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1° maggio - Una nota del PMLI - Celebrare il Primo Maggio con lo spirito e gli obiettivi originari di Andrea Cammilli*

È una “festa” di classe, proletaria, con una impronta rivoluzionaria, anticapitalista, antifascista e antimperialista

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Pubblichiamo di seguito una nota del PMLI - Celebrare il Primo Maggio con lo spirito e gli obiettivi originari di Andrea Cammilli* La Giornata Internazionale dei Lavoratori non è una “festa” come tutte le altre. È una “festa” di classe, proletaria, con una impronta rivoluzionaria, anticapitalista, antifascista e antimperialista. Ce lo dicono le sue origini e gli obiettivi che stanno alla base della sua istituzione. Non a caso è una data da sempre indigesta ai padroni, ai suoi governi e a tutti i reazionari. Mussolini e il fascismo l'abolirono appena saliti al potere, mentre negli Usa, dov'è nata, non si festeggia, si è sempre cercato di sostituirla con altre date o significati per tagliare ogni legame con il movimento operaio e comunista.

Le origini La sua origine è indissolubilmente legata alle lotte del movimento operaio che nel XIX secolo si stava strutturando e organizzando, e in particolare a quella per l'istituzione della giornata lavorativa di 8 ore, in un'epoca in cui i padroni sfruttavano gli operai, compresi i fanciulli, fino a 16 ore al giorno in condizioni miserevoli, dove la sicurezza non era nemmeno contemplata. Nel 1886 negli Stati Uniti per la prima volta fu avanzata questa importantissima rivendicazione, che subito venne fatta propria dalla Prima Internazionale dei partiti operai guidata da Marx ed Engels. In quello stesso anno per rivendicare le otto ore, negli Usa si svolsero scioperi e manifestazioni, ovunque repressi con violenza. A Chicago, uno dei grandi centri industriali americani, la mobilitazione sfociò in una vera e propria battaglia dove la polizia uccise decine di operai a cui seguirono processi sommari e persecuzioni nei confronti dei leader della protesta. Pochi anni dopo fu il congresso di fondazione della Seconda Internazionale, di cui Engels sarà dirigente e capo riconosciuto, a istituire ufficialmente la celebrazione del Primo Maggio (in ricordo degli operai uccisi a Chicago) che dal 1890 divenne data fissa in cui organizzare una grande manifestazione internazionale per ridurre legalmente a otto ore la giornata lavorativa. Ben presto si andrà oltre questa specifica rivendicazione e il Primo Maggio diventerà una giornata di lotta per migliorare in generale le condizioni di vita dei lavoratori e delle masse popolari e contro lo sfruttamento, fino ad arrivare a mettere sotto accusa la stessa società che lo genera, ossia il capitalismo.

Fu presto chiaro che lottare per i propri diritti, seppur indispensabile, non sarebbe bastato a cambiare radicalmente le cose e il ruolo subalterno del proletariato rispetto alla borghesia, e nelle piazze del Primo Maggio s'iniziò a rivendicare una società completamente nuova dove fosse abolito lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, il socialismo. Questi, in estrema sintesi, sono lo spirito e gli obiettivi originari del Primo Maggio. Le condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori in Italia Per i marxisti-leninisti questo spirito e quegli obiettivi sono tuttora validi. Il contesto storico, le condizioni sociali, il quadro internazionale sono senz'altro cambiati in quasi un secolo e mezzo. La tecnologia ha fatto passi da gigante, nuovi settori economici si sono sviluppati, altri sono al tramonto. Quantunque si sostenga che siamo passati dall'assetto industriale, che produceva prodotti materiali, all'assetto postindustriale, che produce prodotti immateriali, il sistema economico è sempre quello capitalista. La borghesia ha in mano tutto il potere: da quello politico ed economico e finanziario a quello istituzionale, giuridico, culturale e mediatico. Il proletariato invece non ha niente, tranne le braccia per lavorare. Nonostante le lotte incessanti che il proletariato ha condotto dalla fine '800, lo sfruttamento a cui sono sottoposti i lavoratori rimane l'unico mezzo per estrarre il plusvalore che arricchisce i capitalisti. Negli ultimi decenni abbiamo assistito addirittura a un inasprimento dello sfruttamento, e il nostro Paese ne è un esempio lampante.

