L'appassionante storia del calciatore che scelse la Resistenza e che fu ucciso a Gamogna, nei boschi di Marradi. Casualmente, ascoltando un programma radiofonico, con una “poesia narrativa” accattivante lo speaker narrava la storia, episodi e gesta di Bruno Neri, il calciatore partigiano.
Che ha suscitato in me curiosità emotiva, anche perchè è stato calciatore della squadra del cuore, Bruno Neri è nato in una città molto vicina a quella in cui sono nato io (anche se regioni italiane diverse) ed è morto in battaglia per renderci liberi a pochi chilometri da dove abito. Non potevo non “indagare” o “saperne di più”.
Il web aiuta, aiuta molto e ne è venuto fuori un collage, uno spaccato di un uomo diverso dall'ambiente che ha vissuto.
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Bruno Neri (Faenza, 12 ottobre 1910 – Gamogna a due passi da Marradi, città del poeta Dino Campana, 10 luglio 1944). Nato a Faenza il 12 ottobre 1910, in gioventù frequentò l'Istituto Agrario di Imola. Un'esistenza del tutto ordinaria, nel contesto della piccola borghesia italiana dell'epoca, che tuttavia prese una strada totalmente diversa allorché emerse il suo talento per il football. Appassionato di arte e di poesia, fuori dal campo di gioco si dedicava sovente ad incontri culturali con scrittori, poeti ed attori e visitava mostre e musei. Con i proventi dell'attività di calciatore tentò di avviare un'attività imprenditoriale, acquistando a Milano un'officina meccanica dal tenore faentino Antonio Melandri, fino a quando sopraggiunsero i tragici eventi bellici.
La sua carriera di calciatore: Terzino destro diventato in seguito mediano, esordì nel 1926, a 16 anni, con la maglia della squadra di calcio della sua città, il Faenza, prima sotto la guida di Mister Béla Balassa, ungherese, della scuola danubiana, allora dominante in Europa (da calciatore era stato centrocampista del MTK Budapest e Ferencváros, poi da allenatore all'Olimpia Fiume, Galatasaray, Ferencváros prima di arrivare a Faenza) e poi di Mister Lajos Czeizler (in carriera da mister sulla panchina di Udinese, Faenza, Lazio, Catania, IFK Norrkoping, Milan, Padova, Nazionale Italiana, Sampdoria, Fiorentina, Benfica tra le più famose). Già all’età di 14 anni sedeva in panchina nella squadra della sua città e all’età di 16 anni nel 1926-27 Bruno Neri gioca titolare nel Faenza.
Nel 1929 venne acquistato dalla Fiorentina per 10.000 lire (conquistando con la maglia viola una promozione in Serie A nel 1931) e facendosi apprezzare particolarmente per le sue doti tecniche e agonistiche. Alla presidenza del club viola c’è il marchese Ridolfi, fascista e squadrista della prima ora, considerato da Mussolini un buon gerarca, che vuole allestire una squadra competitiva per passare nel campionato di serie A.
Quell’anno la Fiorentina raggiunge un onorevole quarto posto e il mediano faentino disputa un campionato d’eccezione, meritandosi le lodi della stampa sportiva.
E' di casa al Bar delle Giubbe Rosse di Firenze, il suo linguaggio forbito gli consente di avere conversazioni e coltivare amicizie con giornalisti e scrittori.
Restò in riva all'Arno fino al 1936, quindi, dopo una parentesi alla Lucchese allenata dall'ungherese Ernest Erbstein, nel 1937 passò al Torino. Dove si gettano le basi per la costruzione di una grande squadra, e Neri viene chiamato da Erbstein, allenatore ebreo ungherese, che con le leggi razziali sarà costretto a lasciare l’Italia, stessa sorte toccata ad Arpad Weisz tecnico del Bologna, a giocare nel Torino.
I due si erano conosciuti alla Lucchese, squadra dove era approdato Bruno Neri dopo la parentesi fiorentina e il tecnico del Torino aveva bisogno di un mediano sicuro per la squadra.
Nel capoluogo piemontese Neri vive anni fervidi sotto l’aspetto culturale, alloggia all’albergo Dogana Vecchia di via Corte d’Appello, frequentato dai calciatori della Juve, ma anche da giovani scrittori e intellettuali, incontra gli artisti che vivevano nelle soffitte di lungo Po.
Intanto Bruno Neri, quando era ancora a Firenze aveva completato gli studi superiori e si era iscritto all’Istituto di Lingue Orientali di Napoli, perciò continuava a studiare e a dare esami all’università partenopea.
