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“Mentre Los Angeles brucia”: il ritorno di Fabri Fibra con un album maturo

Il disco d’oro che racchiude tutti gli elementi ontologici del Rap e conferma la fedeltà dell’artista alla sua identità.

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Fabri Fibra Fabri Fibra © Incolia
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Paolo Insolia: Il 20 giugno scorso, a poco più di tre anni dall’uscita di Caos - suo decimo album in studio - Fabri Fibra ha pubblicato Mentre Los Angeles brucia, frutto di due anni di lavoro. Qualche giorno fa il rapper originario di Senigallia ha annunciato sulle sue pagine social il riconoscimento del disco d’oro, che in questo periodo storico - in cui la musica viene fruita quasi unicamente sulle piattaforme digitali, soppiantando l’acquisto del disco fisico - assume una maggiore importanza.

La longeva carriera solista di Fibra inizia nel 2002, con la pubblicazione di Turbe Giovanili - prima di allora aveva pubblicato alcuni lavori, il più celebre dei quali è Sindrome di Fine Millennio, realizzato insieme al gruppo Uomini di mare, composto da lui e da Lato, storico beatmaker -. I due album, complice la chiusura del mercato discografico italiano al Rap, non ottennero il successo sperato, anche se creò interesse all’interno della scena Hip Hop.

Nel 2004, vanificata la speranza di firmare un contratto importante e poter così arrivare al grande pubblico, Fibra se ne esce con Mr. Simpatia, un disco dalla scrittura ironica e al contempo spietata scaturita dalla penna della sua personalità demoniaca - l’ombra junghiana, che ognuno di noi possiede - e che dissacra i valori su cui poggia la società occidentale: la famiglia, la chiesa, il rispetto delle donne, le norme consuetudinarie che l’hanno fatta prosperare e che, ancora oggi, ne fanno l’esempio più avanzato di civiltà. Il Joker/Fibra di Mr. Simpatia ottenne un discreto successo, e le case discografiche non poterono più ignorarlo. Fabri Fibra firma così un contratto con l’Universal Music Group, e nel 2006 pubblicaTradimento, l’album che farà diventare popolare il Rap in Italia, segnando l’inizio di un’ascesa che continua a decollare.

Oltre a un talento smisurato nel rappare - ad oggi, purtroppo, non così fondamentale come un tempo - il segreto di Fibra sta forse nel non seguire la formula del successo a tavolino - ricalcare gli artisti del momento con risultati spesso mediocri - ma di lavorare a progetti personali sulla scia delle emozioni vissute nel presente. Il mondo interiore è costituito da fasi che cambiano a seconda del periodo che viviamo, perciò il Fibra trentenne dai tormentoni storici di Bugiardo - suo quarto album ufficiale - non esiste più, come non esiste più quello all’apice della carriera quando uscì con Controcultura. Voler rimanere statici, fermi agli anni d’oro degli esordi, è un errore madornale. Il pubblico desidera prima di tutto ascoltare la verità dell’artista.

Fibra non si snatura, non fa musica per compiacere gli altri, non si uniforma a ciò che in quel momento funziona. La sua priorità è rimanere fedele a sé stesso. La musica del rapper marchigiano va di pari passo con la sua maturità personale, ovvero con i sentimenti e le emozioni da cui è attraversato al momento della scrittura. E’ questo a renderlo interessante e originale. La scelta delle produzioni, che cambiano di disco in disco, sono peculiari e non risultano mai scontate.

Il modo in cui affronta le tematiche ha subìto bruschi cambiamenti negli anni. La rabbia e la spensieratezza degli inizi hanno fatto spazio a una maggiore stabilità emotiva anche se, come accade a ogni artista, è il passato a fornirgli gli elementi necessari alla realizzazione dei brani. Fibra è un vincente per due motivi: il primo, come abbiamo detto, è la fedeltà a sé stesso; il secondo, fondamentale come il precedente, è la profonda conoscenza della sua arte: il Rap, ilgenere musicale afroamericano nato negli anni ‘70 nel South Bronx, quartiere popolare di New York.

