
Breve analisi di un progetto oneroso che andrà a rafforzare la difesa europea. Il ReArm Europe, il piano da ottocento miliardi di euro da destinare alla difesa dei paesi europei, proposto il 4 marzo scorso dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, è stato ufficialmente approvato a larga maggioranza dal Parlamento europeo.
Tralasciando per un momento la questione del “giusto o sbagliato”, che affronteremo dopo, è importante capire il contesto in cui certe manovre hanno origine.
La proposta e la conseguente approvazione del ReArm Europe sono il segno tangibile di un mondo che, a distanza di pochi mesi - un lasso di tempo brevissimo considerando il lungo periodo di relativa pace e stabilità che ha vissuto l’Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi - ha subito un cambiamento epocale, in cui gli equilibri che hanno regolato per decenni l’Occidente sono stati, e continuano a essere, stravolti.
Il conflitto tra Ucraina e Russia scoppiato tre anni fa ha fatto sì che l’Europa ripensasse la sua politica difensiva. Numerosi sono infatti i paesi europei che, dopo l’inizio della cosiddetta Operazione speciale indetta da Mosca, hanno aumentato le spese militari, soprattutto quelli confinanti con la Federazione Russa, tra cui Polonia e Lettonia - rispettivamente dell’85,1% e del 48,6% - poiché temono di essere, in futuro, le innumerevoli vittime delle mire espansionistiche di Vladimir Putin (entrambi facevano parte dell’Unione Sovietica).
La Finlandia, che nel 2023 è diventata un membro della NATO e che nel 1939-40 combatté contro l’URSS la Guerra d’Inverno - conclusasi con la cessione di parte del suo territorio al nemico - non ha mai abolito il servizio di leva obbligatorio e possiede armamenti all’avanguardia e un numero di riservisti enorme (novecentomila), considerando il totale dei suoi abitanti (poco più di cinque milioni e mezzo).
Anche altri paesi NATO hanno visto lievitare le spese per la difesa, tra i quali Germania (+40,7%), Francia (+9,6%) e Spagna (+10,6%). L’Italia, in controtendenza, è l’unico paese europeo ad aver diminuito i costi (-2,1%).
La paura di una guerra contro la Russia ha fatto sì che i paesi occidentali corressero ai ripari incrementando il numero di armi, e molti leader parlano di un ritorno alla leva obbligatoria, compresi quelli nostrani - in primis l’attuale Ministro dei Trasporti e segretario della Lega, Matteo Salvini, da sempre favorevole.
Dal 2026, in Danimarca sarà obbligatoria la coscrizione femminile, e nell’aprile 2023 la Lettonia ha introdotto la coscrizione obbligatoria per entrambi i sessi.
Se la guerra in Ucraina non fosse già abbastanza, il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, in carica dallo scorso 20 gennaio, ha dato un'ulteriore scossa al problema delle forze armate europee.
Il tycoon ha sempre espresso il suo disappunto verso i membri della NATO del Vecchio Continente circa l’esiguità del denaro destinato alla difesa e ha annunciato che dovranno dirottare il 5% del PIL in spese militari (le linee guida della NATO prevedono il 2%, che non tutti, Italia compresa, arrivano a sostenere).
Neanche gli Stati Uniti spendono una cifra così alta, che ogni leader europeo valuta come impossibile da sostenere. Trump ha anche minacciato il ritiro di ventimila truppe americane su centomila situate nel nostro continente e chiede che l’Europa paghi per continuare ad avere un servizio così importante.
Queste affermazioni, già di per sé gravi, arrivano in un momento complicato, con la Russia che continua a bombardare l’Ucraina e a minacciare ripercussioni su chi continua a fornire aiuti a Kiev.
In linea con la tradizione della destra repubblicana statunitense, Trump fa i suoi interessi. E l’Europa è corsa ai ripari. Il ReArm Europe è un progetto che si estende in quattro/cinque anni e mira a rendersi autosufficiente dal punto di vista della difesa militare. Agli Stati membri dell’UE sarà consentito di sforare il tetto massimo del 3% del deficit di bilancio, arrivando a una cifra massima di 650 miliardi di euro, e avranno a disposizione ulteriori 150 miliardi da usufruire in investimenti militari condivisi. In tutto si arriva a 800 miliardi. Altro denaro proverrà da altre fonti, come dai fondi di coesione, dalla Banca europea per gli investimenti e da investitori privati.