Così lo ricorda lo storico Gerbi: «Neri frequentava giovani giornalisti e scrittori, alcuni di loro lo avevano scelto come modello di personaggio, come esempio di atleta con una sensibilità aperta e cordiale, dotato di fermezza di carattere e schiettezza nei rapporti, coraggio e fiducia nel prossimo». Militò in maglia granata per tre stagioni, collezionando 65 presenze e una rete.
Disputò l'ultima partita da professionista il 26 marzo 1940 contro l'Ambrosiana-Inter. Complessivamente, in massima serie collezionò 219 presenze e due reti. Convocato da Vittorio Pozzo, esordì con la maglia della Nazionale italiana il 25 ottobre 1936 nella partita contro la Svizzera (4-2), valida per la Coppa Internazionale 1936-1938. In azzurro disputò complessivamente 3 partite. Terminata la carriera agonistica, assunse la guida tecnica del Faenza nel 1940-1941.
La carriera nei Club
A 22 anni per il calciatore di Faenza arriva la convocazione nella nazionale B, allenata da Vittorio Pozzo, l’esordio è Italia-Austria che si disputa il 5 maggio 1932. Neri continua a giocare nella Nazionale B fino al ’36, quando è inevitabile la convocazione nella squadra maggiore, quella che aveva vinto il campionato del mondo del ’34. È il 25 ottobre del 1936 e a Milano si gioca Italia– Svizzera finita con un netto 4 a 2 per l’Italia. Pozzo convocò Bruno Neri anche per la partita Germania-Italia disputatasi a Berlino a novembre del ’36 e in occasione di Italia-Cecoslovacchia giocata a Genova il 12 dicembre di quell’anno. Ormai Neri era compagno di squadra di Amoretti, Monzeglio, Allemandi, Montesanto, Andreolo, Pasinato, Meazza, Piola, Ferrari, Colaussi.
Presenze in Nazionale
31/10/1937 SVIZZERA - ITALIA 2 - 2
13/12/1936 ITALIA - CECOSLOVACCHIA 2 - 0
25/10/1936 ITALIA - SVIZZERA 4 - 2
Già nel corso dell'esperienza calcistica dimostrò la sua disapprovazione verso il regime fascista. Rimane celebre una sua foto del 1931 nella quale all'inaugurazione dello stadio fiorentino "Giovanni Berta" (l'attuale Stadio Artemio Franchi) fu l'unico a non rendere omaggio alle autorità con il saluto romano.
In seguito si avvicinò agli ambienti antifascisti grazie al cugino Virgilio Neri, notaio milanese in contatto con personalità politiche come don Sturzo e il futuro presidente della Repubblica Italiana Giovanni Gronchi.
Dopo l'armistizio di Cassibile si arruolò tra le file della Resistenza partigiana. Vicecomandante del Battaglione Ravenna con nome di battaglia "Berni", era dislocato nella zona compresa tra il campo d'azione del gruppo guidato da Silvio Corbari e la 36a Brigata Bianconcini, in un'area strategicamente significativa a ridosso della Linea Gotica.
Quel Silvio Corbari, medaglia d'oro al valor militare alla memoria, comandante della Banda Corbari. La piccola brigata partigiana al comando di Silvio Corbari è nota col nome di Banda Corbari, come è nota come Banda Cervi la formazione partigiana formata dai fratelli Cervi da amici come Dante Castellucci e da prigionieri sovietici e sudafricani scappati dai campi di prigionia, le due piccole formazioni partigiane hanno similitudini sia dal punto di vista che diversi componenti sono legati da rapporti molto stretti sia dal fatto che agivano su territorio perfettamente noto ai componenti così come Piccola Banda di Ariano è chiamata la ancor più piccola formazione partigiana a comando di Gianluca Spinola e anche qui troviamo rapporti di parentela e/o di strettissima amicizia, altra caratteristica della Banda Corbari è l'alto numero di decorazioni al valor militare alla memoria per un così basso numero di componenti così come la Banda Cervi.
Famose anche Le beffe di Corbari: Nel Natale 1943, a bordo di una lussuosa berlina Lancia Aprilia, in divisa da colonnello tedesco, gira per le strade di Faenza distribuendo saluti a braccio teso ai 'camerati' fascisti e nazisti. A Faenza viene piazzato un ordigno alla base del monumento al generale Raffaele Pasi, avvisando successivamente le autorità fasciste: chiamati gli artificieri per disinnescarlo, si scoprì che si trattava di una bomba caricata… a pasta e fagioli.
