Cuba, The West is The Best. Nuova puntata degli Appunti di Viaggio
Dalla viaggiatrice Caterina Suggelli riceviamo e pubblichiamo questa nuova puntata degli 'Appunti di Viaggio' a Cuba:
L’ultima volta vi ho lasciato sull’orlo di una bella doccia calda che potesse spazzar via la polvere che si appiccica al sudore durante il viaggio, quello sporco che sa di vissuto, quell’odore che ti porti addosso e non è poi così ripugnante per te stesso, perché è la prova concreta che stai viaggiando, stai vivendo il viaggio sul tuo corpo, e non solo sognando immerso in qualche libro su una comoda poltrona di casa. Il viaggio ti si appiccica addosso, ti entra negli occhi, nelle narici, nella bocca, negli angoli più nascosti del corpo. Arriva al cuore e mette radici nell’anima. Non si lava con una semplice doccia; ciò che vivi tanto a fondo non va più via. Colui che viaggia, invece, prima o poi va sempre via. Ma spesso si tratta solo di una nuova partenza.
Così, dopo due giorni tra le rilassanti forme sinuose di Viñales, anch’io riparto per un altro dove. Stavolta però non voglio viaggiare da turista,ho più tempo e più pazienza che all’andata, così decido di prendere l’autobus, ma l’Astro stavolta, quello dei cubani, tanto per non finire mai di fare esperienze. E si nota subito la differenza. Prima di tutto il prezzo: se L’Avana – Viñales con Viazul costava 12 CUC, cioè circa 8 euro, Viñales – Pinar del Rìo con Astro costa 33 MN, cioè circa 1 euro… Certo che la tratta è più corta, ma non c’è proprio paragone!
E paragone non c’è neanche nel servizio: se alla stazione di Viazul dell’Avana c’era una sala d’attesa climatizzata, con bagno, una signorina che ti scortava fino all’autobus, sul quale un addetto ti caricava le valigie (anche se io non ne avevo), e viaggiavi comodo in un sedile pulito e ampio con aria condizionata, con Astro, invece, ti ritrovi ad aspettare la speranza di viaggiare (a meno che non abbia prenotato con largo anticipo) in un minuscolo ufficio senza bagno, con un piccolo ventilatore che muove aria calda, guardando la lunga fila di tutti i prenotati che, uno per uno, vengono chiamati per nome a pagare all’addetta ai biglietti.
Alla fine delle prenotazioni, poi, parte la chiamata dei disgraziati “in lista di riserva” come me, che, non avendo prenotato, sperano in un posto libero, fosse anche in piedi. Ho la fortuna che, essendomi iscritta la mattina presto a tale lista, e molto probabilmente anche grazie al fatto di essere “studentessa straniera”, mi tocca l’ultimo posto a sedere; le quattro o cinque persone che mi seguono, invece, viaggiano in piedi, gli altri rimandati alla prossima corsa, la sera tardi o il giorno dopo. Il pullman è giusto lì fuori, quindi nessuno ti accompagna e nessuno ti carica le valige; le donne sole con molto carico possono contare eventualmente sulla gentilezza di qualche galantuomo, e fortunatamente, da questo punto di vista, a Cuba non si sono ancora estinti.
L’Astro, chiaramente, è un pullman di una certa età e sprovvisto di aria condizionata, quindi, quando è molto caldo, è un ribollire di odori e di corpi che respirano vicini, e si può contare solo sui finestrini che-speriamo-che-si-aprano. I sedili sono più piccoli e vissuti rispetto al mezzo della Viazul, ma sicuramente molto più comodi del viaggiare in piedi, com’è toccato agli altri, e ora che sono al mio posto certo non mi lamento, anzi sono ben lieta della mia sorte e non vedo l’ora di iniziare a inerpicarmi per queste salite tutte curve.
La corsa segue tranquilla, mentre mi rendo conto di un’ulteriore differenza: sull’autobus “dei turisti” quasi nessuno rivolge parola a qualcun altro che non sia il proprio compagno di viaggio, da buoni individualisti-diffidenti-occidentali; qui, invece tutti parlano con tutti, da bravi cubani, e anch’io dopo poco mi ritrovo a ciaccolare del più e del meno con la signora di fianco, scoprendo che vive proprio vicino a dove devo andare io, alla Escuela Internacional de Educación Física y Deporte. Parole dopo parole arriviamo a Pinar, e la signora, ormai “amica”, mi fa scendere con lei, mi dice di seguirla fino a casa sua, mi offre un buon caffè che non si rifiuta mai, poi mi mostra la strada che mi resta fino alla scuola, ricordandomi che posso passare da lei in qualsiasi momento per qualsiasi bisogno, o anche solo per un caffè e due chiacchiere. - I cubani! Ma dove la ritrovo gente così?! - Vorrei quasi rimanere lì con lei e farmi raccontare ancora storie, ma il pomeriggio è già inoltrato, così a malincuore ringrazio, saluto e riparto.
