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Settant'anni dell'Istituto storico fiorentino della resistenza in Toscana. Conservare la memoria per restare liberi

All'interno cimeli e documenti che raccontano i giorni di resistenza nell'Italia invasa dai nazisti

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Bandiera CTLN Bandiera CTLN © N. c.
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L'Istituto storico della Resistenza in Toscana, situato a Firenze in via Giosuè Carducci, spegne settanta candeline. Per l'occasione, da giovedì 23 novembre a sabato 25 novembre, è stato organizzato un programma di eventi gratuito dal titolo "Conoscere, conservare, condividere".

L'istituto ospita cimeli, documenti, fotografie, volumi, manifesti, volantini: un archivio da cui è possibile conoscere una parte della lunga e travagliata storia della Resistenza toscana. E anche di più, se consideriamo che ogni esperienza vissuta in prima persona veicola una certa atmosfera: osservare dal vivo oggetti di questo tipo ci porta a rivivere il nostro passato di guerra, e di conseguenza a coltivare la memoria.

Il mantenimento dell'istituto e il pagamento del personale provengono dai finanziamenti regionali. Tra gli oggetti conservati troviamo la scrivania su cui, il 27 febbraio 1921, venne assassinato a colpi di pistola il sindacalista Spartaco Lavagnini da un gruppo di squadristi fascisti; il vassoio di Ventotene, opera d'arte eseguita nel 1940 da Ernesto Rossi durante il confino, insieme a altri intellettuali e oppositori del regime fascista, sull'omonima isola; fotografie del partigiano Agnolo Gracci, che raccontano i duri giorni della Resistenza a Firenze; l'ultimo scritto di Piero Calamandrei, intitolato Questa nostra Repubblica.

Questi sono gli ambienti da tutelare e da far conoscere, in quanto è dai loro archivi che è ripartita, dopo essere precipitata in un burrone, la storia del nostro paese. Il ventennio fascista ha diviso in due blocchi contrapposti l'Italia pre e post regime.

Il fascismo fu un buco nero che cercò di unire gli italiani, dalla mentalità provinciale e circospetta, sotto l'idea illusoria di una nazione finalmente forte e vicina agli ultimi. I risultati sono noti: divieto di sciopero, uso indiscriminato della violenza, persecuzioni, messa al bando di ogni partito d'opposizione, leggi razziali e alleanza in guerra con la Germania nazista.

Dopo la fine della guerra e del fascismo l'Italia fu - e continua a esserlo tutt'oggi - tutelata da una costituzione studiata per allontanare il ritorno del fascismo. Seppur in certi passaggi imperfetta e di auspicabile modifica, i padri costituenti si impegnarono per mettere a punto una legge che tutelasse i diritti inviolabili di ogni cittadino, e che facesse sorgere dalle ceneri del totalitarismo un paese democratico, laico e pluralista.

Ma il fascismo non dev'essere dimenticato. Non dev'essere fatto rivivere in nessuna sua forma, ma dimenticato mai. Dimenticare bisogna farlo solo nei confronti della nostra storia personale, a cui spesso ci aggrappiamo per spiegare, attraverso fittizie motivazioni, il perché dei nostri comportamenti e delle nostre scelte di vita.

La storia collettiva invece va trattata all'esatto opposto, in quanto gli eventi da cui è composta hanno dato vita all'ambiente dove viviamo. Per ricordarci che nulla è dato per scontato, e che è fondamentale riconoscere i segnali del totalitarismo, bisogna coltivare la memoria, e custodirla come un tesoro.

C'è chi ha dato la vita per un'Italia e un'Europa migliore. Sono stati chiamati partigiani, uomini e donne che hanno combattuto contro un nemico che li ha vessati e tenuti in ostaggio per vent'anni, e che ha mandato in guerra milioni di cittadini italiani; una guerra inutile motivata dall'idea di un imperialismo legittimato da una teoria antiscientifica: la superiorità di una razza su altre considerate inferiori. Le battaglie dei partigiani vanno tramandate, i loro nomi e i loro volti conosciuti.

La Resistenza italiana fu possibile grazie allo sforzo collettivo di chi aveva conosciuto il male, e ha lottato per vincerlo. Conoscerla e commemorarla è un dovere. Visitare sedi come l'Istituto della Resistenza toscana a Firenze significa rivivere, e quindi partecipare, a quello sforzo. Luoghi di questo tipo sono come lanterne che guidano nel buio della notte, e sono soprattutto le nuove generazioni - che non hanno mai conosciuto di persona la brutalità della guerra - a doverlo fare.

L'identità, che mira a spiegare chi siamo e da dove veniamo, non è quella demenziale propinata dall'estrema destra coincidente con il sangue degli avi e con tradizioni e insiemi di valori da difendere a qualunque costo, anche se anacronistici e col tempo riconosciuti sbagliati. L'identità non può essere racchiusa, e riassunta, da recinti così deboli, ed è prima di tutto una condizione personale.

Possiamo sì essere influenzati dalla genetica, ma ciò che siamo nel profondo è dato da un'anima propria, differente da quella di coloro che ci hanno preceduto e a cui nella maggior parte dei casi non interessa mantenere in vita tradizioni e valori passati. E' quì che il pensiero fascista crolla come un castello di carte.

Benché personale, l'identità ha però bisogno di formarsi, di conoscere il mondo in cui è inserita, e evitare sia di compiere che di subire il male. Ad oggi, l'identità di ogni cittadino, europeo e non, non può prescindere dalla conoscenza della Resistenza italiana. Ciò che uccide davvero l'identità è l'ignoranza.

Articolo di Paolo Insolia

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