A seguito di uno scontro a fuoco nei pressi di San Giorgio in Ceparano, alcuni Brigatisti neri tornati a Faenza avevano divulgato la falsa notizia che Corbari fosse stato ucciso: la notizia era stata pubblicata con grande risalto su un giornale locale.
La domenica successiva, 5 dicembre 1943, indossando la divisa della Guardia Nazionale Repubblicana, Corbari attraversò la piazza principale di Faenza nell'ora di punta, entrando nel bar Sangiorgi, noto ritrovo dei fascisti, e dirigendosi al bancone.
Riconosciuto da tutti i presenti, bevve lentamente il caffè che aveva ordinato, fissando gli avventori uno per uno. Poi si diresse verso la parete dove campeggiavano i ritratti di Benito Mussolini e di Ettore Muti e li staccò, gettandoli a terra con disprezzo e sputandoci sopra, per uscire poi con estrema calma. Alcuni militi si lanciarono al suo inseguimento, ma inutilmente: Corbari salì sul mezzo di un compagno che era in attesa e si dileguò.
Sul ponte di Faenza, al posto di guardia tenuto dai militi della RSI, Corbari si presentò travestito da capitano della milizia, ordinando di adunare la forza presente: i sette uomini del presidio si schierarono ed obbedendo ad un preciso ordine dell'ufficiale gli consegnarono le proprie armi, che vennero da lui raccolte e portate via tranquillamente.
Corbari scrisse al segretario del fascio di Faenza, invitandolo ad un incontro da soli e disarmati in una chiesa della città. Il gerarca accettò l'invito, recandosi invece alla chiesa armato e accompagnato da fascisti armati. Entrato nella chiesa la trovò deserta, ad esclusione di un vecchio che gli chiese l'elemosina ed a cui regalò dieci lire.
Poi se ne andò, deluso per il disegno sventato ma orgoglioso di poter affermare che il famoso Corbari aveva avuto paura. Qualche giorno dopo il segretario ricevette una busta con dentro le sue dieci lire, assieme ad un biglietto: “Ti rendo le dieci lire che mi hai generosamente donato, ma sappi che io ti ho regalato la vita”.
Nel marzo 1944 Corbari, ormai ben noto, avvisò ufficialmente il comando della milizia che avrebbe occupato Tredozio per la quarta volta in un giorno preciso.
Il paese viene messo in stato di allarme e pesantemente presidiato, ma nel giorno stabilito nessuno nota la presenza in paese di un anziano contadino che trascina con sé un maiale legato a una corda.
Egli, giunto sulla porta di una osteria chiese ai militi presenti se potevano reggere la corda e tenergli il maiale, mentre lui si fermava a bere un bicchiere di vino.
Il giorno dopo Corbari inviò al loro comandante un biglietto con cui lo informava che il contadino era lui, e che "i suoi uomini sono buoni giusto a badare al mio maiale..." Nell'aprile 1944 Corbari e pochi altri suoi uomini occuparono Modigliana, restandovi per un paio d'ore e prelevando denaro da una banca.
Dieci giorni dopo tornarono nuovamente nella cittadina, questa volta agendo in stretta collaborazione con gli antifascisti del luogo i quali avevano preventivamente sparso la voce di un imminente attacco di ingenti forze partigiane. Temendo questa eventualità, i fascisti si ritirarono e gli uomini dei Corbari, non più di venti, poterono prelevare ìn tutta tranquillità le armi abbandonate nella locale caserma.
Della sua storia è stato prodotto anche il film: “Corbari”, diretto da Valentino Orsini e interpretato da Giuliano Gemma, Tina Aumont, Antonio Piovanelli, Frank Wolff, Vittorio Duse, Alessandro Haber, Adolfo Lastretti, Spiros Focás. Prodotto nel 1970 in Italia e distribuito in Italia il giorno 25 settembre 1970.
L'attività partigiana non impedì a Bruno Neri di tornare ad indossare gli scarpini da calciatore: partecipò, infatti, al Campionato Alta Italia 1944 con la maglia del Faenza. Cadde in uno scontro con i nazisti avvenuto il 10 luglio 1944 nei pressi dell'eremo di Gamogna, sull'Appennino tosco-romagnolo, mentre si recava insieme a Vittorio Bellenghi ("Nico", ex ufficiale del Regio Esercito e comandante del Ravenna) a perlustrare il percorso che avrebbe dovuto condurre il suo battaglione a recuperare un aviolancio alleato sul Monte Lavane.