L’Unione Europea non possiede un esercito comune, anche se si parla di realizzarlo fin dall’inizio della sua fondazione. Ogni Paese possiede il proprio esercito, quasi tutti facenti parte della stessa alleanza, la NATO, il cui articolo 5 consente ai suoi membri di intervenire militarmente qualora uno solo di essi fosse sotto attacco. Ma con Donald Trump la certezza di difesa da parte statunitense è crollata; egli ha dichiarato che, se i Paesi europei non contribuiranno alla difesa come lui desidera – il famoso 5% del PIL – potrebbe decidere di abbandonare l’alleanza.
Ciò che trapela da Washington circa le sue intenzioni future va contro la nostra incolumità. Il fatto che non voglia più far partecipare i suoi soldati alle esercitazioni militari in Europa, o di voler spostare in Ungheria le truppe presenti in Germania – in virtù della sua rabbia verso l’Unione Europea, colpevole, secondo lui, di voler continuare a combattere in Ucraina e perciò di non muovere un dito per la pace – è un segnale di pericolo. Bisogna dirlo chiaro e tondo: senza la protezione degli Stati Uniti siamo vulnerabili.
Ora, il piano indetto dalla Von der Leyen, più che una dichiarazione di guerra alla Russia, è un deterrente. La guerra non piace a nessuno, ma purtroppo a volte è possibile trovarsi in situazioni in cui bisogna far parlare le armi. Si spera sempre che non accada, ma in quei casi trovarsi preparati fa la differenza. Israele investe capitali ingenti per l’Iron Dome, il sistema di difesa missilistico più avanzato al mondo, e senza di esso avrebbe subito danni irreparabili e un numero altissimo di vittime civili. Putin, anche se non sembra intenzionato ad attaccare alcun Paese NATO, sappiamo essere una scheggia impazzita.
È vero: il denaro che finanzierà il ReArm potrebbe essere usato in maniera diversa, ad esempio per aiutare i più bisognosi, ma la difesa non dev’essere considerata una materia di cui è possibile fare a meno. Il relativo periodo di pace che stiamo vivendo è garantito da un’alleanza armata e dal miglioramento delle tecnologie militari. Nulla è scontato: l’uomo è una creatura imperfetta, peccaminosa, lussuriosa, e se non compie gesti violenti è perché è consapevole delle ritorsioni da parte della società. Lo stesso avviene tra Paesi. Far parte della NATO è un ottimo deterrente, come lo è possedere testate nucleari – la Russia è uno dei Paesi che ne detiene il maggior numero, così come gli Stati Uniti, motivo per cui la Guerra Fredda non divenne mai calda. Per fare la pace bisogna dimostrare di essere forti: suona male, ma è così.
Il seguente editoriale non è un elogio al ReArm, piuttosto un invito alla riflessione. È fin troppo facile prendere posizione, qualunque sia la tematica, eppure spesso ci schieriamo secondo l’emozione del momento o convinzioni più o meno granitiche che ci spingono a dire sì o no in maniera subitanea. Ma ciò di cui siamo convinti oggi, domani potremmo non esserlo più. Piuttosto, le domande da porci adesso sono: "Può l’Unione Europea continuare a investire sempre meno nella difesa, considerando che gli Stati Uniti sono sempre meno propensi a difenderci?", che si collega con: "Il ReArm era una misura inevitabile, visti i tempi bui in cui ci troviamo, con la guerra a un passo da casa nostra?"
Per concludere, in Italia il ReArm ha messo d’accordo due partiti un tempo parte dello stesso governo, ma dalle idee opposte: il Movimento Cinque Stelle, guidato dall’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, a sinistra, e la Lega, guidata da Matteo Salvini, a destra. La motivazione che i due hanno dato è più o meno la stessa: è ingiusto investire nelle armi e non nel sociale. Se non stupiscono le parole di Conte, visto il suo operato a Palazzo Chigi – l’introduzione durante il suo governo del tanto contestato Reddito di cittadinanza – lo fanno invece quelle di Salvini, da sempre sostenitore della leva obbligatoria, che ben si concilierebbe con l’aumento della spesa militare. Forse non è d’accordo con il ReArm perché pensato in chiave antirussa? Salvini non ha mai fatto mistero della sua ammirazione per Putin.
In ogni caso, oramai è fatta: il ReArm è stato approvato. L’augurio è che gli investimenti siano fatti con giudizio, evitando inutili sprechi, e che l’Europa, anche se più potente, non debba mai ricorrere alle armi.