Alla scuola ho appuntamento con i miei amici uruguayi. “Pinar ha ben poco da offrire, mi dicono, ma ci siamo sempre noi, che stiamo volentieri in compagnia, poi fra un mate, qualche canzone e due risate, non ci annoiamo di certo”. No, no, non avevo alcun dubbio. La compagnia piace anche a me, così come la buena onda della gente di cui vi circondate, e poi sono proprio curiosa di vedere una di queste famose scuole internazionali.
Ne ho sentito parlare tanto: ci sono Scuole Internazionali e Università aperte per tutte le discipline. Cuba fino all’anno passato (quest’anno ha diminuito le accettazioni a causa della crisi economica mondiale) ha accolto circa 40mila studenti borsisti stranieri da tutto il terzo mondo, dall’Asia, dall’Africa, dall’America Latina; medici, biologi, ingegneri, aspiranti cineasti o giornalisti, e via dicendo. Esistono accordi differenti tra i diversi Stati riguardo al numero di borse di studio disponibili e al tipo di scambi che si effettuano tra le varie Università, ma in generale lo Stato cubano offre gratuitamente ai borsisti l’intera carriera di studi, da 5 a 9 anni secondo le discipline, più vitto, alloggio e 200 MN mensili. E scusate se è poco! Sarò ignorante, ma non sono a conoscenza di nessuno Stato del primo mondo che faccia niente di simile… Evidentemente è molto più redditizio “aiutare” esportando democrazia con le armi, che non con lapis e quaderni. Questione di punti di vista…
Comunque, la Escuela Internacional de Educación Física y Deporte si trova proprio accanto allo stadio da baseball, e ha i suoi impianti sportivi completi di campo da calcio, da atletica, palestra interna e piscina, certo non nuovi fiammanti, ma funzionanti. Le aule e il laboratorio multimediale si trovano nell’edificio di fianco alle residenze degli studenti, che sono divise per anno di frequenza, per provenienza e per sesso. Ci sono camerate e bagni in comune per ogni piano, certo molto spartani, che fanno pensare più a una caserma militare che non a una scuola intesa “all’occidentale”: le camere sono generalmente da 4 persone, ma in alcuni casi anche da 6 o da 8, con tribolanti letti a castello; i bagni sono in comune e l’acqua, solo fredda, viene erogata dalle 7 alle 20, poi bisogna riempire taniche e secchi per la notte. La mensa è unica per tutti, e piuttosto scarsa e monotona, a quanto mi dicono. Ci sono pochi vetri, le pareti sono costruite in modo aperto per far entrare luce e aria, ma ai piani alti più che altro entra un sacco di vento. Insomma, oltre che una scuola di educazione fisica, sembra una vera e propria scuola di vita e di sopravvivenza!
Ciò nonostante non sento lamentarsi nessuno, anzi. E effettivamente, mi viene poi da pensare che solo io europea posso meravigliarmi di questa situazione, perché in realtà un mongolo, un coreano, un gabonese, un senegalese, un honduregno, un brasiliano o un cileno dei tanti che mi è capitato di conoscere, hanno visto ben di peggio e quindi non possono che sentirsi fortunati di poter studiare, gratuitamente, con un tetto sulla testa e qualcosa in pancia. Questione di punti di vista, come dicevo prima…
Così, per un giorno e una notte, ho preso parte alla vita della scuola: introdotta dai miei ormai fedeli amici uruguayi, ho conosciuto un sacco di studenti di tanti luoghi lontani del mondo, ognuno con il suo carico di cultura e tradizioni, chi con il mate, chi con il tappetino per pregare Allah, chi con un libro scritto in un alfabeto affascinante e sconosciuto, tutti ben disposti a conoscere, a compartire e a lasciare qualcosa di sé. …Figuratevi se mi sono annoiata!
E il giorno dopo, arrivato troppo presto, ho preso un carro viejo, cioè un vecchio cassettone di macchina marciante, per rientrare all’Avana, con poca voglia di andarmene da lì, il cuore gonfio di bei ricordi e la memoria USB piena di musica africana! Merci beaucoup Gabon! Grazie a tutti, ragazzi!
Caterina Suggelli


