciò, che si possa fare affinché, un giorno, ciò che ho descritto non accada più.
Appaio, certamente, ossessionato, ma non mi pare esagerato pensare che il dito puntato dai bambini contro i "diversabili" possa diventare, un giorno, senza un'adeguata educazione in merito, una mano che impugna una vera e propria arma pronta a sparare contro chi è colpevole, solo, della sua diversità fisica.
Sono più sensibile verso chi vive situazioni di disagio peggiori.
La percezione della mia sensibilità è stata importante.
Ripeto, infatti, che ho recepito le mie diversità fisiche non più come problemi ma risorse da porre a servizio dei più bisognosi, ricchezze da condividere con tutti.
Altri lati positivi, nella mia vita, sono stati l'Inserimento Terapeutico nella Biblioteca Comunale della mia città e la possibilità, per un periodo di tempo, di guidare un'auto apposita.
Ho contatti quotidiani con molti giovani (studenti universitari, neolaureati) a motivo del mio Inserimento Terapeutico, ma circoscritti tra le mura della Biblioteca: non sconfinano in amicizie al di fuori.
Il risultato è conoscenza reciproca di nome e di vista: nulla più!
Sento lo stimolo a confidarmi con molti, ma ne risultano rapporti alimentati da una parte sola (la mia), un prendere, portare a casa e chiudere a chiave in un cassetto per non pensarci più, rapporti di conoscenza, educazione e gentilezza:"Buongiorno! Buonasera! Buonanotte! e, talvolta, "Buon appetito!": nulla più!
Molti pensano, forse:"Pecchio ci vede in Biblioteca: gli deve bastare!"
Altri frequentano, come me, la Parrocchia, mi vedono in Chiesa e pensano, forse:"Pecchio ci vede in Parrocchia, in Chiesa: gli deve bastare!"
Mi pare, così, che l'amicizia si riduca a misera figura di "dente da togliere", "tassa da pagare", "attività lavorativa" dove si entra in fabbrica, ufficio, Chiesa, locali della Parrocchia e si è amici, si esce e non lo si è più; dove si sta accanto con rassegnazione: non insieme con passione, "qualcosa che si usa e getta", "si prende, porta a casa e chiude a chiave in un cassetto per non pensarci più e si butta via la chiave".
Mi pare, così, che l'essere umano si riduca a misera figura di "macchina erogatrice di servizi" dove i "servizi" erogati dalla "macchina" essere umano si chiamavano "sentimenti".
Mi avvilisce continuare a constatare che con chi frequenta Biblioteca e/o Parrocchia e Chiesa non continui a trattarsi che di rapporti concepiti, portati in grembo per qualche tempo e, infine, abortiti.
Vedo giovani accoppiati in Biblioteca e sposati in Parrocchia ed in Chiesa ed il loro evitarmi mi fa pensare che l'amore che li lega non sia che una maschera sul volto dell'egoismo di coppia.
Mi chiedo e chiedo che si possa fare, perciò, affinché ciò non accada più.
Apro una parentesi.
Ho definito le diversabilità:"RICCHEZZE DA CONDIVIDERE CON TUTTI".
Anche affetto, amicizia ed amore lo sarebbero, ma c'inducono a chiuderci in noi come se temessimo che, condividendoli, possano volatilizzarsi, quando li si prova.
Si degenera, così, da affetto, amicizia ed amore reciproci in egoismo di coppia o, addirittura, di gruppo.
Si degenera da "CONDIVISIONE" in "DIVISIONE".
Dico, alla maniera di Adriano Celentano:"DIVISIONE è lenta e CONDIVISIONE è rock".
"CONDIVISIONE" è assente giustificata a lezioni dell'Università dell'Età Libera della Vita, purtroppo.