La precarietà del lavoro in Italia riguarda una larga fetta di lavoratori, abbiamo assistito alla destrutturazione delle grandi concentrazioni industriali sindacalizzate, alla privatizzazione del collocamento e del mercato del lavoro, a relazioni industriali e sindacali sempre più concertative e neocorporative di stampo mussoliniano, all'estensione senza limiti della “flessibilità”, allo sfruttamento e al lavoro gratis dei giovani, ai ricatti e al dislivello salariale verso le donne, che hanno raggiunto livelli mai visti. Tutto ciò con pesanti ricadute sul piano economico, dei diritti e della sicurezza. In contraddizione con lo sviluppo delle tecnologie e della disponibilità di nuovi strumenti, non si arresta lo stillicidio di morti sul lavoro: mediamente tre al giorno. Il sistema di appalti e subappalti permette alle aziende di scaricare le responsabilità sulle piccole ditte (spesso individuali). I diritti sono sacrificati al profitto, alla “produttività” e all'efficienza. Nei primi due mesi del 2024, secondo gli ultimi aggiornamenti dell’Inail, il numero di incidenti mortali è già arrivato a 119. Questo dato rappresenta un aumento del 19% rispetto all’anno precedente. In aumento anche le patologie di origine professionale (+35,6%). I diritti, conquistati con dure lotte e sacrifici, sono calpestati quotidianamente. Tuttora ci sono settori dove si lavora 12 ore al giorno, in agricoltura, edilizia e logistica migranti e italiani sono sfruttati come schiavi e le condizioni economiche dei lavoratori peggiorano continuamente. I salari italiani sono tra i più bassi d'Europa così come la quota di pil a loro riservata, sei milioni di lavoratori guadagnano meno di 850 euro mensili e 2,4 milioni meno di 5 mila euro l'anno. Nel 2023 è stato raggiunto il record storico delle famiglie in povertà assoluta in Italia: 5,7 milioni, delle quali un milione costituite da lavoratori.

Secondo l'Istat su questo risultato hanno influito l’inflazione e il caro vita che hanno colpito le famiglie e le persone più povere, il taglio degli aiuti governativi stanziati ai tempi del Covid e il definitivo smantellamento del cosiddetto "stato sociale", in primis la distruzione del SSN. Il governo neofascista Meloni Il governo neofascista Meloni non ha fatto altro che avallare e aggravare questa situazione, aumentando la forbice tra ricchi e poveri, dirottando le risorse (compreso il PNNR) verso il sostegno ai capitalisti, concesso agli evasori, agli autonomi e alle aziende un fisco “amico” e la riduzione delle tasse, finanziando progetti inutili e dannosi come il Ponte sullo Stretto, aumentando le spese militari per alimentare le ambizioni dell'imperialismo italiano in una sconsiderata corsa al riarmo per assumere un ruolo di primo piano all'interno dell'imperialismo dell'Ovest a guida USA, in contrapposizione all'imperialismo dell'Est rappresentato da Cina e Russia, e allo stesso tempo ritagliarsi un ruolo egemone nel cosiddetto “Mediterraneo allargato” per assicurare nuovi mercati ai monopoli italiani. Dall'altra parte verso i lavoratori e le masse popolari solo tanta demagogia e populismo, caratteristici dei fascisti e dei neofascisti. Nella sostanza verso di loro solo il rifinanziamento (temporaneo) del cuneo fiscale che porterà solo una elemosina nelle buste paga; poi eliminazione o tagli al reddito di cittadinanza e a tutti gli ammortizzatori sociali, estensione dei contratti a tempo determinato e precari, incremento dei voucher, riduzione delle aliquote irpef a discapito dei redditi più bassi, taglio delle detrazioni in busta paga, tagli alle pensioni dei dipendenti pubblici, tagli alla sanità pubblica con risorse mai così basse in rapporto al pil . A tutte queste azioni antioperaie e antipopolari, che in larga parte caratterizzavano anche i governi precedenti, si deve aggiungere una accelerazione sul piano delle controriforme presidenzialiste e federaliste: dall'assoggettamento della magistratura all'autonomia differenziata che scardina l'assetto unitario della Repubblica, fino alla “riforma delle riforme”, l'elezione diretta del capo del governo. Tutti obiettivi contenuti nel piano della P2 di Licio Gelli, che taglierebbero definitivamente ogni legame con la Costituzione borghese del '48, già oggi in larga parte compromesso.

