“Quando la città retta a democrazia si ubriaca di libertà confondendola con la licenza … in cui chi comanda finge, per comandare sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarli, tutti i vizi; … in un ambiente siffatto, … pensi tu che il cittadino accorrerebbe a difendere la libertà dal pericolo dell’autoritarismo?”
Una lezione di XXIV secoli fa.
Ci sono sempre dei segnali che anticipano gli eventi.
Vanno colti subito per intervenire in tempo utile. Dopo, quando il sentimento comune si è strutturato, è tardi.
Un paio di esempi.
Paesi storicamente democratici, come il Regno Unito, il Brasile, gli Stati Uniti, ove demagoghi hanno alimentato l’orgoglio nazionalista e proposto, ancorché in modo simulato, la soluzione dell’uomo forte solo al comando, hanno trovato il consenso elettorale.
Ma pure senza rifarsi ai massimi sistemi, riflettendo a cosa ci succede immediatamente intorno, si possono cogliere sintomi culturali allarmanti. Anche nelle associazioni (non solo quelle dei partiti politici) più propense alla democrazia, sempre più persone maturano la convinzione, e la manifestano, che sia necessario decidere con fermezza, rimuovere il traccheggiare. Anche questo atteggiamento è un sintomo premonitore del vagheggiamento del “principe illuminato”.
Il limite, il vizio, il pericolo per la democrazia, è riconducibile all’incapacità di essere come si dovrebbe essere per essere davvero democratici. Pensiamo ad esempio a quante volte, nelle riunioni delle associazioni a cui partecipiamo, qualcuno se ne esce dicendo che serve una posizione netta, decisa.
In realtà invece la democrazia esige un comportamento non univoco, bensì equivoco.
Nella prima fase, in cui le opinioni maturano, dovremmo accettare come virtuoso che vi sia confusione, incertezza, al fine di poter considerare le questioni nel modo più aperto possibile.
Nella seconda fase, in cui si prende la decisione, dovremmo accettare che la soluzione possa non essere conforme alla propria.
Un esempio grandioso, sempre di XXIV secoli fa. Socrate venne condannato a morte. Aveva la possibilità di fuggire e vivere. Preferì morire per coerenza. Scelse di rispettare le regole che la città si era data, seppure lui, in quel caso, quelle regole non le condivideva.