Troppi si giustificano: "Sono sano: non ho tempo per malati, per chi abbia difficoltà fisiche; faccio volontariato: non ho tempo per chi ritengo che non ne abbia bisogno; sono studente, studioso: non ho tempo per gli ignoranti; sono lavoratore: non ho tempo per disoccupati, licenziati, pensionati; sono accoppiato, sposato, convivente: non ho tempo per i "single"; sono genitore: non ho tempo per chi non lo è; sono figlio: non ho tempo per gli orfani!"
La "CONDIVISIONE" soccombe quando chiunque abbia responsabilità educative civili o religiose non provvede affinché ciò che ho descritto non accada più.
Chiudo la parentesi.
Mi convinco, infatti, che il mio nascere con la Spina Bifida e l'Idrocefalo e crescere con le loro conseguenze corrisponda a misteriosi doni di Dio Padre che mi svela, di volta in volta, particolari sia negativi, in parte, relativamente, minore, sia positivi, in parte, infinitamente, maggiore.
Non posso che affidarmi a Lui: ne sono contento, ma questa mia dichiarazione m'induce a continuare a riflettere.
La mia fede m'induce a pensare, in futuro, ad un disegno di Dio Padre di mia guarigione dalla disabilità della paralisi agli arti inferiori ed agli sfinteri, benché non Glielo chieda, più, da tanto, esplicitamente, nelle mie preghiere (non per stanchezza, non per indebolimento della mia fede, ma per il mio essere entrato in altro ordine d'idee in merito a ciò che penso che sia la Sua volontà su di me).
Mi chiedo: come mi comporterei se si verificasse un miracolo di mia totale guarigione?
Continuerei ad impegnarmi ad essere Cristiano coerente?
Il mio impegno è totale, ma la tentazione di svicolare, a motivo di ciò che mi vedo intorno e mi delude, è forte.
Chiudo la parentesi e proseguo.
Ho trascorso, quindi, spesso e, successivamente, per forza di cose, volentieri, la mia infanzia con adulti che con miei coetanei.
Accadeva, perciò, che parlando dei miei coetanei non l'indicassi più come miei amici X e Y, ma figli dei miei amici X e Y.
Anche molti compagni di classe, salvo alcune eccezioni, non li ho mai considerati amici veri, ma, solo, "compagni di classe": il rapporto con loro restava circoscritto nelle ore di lezione, tra le mura dell'edificio scolastico.
I compagni di classe che costituivano eccezioni e riuscivo, perciò, a considerare amici veri erano dei ragazzi ripetenti al Liceo.
Ero, ovviamente, dispiaciuto per la loro condizione di ripetenti, ma con loro stavo bene: li ricordo tutti con affetto.
Tentavo d'invitare compagni di classe a casa mia, ma mi rispondevano di scusarli a causa degli "allenamenti" o, ancora peggio, accettavano il mio invito, ma, poi, non venivano senza preavviso.
Prediligevo, perciò, i giorni di scuola a quelli di vacanza, le ore di lezione alla pausa di ricreazione.
Un'altra esperienza, positiva, ma anche negativa, è stata quella estiva della Parrocchia della Pieve a Cavallìco.
Ci ho fatto tante nuove amicizie, ma provato anche delusioni.
Ricordo Celebrazioni, riflessioni fatte insieme vicino al fiume, bivacchi, pranzi, cene gli uni accanto agli altri, ma anche partite di calcio, camminate che non potevo fare con gli altri e per cui prediligevo il maltempo grazie a cui eravamo costretti a stare tutti insieme al bel tempo a causa di cui ognuno trascorreva la giornata per conto suo o in piccoli gruppi che non consentivano l'aggregazione degli uni con gli altri.
Dico, ora, in riferimento agli amici, al trattamento che alcuni mi hanno riservato: come mi sarei comportato al loro posto?
Mi è difficile rispondere, ma non impossibile.
Prendo, come spunto di riflessione, la Parabola del Buon Samaritano.