Recensione di Gabriella Bona al libro di Massimo Novelli "Bruno Neri - il calciatore partigiano" Graphot Editrice: “Bruno Neri morì a Gamogna, il 10 luglio 1944. Faceva parte del Battaglione Ravenna e fu ucciso assieme a Vittorio Bellenghi in uno scontro con i tedeschi. Neri era un calciatore, aveva giocato nel Club Atletico Faenza, nella Fiorentina, nella Lucchese, nel Torino e nella Nazionale italiana.
Prima terzino destro e poi mediano, “per Bruno quella di difensore concreto e morale di un’area, di un territorio, di un’idea, di una bandiera, sarà una vocazione. Fino all’estremo”. Novelli ripercorre, assieme agli amici del Torino Club faentino i luoghi dell’infanzia, della giovinezza, dell’inizio della carriera di calciatore e la montagna dove Neri trovò la morte lottando per la libertà.
Nella vita privata, il calciatore visitava mostre e musei, era amico di scrittori e giornalisti, amato, stimato, rispettato da tutti coloro che lo conoscevano, amatissimo da tutti i tifosi delle squadre in cui aveva giocato con grande passione e talento. L’11 luglio 1946 “il consiglio comunale di Faenza deliberò di dedicare al cittadino Bruno Neri, atleta caduto per la libertà, il campo sportivo della Piazza d’Armi”. “.
Ne “La pulce e il partigiano” di Emilio Carnevali su MicroMega, citando il libro di Massimo Novelli "Bruno Neri - il calciatore partigiano" Graphot Editrice, scrive: “Nel 1926, a soli sedici anni, Neri esordisce con la maglia biancoazzurra del Faenza, la città dove è nato il 12 ottobre del 1910.
Nel 1929 viene comprato per 10mila lire dalla Fiorentina, con la quale conquista la promozione in serie A nel 1931. In quell’anno viene anche inaugurato il nuovo stadio di Firenze, ribattezzato dopo la guerra “Artemio Franchi”, ma intitolato allora allo squadrista Giovanni Berta, morto nel 1921 in uno scontro fra fascisti e comunisti (secondo alcuni gettato nell’Arno dal Ponte Sospeso, nonostante i tentativi di Berta di rimanere attaccato al bordo; di qui i versi popolari che recitano: “Hanno ammazzato Giovanni Berta/ Figlio d’un pescecane/ Beato il comunista/che gli schiacciò le mane”).
Nel 1933 Neri partecipa ai campionati mondiali goliardici di Torino (“Fulgida giornata di giovinezza allo stadio Mussolini”, titola la Gazzetta del Popolo all’apertura del torneo) ed è fra quelli che più contribuiscono alla vittoria della squadra italiana.
Nel 1936 passa alla Lucchese allenata dall’ungherese Ernest Erbstein (che lascerà l’Italia nel 1938 a causa delle leggi razziali e, rientrato dopo la guerra per allenare il Torino, morirà nella tragedia di Superga). Il 1936 è anche l’anno dell’esordio nella Nazionale A: “Il prestante giocatore”, scrive di lui la Gazzetta dello Sport, “passato come è noto nei ranghi della Lucchese in virtù della sua elevata classe, ha meritato di arrivare alla meta a cui aspirava. Giocatore serio, coscienzioso, tenace”. L’anno successivo approda al Torino.
Con la maglia granata gioca fino al 1940, quando, a trent’anni, decide di chiudere la sua carriera da calciatore professionista. Ma non chiude con il mondo del calcio, perché assume subito la guida tecnica del suo Faenza, che nella stagione 1940-41 disputa il campionato provinciale dilettantesco.
Non è chiaro quando Neri cominci a partecipare ad azioni cospirative. Ha comunque un ruolo importante nel suo avvicinamento agli ambienti dell’antifascismo suo cugino Virgilio Neri, affermato notaio di Milano in contatto con personalità politiche come don Sturzo, il futuro presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e Ugo La Malfa. Virgilio sarà poi arrestato dai tedeschi, torturato e deportato nel lager di Bolzano. Nel 1943 arriva la chiamata alle armi.
