Dal nostro collaboratore Paolo Insolia riceviamo e pubblichiamo la seguente nota in merito a due episodi di violenza molto spiacevoli:
L’omicidio di Frederick Akwasi Adofo, clochard ghanese residente a Pomigliano d’Arco, in provincia di Napoli, e l’accoltellamento del clochard settantaduenne tedesco - di cui non è stato rilevato il nome - residente nel fiorentino, hanno motivazioni diverse. Nel primo caso ci troviamo davanti a un episodio di violenza gratuita, di totale mancanza di empatia verso il prossimo, di prevaricazione da parte di cittadini che, tronfi del loro stato di perfetti integrati in società, credono di potersi prendere la vita di coloro che erroneamente reputano esclusi dal mondo.
I protagonisti dell’assassinio di Akwasi Adofo sono due ragazzini di sedici anni. L’adolescenza è un’età in cui può risultare difficile riconoscere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, e dove è facile perdersi in un oceano di tentazioni tossiche, ma un omicidio di questo tipo non può essere giustificato in alcun modo. I due hanno preso a calci e pugni il clochard ghanese per divertimento.
L’aggressione ai danni del clochard tedesco, avvenuta all’aereoporto di Firenze, è stata compiuta da una donna, anch’essa senzatetto. Erano stati visti insieme ore prima all’interno del bar dell’aereoporto, poi un litigio ha scatenato la reazione della donna. L’uomo è stato portato al pronto soccorso in gravi condizioni. Qualche giorno prima, sempre a Firenze, un clochard originario della Repubblica Ceca è stato trovato morto sul sagrato della basilica di Santa Maria Novella a seguito di una rissa.
Le circostanze sono diverse, ma le vittime no, essendo tutte accomunate dallo stesso status sociale, quello di clochard. Sono loro, i clochard, gli unici che vivono davvero, in ogni sua sfumatura, la vita di strada raccontata in tutte le salse dai rapper odierni. Sono loro a conoscere davvero la sensazione di spaesamento data dal non avere un luogo sicuro dove potersi riparare in caso di pioggia, caldo estremo o aggressioni. Sono loro a sapere davvero che cosa significa avere freddo e provare i morsi della fame.
Secondo i dati aggiornati nel 2021, i senzatetto in Italia sono 96.197, una cifra drammatica in costante aumento. A restare invariate sono invece le misure statali che servirebbero a tutelarli. Ormai ci siamo abituati alle notizie di clochard morti di freddo durante l’inverno. Ci siamo dimenticati di loro, e senza una coscienza collettiva che ci indichi la strada per prenderci cura del prossimo, la nostra civiltà regredirà.
Il sindaco di Firenze Dario Nardella ha commentato l’accaduto affermando che non sono sufficienti azioni di facciata, come la consegna di coperte, per arginare un grave fenomeno come questo. Bisogna fare molto di più. Le città italiane potrebbero prendere come esempio Milano, che nel 2016 pubblicò un bando per ospitare i senza fissa dimora in cambio di 350 euro al mese. E poi bisogna aumentare il numero delle strutture di ospitalità, che non sono mai abbastanza. Sarebbe anche doveroso, in maniera complementare al rispetto del diritto a vivere in un luogo sicuro e stabile, impegnarsi affinchè venga soddisfatta la mobilità sociale dei clochard, facendoli quindi passare da una condizione di povertà estrema e disoccupazione, a una lavorativa. Per alcuni l’essere senzatetto è una scelta, ma per molti una necessità.
I clochard poi, in caso di problemi di salute, possono rivolgersi soltanto al pronto soccorso, non avendo a disposizione un medico di famiglia: un’iniquità che non può che essere biasimata nel 2023 in un paese come l’Italia. La pandemia di covid-19 ha fatto luce sulla questione, e varie regioni d’Italia, tra cui la Liguria e l’Emilia Romagna, hanno fatto sì che ogni clochard presente sul loro territorio abbia un medico di base. Speriamo che tutte le altre facciano lo stesso.
Il paese con il maggior numero di clochard al mondo sono gli Stati Uniti d’America, con ben 532.000 persone; un dato amaro che dovrebbe far riflettere sulla validità di una società opulenta e fondata sulla competizione. Alte vette implicano forti cadute, e forse è arrivato il momento di ripensarci come cittadini animati da limiti e debolezze, a cui non interessano necessariamente carriera e soldi a palate. Il vagabondaggio, visto con uno sguardo metaforico, è il rifiuto a voler far parte di un mondo distante dalle reali intenzioni dell’uomo: mi rendo invisibile in quanto la mia invisibilità mi rende più naturale delle luci accecanti dei negozi e degli schermi degli smartphone.
E’ necessario quindi sia prendere coscienza della direzione sbagliata che abbiamo preso, che compiere azioni pragmatiche per tamponare il problema.
Paolo Insolia