Credo che mi comporterei come il Dottore della Legge ed il Levìta dinanzi all'ipotesi di offrire aiuti immediati (che, naturalmente, rientrino nelle mie capacità) ad un diversabile psichico mentre cercherei di comportarmi come il Buon Samaritano dinanzi al diversabile fisico, considerando i miei limiti e le mie risorse.
Mi spaventa il rischio che potrei correre nel contatto col diversabile psichico.
La constatazione che i cosiddetti "normali" mi tengono a distanza, spesso, immagino, per paura di un coinvolgimento emotivo mio o loro senza ritorno nel mentre i diversabili psichici mi vengono incontro, con fiducia, al punto che, senza volerlo e capirlo, finiscono col soffocarmi, invece, mi mortifica.
Non voglio sembrare insensibile dinanzi ai diversabili psichici.
Aiuterei, semmai, economicamente le associazioni di studio e ricerca di queste patologìe e di assistenza agli affetti da queste patologìe se mi si presentasse l'occasione.
Eventualità e certezza di avere una buona amicizia (che ho, per ora, solo, parzialmente, con pochi amici di provata fiducia e lealtà) con chi conosco e che mi conosce mi sarebbe, sicuramente, di aiuto nel tentativo di affrontare l'incognita dell'instaurazione di una buona amicizia ravvicinata coi diversabili psichici.
Ritorno, ora, alla narrazione principale.
Anch'io m'isolavo, temevo di essere di troppo, cercavo, magari, motivi validi che potessero giustificarmi: riuscivo a trovarli, solo, in un bisogno, sempre maggiore, di una comunione, sempre più intima, con Dio Creatore, da concretizzarsi in una comunione, sempre più intima, con ogni Sua creatura.
E' per questo motivo che, dopo una prima esperienza, più o meno, fallimentare, di Catechista, durata 7 anni e che ho ripreso per interromperla, poi, nuovamente, dopo 7 anni d'inattività, (Dio solo può sapere se quel poco che, grazie a Lui, ho seminato ha portato o porterà frutto), ho iniziato l'esperienza di Chierichetto o "Accolito" conclusasi dopo 19 anni di servizio.
Apro una parentesi sul Catechismo per dire che, dopo altri nuovi inizi e nuove interruzioni, l'ho ripreso: spero di concluderlo dopo la Cresima di questo gruppo di ragazzi.
Chiudo la parentesi.
Questa esperienza di Chierichetto o "Accolito" mi ha lasciato impressi, positivamente, segni indelebili.
Uno è stato l'amicizia, sempre più salda, con don Rodolfo, il Parroco dell'epoca.
Avrei amato che l'altro fosse stato l'amicizia, sempre più salda, con gli altri Chierichetti.
Non è stato, purtroppo, così perché questa presunta amicizia si è trovata a subire il cosiddetto "effetto Cenerentola": un incantesimo che ha, poi, avuto fine.
Definirei, a motivo di ciò che ho detto or ora, il terzo: secondo-bis.
E', per me, il più importante di tutti, è il seguente: l'amicizia, sempre più salda, con Gesù Eucaristìa.
Apro una nuova parentesi: questa amicizia, sempre più salda, con Gesù Eucaristìa ne ha prodotta una nuova, quella con Gesù sulla Via della Croce che ho avuto modo di manifestare ogni volta che ho compiuto (e, talvolta, presieduto) il rito della Via Crucis.
Ritorno all'amicizia, sempre più salda, con Gesù Eucaristia.
Mi ha portato, all'età di 21 anni, dopo avere frequentato un apposito corso, a compiere il servizio di Ministro Straordinario dell'Eucaristia facendo conoscenza, amicizia con alcuni veri "giovani" che prediligo: anziani in senso biologico, in particolare, gli ultranovantenni.
Questi "giovani" sono, per me, la "Storia" del nostro Paese, gli altri non sono che la "cronaca".
Questi hanno, sempre, qualcosa da dare, gli altri hanno, spesso, qualcosa da dire.
Questi confidano, sempre, in chiunque, gli altri diffidano, spesso, di chiunque.
