Käthchen di Heilbronn, dello scrittore settecentesco Heinrich von Kleist: è questo il romanzo di inizio Ottocento che Giovanna Botteri, volto noto della televisione italiana, ha scelto di portare al Libro della Vita a Scandicci. Un romanzo semisconosciuto, breve, che a detta della Botteri porta dentro di sè il faro della rivoluzione, un salvavita per chi vive in ambienti inquinati di grettezza e poco inclini al cambiamento, come quello in cui è cresciuta. Il romanzo racconta la vicenda di Caterina di Heilbronn, la figlia del fabbro del paese, che quando si imbatte in un bel principe ha una visione, un sogno premonitore a occhi aperti: che quel principe diventerà suo marito. Caterina proviene da una famiglia umile, e ha il grosso impedimento di essere donna. Le donne ai tempi di Von Kleist non prendevano iniziative, e il loro percorso di vita era segnato dalla nascita, in una infernale corsa circolare senza particolari scossoni emotivi, se non quelli provenienti dalla consapevolezza della loro amara mancanza.
Il protagonista del romanzo non è Caterina, e nemmeno il principe, bensì il sogno, quel profluvio di immagini che ha la possibilità di farci vivere vite differenti da quella che il destino ha scelto per noi. Käthchen di Heilbronn ci insegna che il desiderio, da cui deriva l'amore, è possibile soltanto in presenza del sogno. Da ciò si deduce che amare è concesso unicamente a uomini e donne dalla mente sognante. Caterina ama grazie al sogno, ama nel sogno, e niente e nessuno può toglierle la sua innata capacità di sognare. Giovanna Botteri, giornalista di fama mondiale che ha documentato scene di guerra terribili, non ha mai perso la speranza di vedere trionfare l'amore in un mondo che ancora dirime le questioni mobilitando gli eserciti. L'amore, dice a ragione la Botteri, ci fa unire a persone di diversa cultura e etnia, abbassare le armi e distillare la compassione, come il giovane soldato di leva russo rifocillato da una donna ucraina.
E dall'amore arriviamo, come da corollario, alla pace, e all'importanza del giornalismo per far sì che trionfi sul male radicale: la guerra. Giovanna Botteri afferma che senza l'informazione, o meglio, la buona informazione, la pace sarà sempre un miraggio. E io, che nel mio piccolo faccio informazione, non posso che essere d'accordo con il suo pensiero. Il giornalista, dice la Botteri, ha il compito di fermare il boia prima che compia la turpe azione, ma non con le armi, bensì con una penna che riporti la realtà nuda e cruda, e non una sua capziosa costruzione. Le persone hanno il diritto di sapere la verità. E' dalla presa di coscienza della verità che nasce la forza per ribellarsi a chi perpetra il male. La Botteri riporta esempi personali in cui ha potuto constatare quanto sia potente l'arma della disinformazione. Con una punta di amarezza ha raccontato di quando una sua cara amica le disse che il Massacro di Srebrenica in Bosnia ed Erzegovina, che lei aveva documentato, non era mai avvenuto.
Caterina di Heilbronn combatte per amore, ma la sua è una lotta sana. Combattere per la libertà è diverso dal combattere per soggiogare altri popoli. Il partigiano che scende in guerra per liberare l'Italia dal nazifascismo ha obiettivi opposti al suo nemico che lo fa per il mantenimento dello status quo. Piuttosto che domandarci chi ha ragione nel conflitto russo-ucraino, bisognerebbe prima di tutto essere sinceri con noi stessi, e chiederci se stiamo attingendo a informazioni da fonti autorevoli. L'anima, direbbe Jung, sa distinguere il bene dal male, e non ha bisogno dell'opinione del nostro minuscolo io. Il bene è a priori in noi, disse Kant, ma l'anima per riconoscerlo deve venire a contatto con la verità. Quà entra in campo il giornalista, che ha la missione di diffondere notizie cercando, ove possibile, di rimanere neutrale.
Amore, pace e verità: questa è la triade che Giovanna Botteri ci invita a non perdere mai di vista, e io non posso fare altro che ringraziarla per il suo lavoro. "Se vi chiedono chi è Giovanna Botteri, rispondete che sono una romantica"; con queste parole ci ha salutati. E forse ha reso più romantici, e sognanti, anche noi. Senza forse.