E poi l'occupazione militare dei media, la repressione a suon di manganelli delle lotte studentesche, operaie, sociali e democratiche. Questo governo si sta distinguendo per la sua feroce politica antifemminile ispirata al motto mussoliniano “Dio, patria, famiglia”, assegnando alla donna il ruolo di “angelo del focolare” e di riproduttrice di nuova prole. Per la feroce politica antimmigrati fatta di respingimenti e lager come i CPR, islamofobica, con vergognose campagne mediatiche contro i migranti di fede musulmana. Infine, ma non per importanza, Meloni, il sanfedista e agiografo di Putin Sangiuliano e gli altri ministri, si stanno distinguendo per il loro revisionismo storico, l'anticomunismo e l'attacco alla Resistenza, allo scopo di riabilitare il fascismo, riesumando e riabilitando vecchie camicie nere e reazionari come D'Annunzio, Marinetti, Gentile e, pur non dicendolo chiaramente, lo stesso Mussolini. La via maestra riformista Un quadro preoccupante che richiederebbe una risposta forte e immediata. I partiti politici di “opposizione”, almeno quelli presenti in parlamento, invece non sono andati oltre qualche schermaglia, e anche se ogni tanto qualche suo esponente parla di “torsione autoritaria” o anche di nuovo fascismo, prevale un atteggiamento che riconosce la “legittimità” democratica del Governo in carica. Lo stesso vale per i sindacati. Anche il più grande e rappresentativo, la Cgil, ad un anno e mezzo dal suo insediamento, non ha ancora dispiegato una forte mobilitazione contro la Meloni anzi, è stata persino invitata al proprio congresso. Al posto di una opposizione senza quartiere, alla difesa intransigente delle lavoratrici e dei lavoratori, delle masse popolari, che non faccia concessioni alle “compatibilità” del capitalismo, si torna ancora una volta sulla vecchia teoria che La via Maestra per cambiare le cose sia quella della piena attuazione della Costituzione. Una via già percorsa in passato, senza risultati, dal PCI di Togliatti e dalla Cgil di Di Vittorio. Adesso Landini la ripropone insistentemente. A questo proposito Lenin, di cui quest'anno ricorre il centenario della morte, ha smascherato compiutamente le tesi “democratiche”, sposate anche dai socialdemocratici, riformisti e sedicenti comunisti, per cui il suffragio universale, il parlamento, le leggi che proclamano l'uguaglianza e diritti per tutti, renderebbero inutile l'esigenza di una rivoluzione, perché in questa società, capitalistica e borghese, la “volontà del popolo” sarebbe rispettata. Ce lo ha ribadito e chiarito il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, che ciò non è affatto vero. Nel suo lucido e brillante editoriale scritto per il 47° anniversario della fondazione del Partito, con una capacità di sintesi straordinaria, ci ha elencato alcuni diritti ufficialmente riconosciuti, come quello al lavoro, a riunirsi liberamente, a manifestare il proprio pensiero, a scioperare, allo studio, alla salute, che vengono disattesi tutti i giorni e rimangono solo delle vuote enunciazioni. Così come sono solo belle parole le affermazioni scritte sulla Carta : “L'Italia ripudia la guerra”, “la Repubblica è una e indivisibile”, “la sovranità appartiene al popolo”.