Questi mantengono, sempre, le loro promesse, gli altri non sempre lo fanno.
Questi insegnano a pescare a chi abbia fame, gli altri danno, forse, il pesce sufficiente per un giorno.
Questi si danno al cento per cento per salvare chi sia in fin di vita, gli altri danno del loro superfluo.
E' a questi giovani (cioè chi si sente interiormente giovane indipendentemente dall'aspetto esteriore, dall'età effettiva) che, secondo me, si deve volgere lo sguardo.
Si deve considerare che possono esserci anziani (all'anagrafe) con potenzialità giovanili e giovani (all'anagrafe) privi delle stesse potenzialità.
Ho fatto l'esempio di ciò che, spesso, mi accadeva durante feste organizzate dai miei genitori.
Ho detto, altrove: "Anch'io m'isolavo, temevo di essere di troppo, cercavo, magari, un motivo valido che potesse giustificarmi: riuscivo a trovarlo, solo, in un bisogno, sempre maggiore, di una comunione, sempre più intima con Dio Creatore da concretizzarsi in una comunione, sempre più intima, con ogni Sua creatura".
Perché ho voluto evidenziare l'esempio accennato nel primo periodo accostandolo al secondo, subito dopo, trascritto?
L'ho fatto per segnalare la loro stretta connessione.
Credo di avere capito, infatti, che se, da una parte (quella, parzialmente, sbagliata) venivo emarginato e reagivo isolandomi, dall'altra, comunque, sempre, sbagliata, sceglievo di emarginarmi per evitare, per paura, che fossero altri ad emarginarmi, ma credo di avere capito, anche, che il mio atteggiamento d'isolamento come risposta verso l'emarginazione operata da altri verso di me fosse motivato non da sentimenti di vendetta, ma di rispetto verso di loro, verso l'altrui libertà, dall'esigenza di non opprimerli, non condizionarli con la mia presenza.
Credo di avere capito, inoltre, che il mio atteggiamento d'isolamento, che altro non era che esigenza di esperienza di solitudine, fosse dettato dalla consapevolezza del rischio dell'attaccamento alle persone, non potere più farne a meno, non riuscire più a vivere esperienze di vita autonome.
Perché ho scritto queste cose?
Per mettere nero su bianco ciò che ritengo valido.
Per tentare di modificare le mie opinioni, piuttosto, lapidarie, verso giovani, miei coetanei.
Per mettermi dinanzi alle mie responsabilità per quanto mi è successo.
Per rendere lode a Dio Padre per le belle esperienze vissute.
Per fare capire che quanto ho scritto vuole essere una mano tesa verso chiunque, giorno dopo giorno, voglia stringermela.
Perché a nessuno, soprattutto, ai giovani accada di pensare al sottoscritto nel modo seguente: "Pecchio? E chi è? Ah, sì! E' quello dei vecchi!"
Vorrei che si capisse che se decido di raccontarmi, lo faccio nella consapevolezza entusiasta ma prudente di compiere atti di fiducia, di amicizia verso tutti.
Mi dispiace quando mi accorgo di chi considera la mia volontà di amicizia come qualcosa da prendere, portare a casa e chiudere a chiave in un cassetto per non pensarci più.
La passione che si potrà intravedere in ciò che ho scritto non deve spaventare nessuno: non intendo attaccarmi a chicchessìa.
Il fatto (spiacevole per me) è che molte giovani e molti giovani mi tengono a distanza o ignorano le mie proposte, offerte di amicizia tramite, a es., ciò che sto scrivendo, che desidero che si conosca di me perché, non conoscendomi in profondità, ma, solo, superficialmente, ritengono inconcepibile che, nel concepire i miei rapporti interpersonali e, soprattutto, intersessuali e, infine, nell'elaborare strategìe per concretizzarli possa pormi obiettivi diversi da quelli che la maggioranza delle persone, degli uomini si pongono.