Per conoscenza non si vuol fare riferimento ad un presunto scopo insito nel Rap, anche perché, anche se a detta di alcuni i rapper della prima ora affrontavano battaglie sociali come l’emancipazione dei neri e l’incapacità del governo di provvedere ai quartieri poveri e degradati degli Stati Uniti, preda di gang, droga e violenza, non c’è mai stata una comunanza di intenti tra loro. Ognuno ha sempre vissuto la musica a modo suo, con il proprio stile e i propri argomenti. Pur essendoci individui che trattano l’Hip Hop con sacralità e ammoniscono artisti, famosi e non, di smetterla di spacciarsi per rapper - poiché non ne rispettano i presunti stilemi - tal genere musicale - come tutti i generi musicali - non è una religione. Non ci sono comportamenti da seguire o riti da mettere in pratica, e non c’è nessun superiore a richiamare per aver commesso comportamenti illeciti.

Il Rap è un mezzo per esprimersi, e di facile accesso. Tale facilità ha dato modo a tantissimi di provarci, e negli ultimi anni hanno raggiunto il successo artisti mediocri che sono stati premiati non per la bravura, ma per altre caratteristiche, quali l’originalità e l’idiozia - sì, gesti e liriche idiote attirano, soprattutto i giovanissimi -. Molti hanno avuto la fortuna di avere tra le mani ottime produzioni, e negli ultimi dieci anni il suono è diventato più importante delle rime e del flow. Il livello dei rapper famosi è calato notevolmente rispetto al primo decennio degli anni 2000, e gran parte della loro fortuna la devono ai beatmaker.

Per conoscenza profonda del Rap intendiamo l’aver chiaro il modo di trattarlo per raggiungere un risultato soddisfacente,essendo una forma d’arte alla stregua della pittura e dell’architettura. Un bravo pittore sa cosa è possibile fare con il pennello, e ne riconosce i limiti; è consapevole che un ritratto, per quanto dettagliato sia, non sarà mai fedele come una fotografia. Fabri Fibra lavora con il Rap come se fosse una scultura, e le sue opere vengono sempre apprezzate. Le basi musicali sono pezzi informi del marmo che lui, con la voce e le rime, trasforma in opere artistiche.

Mentre Los Angeles brucia ha ricevuto alcune critiche negative da parte di soggetti che non hanno capito le prerogative del Rap, perciò è doveroso ricordarle. In generale, ascoltare musica non significa necessariamente imparare qualcosa di saggio sulla vita. Se l’obiettivo è quello, è meglio rivolgersi ai libri, dove è possibile riflettere sul testo scritto. Se leggere offre infatti l’opportunità di ragionare, data la possibilità di soffermarsi sulle parole il tempo necessario a comprendere il testo, nelle canzoni questo è molto più difficile. A livello cerebrale, a differenza della lettura - attività statica per eccellenza - l’ascolto è un processo dinamico. Con il passare dei secondi di un brano la mente produce immagini, e di conseguenza emozioni. Durante l’ascolto non c’è tempo per la riflessione.

Le canzoni possono anche istruire, ma la struttura poetica di un brano rende il compito arduo. A maggior ragione il Rap, dove l’artista deve mantenere fede a suoni digitali dal ritmo incalzante. Come dicono David Foster Wallace e Mark Costello nel saggio Il rap spiegato ai bianchi, l’ascoltatore non riesce davvero ad ascoltare, ma si limita a percepire il miscuglio di suoni e campionamenti dei brani. Un aspirante filosofo o una guida spirituale rinunci a prendere in mano un microfono e a rappare se spera di monetizzare con le sue dottrine. Esempi dirapper filosofi ci sono stati e tuttora ci sono, ma i risultati in termini numerici sono sempre stati magri.