Neri è in Sicilia quando gli alleati sbarcano sull’isola ai primi di luglio e da lì invia una cartolina al suo amico e concittadino Ivo Fiorentini, che da allenatore del Livorno ha appena sfiorato la vittoria dello scudetto, sottrattagli d’un soffio dal Torino grazie a un gol all’ultima giornata di Valentino Mazzola: “Mio caro Ivo”, scrive Neri a Fiorentini, “avresti meritata sorte migliore.
Hai avuto ugualmente grandi soddisfazioni e questo conta pure qualcosa. Mi rallegro tanto con te”. Dopo l’8 settembre torna a Faenza, dove il cugino Virgilio aveva già cominciato ad organizzare i primi ribelli per dare vita ad una formazione partigiana.
All’inizio del 1944 entra nell’Ori (Organizzazione resistenza italiana, nata per iniziativa di un esponente di spicco del Partito d’Azione, Raimondo Crateri, e dei servizi segreti americani).
Neri si occupa soprattutto di coordinare il recupero dei lanci di armi e di viveri attuati dagli alleati, ma ciò non gli impedisce di indossare nuovamente gli scarpini da calciatore e partecipare al campionato regionale di guerra con il Faenza, che aveva radunato giocatori locali di categorie superiori dispersi dagli eventi bellici.
L’ultima presenza in campo risale al 7 maggio del 1944: Bologna-Faenza 3-1. Pochi giorni dopo Faenza viene bombardata e lo stadio viene distrutto. Quando si riprende a giocare, a fine maggio, Neri è nominato vicecomandante del neo-costituito Battaglione Ravenna.
Il 10 luglio Neri - nome di battaglia “Berni” - sta salendo mitra a tracolla il sentiero verso Gamogna insieme a Vittorio Bellenghi, “Nico”. Stanno effettuando una perlustrazione per vedere se il loro battaglione può attraversare quella zona andando a recuperare il lancio degli alleati sul Monte Livata.
Ma incappano in un gruppo di tedeschi. Questi ultimi li vedono e riparano dietro una pietra, mentre i due partigiani si buttano a terra e comincia lo scontro a fuoco.
Nico e Berni hanno la peggio e vengono colpiti e uccisi. Lo ricordiamo come un uomo che è morto combattendo dalla parte giusta, in tempi in cui si cerca di fare una grande confusione sulle presunte ragioni di tutte le parti in lotta. Neri aveva ben presente che da una parte c’era la libertà, dall’altra la barbarie del nazifascismo.
Per lui non potevano esserci dubbi su come avrebbe dovuto schierarsi chi amava la libertà. È in fondo la stessa verità che insegna il campo di calcio, come lui amava ripetere: “Quando si riceve la palla bisogna aver già deciso come giocarla”.
Tributi:
L'11 luglio 1946 il consiglio comunale di Faenza gli intitolò lo Stadio Comunale della Piazza delle Armi.
Beppe Turletti (Torino) ha scritto il testo e le musiche di uno spettacolo teatrale realizzato con la compagnia Faber Teater di Chivasso ("Bruno Neri. Calciatore partigiano"), liberamente ispirato al libro "Bruno Neri, atleta e partigiano" di Lisandro Michelini. Recita la locandina dello spettacolo: “Un mediano è obbligato a correre a perdifiato, a conquistare palloni, a rilasciarli da una parte all’altra del campo.
È il baluardo del centrocampo, cerniera tra difesa e l’attacco: un mediano deve coprire il suo terzino, ma deve essere pronto a rilanciare l’azione, a far partire l’ala.
Deve tenere la testa alta. Essere vigile. Pronto. Forse per questo Bruno Neri, mediano di Faenza, giocatore della Fiorentina, della Lucchese e del Torino, azzurro nelle squadre di Vittorio Pozzo, fuori dal campo si dedicava all’arte, alla poesia, agli incontri culturali con scrittori, poeti, attori... per cercare l’ispirazione da mettere poi in campo.
La sua vita, trascorsa lungo le sponde di quattro fiumi, porta lui, calciatore, ad incontrare i sentieri della poesia di Dino Campana. Montale, Pavese.
Ma la partita più importante deve ancora venire. Una volta lasciata la maglia di mediano percorre i sentieri aspri delle montagne della Toscana romagnola, per affrontare l’avversario più difficile, l’invasore nazista, per l’ultima, infinita partita.”
La rock band Totozingaro Contromungo gli ha dedicato una canzone L'Ultimo Tackle, testo e recitato di Domenico Mungo nell'album La Grande Discesa, I Dischi dell'amico immaginario/audioglobe.
aldo giovannini
bella storia davvero.