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Dai racconti al teatro, e ritorno. Intervista a Matteo Lucii

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Dai racconti al teatro, e ritorno. Intervista a Matteo Lucii Dai racconti al teatro, e ritorno. Intervista a Matteo Lucii © n.c.
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Scrivere, e altre cose piacevoli.... Uscirà in prima assoluta Sabato 28 Luglio alla Casa di Giotto a Vespignano “Milletrecento”, commedia brillante su Dante e Giotto, ultima fatica dello scrittore borghigiano Matteo Lucii. Dopo aver messo la firma sulla sceneggiatura in “Dante, l’esilio”, da un’idea di Tebaldo Lorini, e che ha avuto un grande successo tanto che verrà rappresentato anche a San Godenzo il 21 agosto nelle rievocazioni storiche su Dante Ghibellino, ecco una nuova produzione teatrale. Lasciatolo come autore di racconti brevi, premiati più volte a livello nazionale, ci siamo incuriositi per questa sua trasformazione e con lui parliamo di scrittura. “Come è nata questa tua passione per il teatro?” “Qualche anno fa, facendo la voce narrante per lo spettacolo “Le Cento Case”. Eravamo in Piazza Castelvecchio, a Borgo, e l’atmosfera che si respirò quella sera fu talmente coinvolgente che mi conquistò. Ho fatto alcuni spettacoli, di vario genere, e il teatro mi ha conquistato definitivamente. Addirittura mi sono trovato a fare dei musical, interpretando il Gatto in Pinocchio e il Mago nel Magico Mondo di Oz! Da lì tornare al mio primo amore, la scrittura, e declinarla in testi per il teatro è stata un’evoluzione naturale. Anno scorso ho scritto “Dante, l’esilio”, un lungo monologo in più quadri inframezzato da letture dei canti della Divina Commedia e completato da canzoni e coreografie di una ballerina. Quest’anno ho immaginato un incontro tra lo stesso Dante e Giotto. Tra i due c’erano soltanto due anni di differenza e sebbene da nessuna parte ci sia traccia di un loro incontro, la cosa, essendo uno fiorentino e l’altro mugellano, era per me plausibile. E mi sono divertito ad immaginare una sera in cui questo avviene…” Tu vieni dai racconti brevi. Che differenze ci sono tra questi due generi? “Prima delle differenze mi piace sottolineare il filo rosso che li accomuna: scrivere. Se ti piace scrivere il più è fatto, si tratta solo di trovare alcuni accorgimenti tecnici e di forma, soprattutto perché hai di fronte due pubblici diversi. Ma quello che conta è la scrittura, senza di quella puoi essere preparato quanto vuoi ma dopo produci solo cose senz’anima. E la gente se ne accorge. E’ più disposta a perdonarti qualche carenza di stile piuttosto che sentire che non riesci a coinvolgerla. Poi è ovvio che differenze ci sono. Nel racconto il lettore si immagina quello che scrivi, in teatro deve immaginarselo solo l’attore, che poi lo mostra al pubblico. Se non hai fatto un minimo di teatro fai fatica a rappresentare uno scritto. Devi tenere in considerazione i silenzi, il ritmo, l’intonazione, i movimenti, i cambi di scena…devi essere pronto a scrivere come se tu lo facessi direttamente da sopra un palco.” Quindi niente più racconti brevi? “Tutt’altro! Per me la cosa bella è scrivere, che poi diventi un racconto o una commedia è marginale. Dopo l’esperienza delle “Storie in barattolo”, racconti realizzati ad personam, ho notato che la maggior parte di questi non erano storie riferite a chi le commissionava ma storie che vivevano di una vita propria. Ne ho scritte circa duecento e adesso sto preparando una raccolta che ne conterrà una quindicina oltre ad alcuni inediti. Uscirà in autunno ed è probabile che si chiamerà Frammenti, anche se credo che cambierò il titolo almeno venti volte da qui ad allora! Nel frattempo mi diverto a scriverne di nuovi. Cerco un concorso con un tema imposto e su quello scrivo. Per me diventa una sfida, un modo per tirare fuori quello che penso sull’argomento, cercando di racchiuderlo dentro una storia. Se penso che a scuola odiavo fare i temi di italiano…” Quali altri progetti hai in mente? “Ho due libri che da qualche mese stazionano nella memoria del mio computer, anche se chiamarli libri è una forzatura, sono solo dei files che spero un giorno possano trovare vita sotto forma di volume! Il primo, “+39” è una storia sulla tragedia dell’Heysel del 1985, dove morirono trentanove persone, che ho vissuto in prima persona. Sarà un racconto a tre voci: la mia, quella di un tifoso inglese e quella di un poliziotto belga. Ognuno porterà la propria, di storia, fino al momento della partita, in cui le tre storie diverranno una storia unica, a sua volta inserita nella Storia, quella con la esse maiuscola. Ci sto lavorando da un paio di anni, e la ricostruzione dei fatti è stata minuziosa ma anche dolorosa. Per questo ogni tanto ho bisogno di staccarmi da questo e scrivere di altro. Il secondo è “Vita da barista”, al momento uno zibaldone di aneddoti, curiosità, fatti realmente accaduti o solo immaginati che si svolgono nella pasticceria dove lavoro. Per il momento accumulo pagine, poi deciderò se farlo diventare un romanzo, dotandolo di una trama, o se rimarrà qualcos’altro. Teatro, racconti, concorsi, romanzi. Come trovi il tempo di fare tutto? “Di tempo le persone ne hanno tanto. E’ che spesso lo sprecano. Se una persona contasse quante ore perde durante la giornata a mandare messaggi, stare sui social, guardare programmi imbarazzanti, occuparsi di cose che non la interessano, credo che rimarrebbe stupita dalla cifra che viene fuori. Io l’ho fatto, per questo ora ho tempo per scrivere…" Cosa puoi dire a chi volesse avvicinarsi alla scrittura? “Quello che mi disse una volta una giovane appassionata di libri. Per scrivere, bisogna leggere. Ed aveva ragione. Tengo dei corsi di scrittura creativa, dove provo ad insegnare alcune tecniche ed alcuni accorgimenti per migliorare la capacità di scrivere. Ma se uno non legge, e non ha la fantasia per avere una buona idea in testa, tutto il resto serve a ben poco.” A proposito di lettura, ci dai tre titoli per quest’estate? “Novecento, di Baricco. Sempre e comunque. Follia, di McGrath. Un capolavoro sull’amore malato. L’analfabeta che sapeva contare, di Jonasson. Non troverete un libro che vi faccia ridere più di questo. Però dirtene solo tre è stata una tortura…”

 

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