Il Rap deve trasmettere emozioni. Questo è il suo unico scopo, o almeno il principale. L’autore deve vivere un certo tipo di esperienze per risultare credibile. Rappare significa dunque raccontare un episodio, o più episodi, descrivendo la felicità, l’ansia, la paura, la beatitudine provate nel viverli. Non è la riflessione sull’esperienza che viene riportata, ma l’esperienza stessa. Se non si comprende questo punto, ogni canzone Rap risulterà vuota e infantile. Accusare Fibra di essere immaturo per il brano Mio padre, dove afferma di essere cresciuto insicuro per colpa del suo vecchio - morto qualche tempo fa - mandandolo ripetutamente a quel paese nel ritornello, è segno di ignoranza.

Tali accusatori pensano davvero che Fibra sia un ignorante in materia filosofica e psicologica, e che non abbia mai riflettuto sul fatto che il passato non può, o meglio non deve, in alcun modo condizionare il presente, teoria espressa ormai dalla quasi totalità degli approcci psicologici degli ultimi decenni? O piuttosto l’artista in questione vuole mettere in luce i pensieri e i sentimenti che si formano - o si sono formati - spontaneamente a seguito di esperienze negative vissute in prima persona? Il Rap non educa su come superare i traumi, ma li riproduce in tutto e per tutto. E le persone hanno bisogno di sapere che qualcuno vive le loro stesse situazioni, a maggior ragione nella società di oggi che mira soltanto a curare - tramite trattamenti psicologici o terapie farmacologiche - trascurando il vissuto del paziente, che necessita di sfogarsi.

Il Rap precede la cura del dolore - sempre che ci sia qualcosa da curare - e della riflessione, e narra l’esperienza nuda ecruda. Se oggi ci viene detto che un padre tiranno non è la causa diretta della nostra freddezza nei confronti degli altri, ma semmai è il prodotto della nostra essenza - e che quindi saremo stati freddi anche con un padre esemplare - i rapper tendono esprimere i pensieri che gli sovvengono al ricordo di chi li ha messi al mondo. Il pensiero “sono insicuro per colpa di mio padre” è automatico, e appartiene a chiunque. Ecco, i rapper scrivono e cantano quel pensiero; si fermano lì, non vanno oltre correggendolo, ma lo esprimono.

In questo brano Fibra dice anche: “penseranno sono un pazzo, cazzo me ne frega”. E’ raro che qualcuno dica ciò che pensa senza il filtro della mente riflessiva, ma in ambito musicale è necessario per dar modo all’emozione di venire fuori. Non è facile da farsi, poiché la mente che riflette è sempre lì che vuol dire la sua, che ci sussurra che stiamo sbagliando. Ma dopotutto non è facile nemmeno essere artisti. Altra prerogativa del Rap, che si riallaccia a quella precedente, è la semplicità, che non equivale a banale. Il testo Figlio, in cui Fibra elenca una serie di consigli al figlio che mai avrà - mai dire mai - è stato accusato di essere troppo sempliciotto. Gli dice di tenersi lontano dall’alcol, di tenersi stretti gli amici, di essere sé stesso, di trattare bene le ragazze, e di non fare ciò che gli altri si aspettano da lui. In una canzone di tre minuti con due ritornelli cosa poteva consigliare? Di leggere l’opera omnia di Emil Cioran prima dei trent’anni, di lavarsi i denti almeno due volte al giorno, di provare a eguagliare i record di Ronnie O’Sullivan, sette volte campione del mondo di snooker? Semplicità è la parola magica che fa rilasciare le emozioni, e si ritrova anche in brani come Vivo, Cometa, Mentre Los Angeles brucia e Stammi vicino.

Mentre Los Angeles brucia è un album meraviglioso, e come tutti i precedenti di Fibra alterna singoli leggeri e radiofonici a brani più impegnativi. A quasi cinquant’anni non ha perso la grinta, e tecnicamente è ancora insuperabile. La sua voce limpida unita al flow tagliente e a rime ricercate lo rendono subito riconoscibile. A distanza di quasi vent’anni dall’uscita di Vip in Trip, uno dei suoi singoli più famosi, ancora oggi cantati a squarciagola dai ragazzi di ogni discoteca d’Italia, è il caso di ribadirlo: Fabri Fibra è tanta roba.

Paolo Insolia

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