Spero che si possa capire che le mie diversità non stanno nelle mie diversabilità, ma in ciò che sto raccontando di me.
Mi dispiace di non avere parlato, affatto, di quella bellissima "presenza silenziosa e discreta" che è, tuttora, nella mia vita, Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo di Lisieux, ma sono convinto che sia contenta, ugualmente.
Ho scritto, per la prima volta, molte di queste considerazioni a 28 anni.
Mi è venuto spontaneo criticare, perciò, i giovani: ero uno di loro.
La mia critica riguardava, in realtà, e riguarda, tuttora, i miei coetanei quando avevamo 10, 20, 30 anni e ancòra adesso che ne abbiamo 50.
Ho potuto constatare, in 50 anni di vita, di avere avuto ottimi rapporti di amicizia, soprattutto, con chi ha 10 anni meno di me e anche con chi ha un anno di più o di meno.
Ripeto che ricordo, con affetto, alcuni ragazzi ripetenti, in classe con me, al Liceo.
I ragazzi di 10 anni più giovani erano, invece, i Chierichetti che prestavano servizio, con me, in Pieve.
I ragazzi di 1 anno più giovani erano, invece, i Catechisti con cui condividevo anche l'esperienza estiva di Cavallico.
I miei coetanei mi hanno deluso, invece, continuano: sono stati, soprattutto, loro ad equivocare sulla mia situazione, il suo evolversi così come si presentava, periodicamente, ai loro occhi; a sentenziare, senza appello, dinanzi alla mia situazione, il suo evolversi, che non avessi più bisogno di loro e, ancora peggio, quando ne avessi avuto bisogno; ad aiutarmi, di conseguenza, quando non l'avevo chiesto.
Non ne sentivo, infatti, bisogno: volevo affrontare da solo il rischio di alcune esperienze nuove di amicizia.
Non dico che non voglio, da ora in poi, l'aiuto di qualcuno.
Voglio, solo, sentirmi libero di scegliere se essere aiutato, quando e da chi.
Ho scritto più volte, in periodi diversi queste cose.
Alcune sono cambiate.
Sono caduto più volte.
La prima volta mi sono procurato una piccola frattura alla costola sinistra: mi ha costretto a casa per un mese circa.
La seconda sono caduto nel W.C. per diversabili nel mio ufficio finendo seduto sulla mia gamba sinistra che si è piegata verso destra, fortunatamente, senza slogatura o frattura.
Ho camminato, per un po', in casa, reggendomi in piedi a un carrello.
Posso uscire di casa solo coi miei genitori che spingono la sedia a rotelle dove, purtroppo, mi sono trovato, nuovamente, seduto.
Ho sperato di potere ricominciare a guidare l'auto dopo il rinnovo del Patentino, ma questo rinnovo non l'ho più avuto.
Ho fissato, perciò, coi miei genitori che mi accompagnino, con la sedia a rotelle, ancòra, ogni mattina, in Biblioteca come punto di partenza per muovermi da solo verso i posti vicini come l'Edicola e/o altri negozi e, a una certa ora, passano a riprendermi in Biblioteca dove, ovviamente, mi faccio ritrovare.
caterina terigi
Sono una che ha vissuto insieme ai diversabili,come li chiami tu,gran parte della mia vita. Devi ammettere che non siete persone facili con cui relazionare: o sei troppo vicino o sei troppo lontano,sei troppo stimolante sei troppo smieloso. Insomma trovare la giusta sintonia parecchio difficile.Il confronto con i coetanei sempre un po'frustrante perch c'e' sempre qualcuno che ti schiaccia... Gli anziani sono arrivati in quella fase che possono permettersi di essere solo se stessi. Hanno ucciso (meno male!) "Narciso" e tutti quei falsi valori che distraggono dall'essenza della vita. Apprezzo la forza e il coraggio di esporti, apprezzo il percorso (sofferente)che ti ha fatto raggiungere quel che sei in questa lettera. Bravo!!!!!!!!!! Caterina