Tutto questo è smentito dai fatti. Questo perché nel capitalismo il proletariato non può esercitare realmente i suoi diritti, anche se sono scritti in Costituzione, in quanto il potere politico è nelle mani della borghesia, l'economia è di tipo capitalistico e la società è divisa in classi, e l'uguaglianza è solo formale e non sostanziale. Perciò gli articoli della Costituzione e le leggi che hanno effettiva e concreta validità all'interno del Paese sono quelli che proteggono la proprietà privata, come l'articolo 41: “l'iniziativa economica privata è libera” e 42 : “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge”, perché essi rispecchiano la realtà delle cose. Mentre all'esterno invece della pace prevale la difesa degli “interessi nazionali”, cioè della propria borghesia. Su questo tema Lenin ha molto da insegnarci. Nel 1918 scriveva: “Gli Scheidemann e i Kautsky parlano di "democrazia pura" o di "democrazia" in generale per ingannare le masse e per nascondere loro il carattere borghese della democrazia attuale... tali parole servono a nascondere la verità, servono a occultare il fatto che la proprietà dei mezzi di produzione e il potere politico rimangono nelle mani degli sfruttatori e che è quindi impossibile parlare di effettiva libertà, di effettiva eguaglianza per gli sfruttati, cioè per la stragrande maggioranza della popolazione. Per la borghesia è vantaggioso e necessario nascondere al popolo il carattere borghese della democrazia attuale, presentare questa democrazia come una democrazia in generale o come una "democrazia pura", e gli Scheidemann, nonché i Kautsky, ripetendo queste cose, abbandonano di fatto le posizioni del proletariato e si schierano con la borghesia”. La via maestra rivoluzionaria è il socialismo Sta di fatto che Landini, incardinando la Cgil sul rispetto della Costituzione (oramai fatta a brandelli da destra) e rivendicando un fantomatico “rispetto dell'uomo e della donna” nella società e nei luoghi di lavoro, che si ispira chiaramente alle encicliche di papa Bergoglio, depotenzia il sindacato che non riesce più a svolgere il ruolo per cui è nato.

Per questo da tempo i marxisti-leninisti auspicano la creazione di un unico grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, sganciato dalle compatibilità capitalistiche e dalla concertazione, basato sulla democrazia diretta e sul protagonismo dei lavoratori, che abbia come scopo principale quello di rappresentare e difendere gli interessi immediati e a medio termine dei lavoratori. Ispiriamoci allo spirito e agli obiettivi originari del Primo Maggio lottando per il lavoro, stabile e sindacalmente tutelato, contro il precariato e per l'abolizione del Jobs Act, per forti aumenti salariali e pensionistici, per la parità salariale tra uomini e donne, per la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, per una pensione dignitosa che abolisca la Fornero, per la sanità pubblica e universale, per la scuola pubblica e gratuita, per un fisco equo e progressivo, per l'ambiente, l'antifascismo e contro le “riforme” istituzionali, a partire dal presidenzialismo, contro le guerre di aggressione come l'invasione Russia dell'Ucraina e il genocidio dei palestinesi da parte di Israele.

Dobbiamo però inquadrare queste battaglie in una più generale lotta contro il capitalismo e per il socialismo. La classe operaia e i lavoratori devono riacquistare la consapevolezza che non si possono sradicare lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e le diseguaglianze affidandosi alla Costituzione borghese, al parlamentarismo e all'elettoralismo, che la storia ha ampiamente dimostrato essere vie fallimentari che non portano a cambiamenti radicali. Per fare questo bisogna sradicare le cause economiche che lo causano, ovvero abbattere il capitalismo e instaurare il socialismo per dare il potere politico al proletariato, la madre di tutte le questioni, e per ottenerlo non c'è altra strada che la rivoluzione socialista, quando saranno mature le condizioni. Il Partito marxista-leninista italiano fin dalla sua nascita si è posto l'obiettivo di far trionfare il socialismo nel nostro Paese e lavora per far maturare le condizioni affinché ciò si possa realizzare, ma da solo non ce la può fare. Contiamo che chi si ritiene comunista e gli anticapitalisti, a partire dalle operaie e dagli operai, scelga la via maestra del socialismo perché, come ci ha ricordato Scuderi nel già citato editoriale: “Occorre che dedichino le loro forze intellettuali e materiali allo sviluppo rivoluzionario della lotta di classe e all'organizzazione della rivoluzione socialista, che studino la teoria della rivoluzione socialista e del socialismo, cioè il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e si uniscano nel e attorno al PMLI . ”

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