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ALBIZZO DA FORTUNA, capitano coraggioso

Un personaggio davvero importante nel XVI secolo per il Mugello

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A S. Gaudenzio all'incastro la facciata A S. Gaudenzio all'incastro la facciata © Gmap
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Oggi andiamo alla scoperta di un personaggio davvero importante nel XVI secolo per il Mugello a cui ho già fatto cenno nel mio libro FURONO PROTAGONISTI; ebbe una vita avventurosa ma anche piuttosto misteriosa. Per carità, la cosa non mi spaventa per niente, scrivo qui per questo e a costo di sbagliare qualcosa ci proverò; d’altronde in passato c’è stato qualcuno parecchio importante per la Storia dell’umanità che disse “se mi sbaglio mi corriggerete” e se poteva sbagliare lui, figurati se posso indovinarle tutte io. Inizierò allora col dire che nella valle esiste tutt’oggi una località Incastro o Loncastro oggi completamente dimenticata, ma situata in un luogo bellissimo e panoramico, così solitario e abbandonato che spesso ci vado apposta per rasserenare l’anima. E la cosa funziona, parecchio. Non so se conoscete questo mio posto “segreto”, vi dirò soltanto che si trova tra Muccione e Arsella poco a est de Le Caselle.

E’ un luogo anche storico, prima di tutto perché qui sorgeva in un tempo davvero antichissimo una piccolissima e sconosciuta Badia appartenente al Vescovo fiorentino e posta in seguito sotto il patronato dei Guidi. Verso il 1131 andò a finire nella giurisdizione del Podestà fiorentino, e fu probabilmente allora che si trasformò nella chiesetta di San Gaudenzio all’Incastro. La chiesa ebbe ben otto secoli di vita prima di un duro colpo causato dal terremoto del 1919, almeno secondo quanto lasciò scritto il Niccolai: “Della chiesa di San Guadenzio a Incastro, ad oriente della Pieve, non è rimasto che le due campane. Le suppellettili della chiesa e le masserizie della canonica giacciono sepolte e in frantumi sotto le macerie.. la parete di fondo col coro e l’abside rovesciandosi pure al fuori è sbalzata a circa quindici metri di distanza verso il botro del Rio dell’Arsella.”. Insomma, l’apocalisse.

Oggi, trasformata in abitazione privata, è però ancora possibile ammirare quel che resta della civettuola facciata a sud quasi a voler baciare il sole e prospiciente un piccolo spiazzo panoramico dove il parroco del tempo che fu, da solo o in compagnia, sistemava il corpo e pure l’anima; per sistemare il primo si faceva probabilmente delle prosaiche merende, mentre per la seconda bastavano le religiose meditazioni. Ma storicamente non è ancora tutto, perché qui viveva un tempo una famiglia benestante e storica per il Mugello, quella dei Da Fortuna, originaria di Rupecanina e di cui uno dei più famosi esponenti fu un certo Albizzo da Fortuna, mugellano “doc” nato intorno alla metà del XVI secolo nella villa di famiglia posta proprio qui, nella piccola San Gaudenzio all’Incastro. Albizzo aveva pure un fratello nato lì, Marcantonio, che non conosco ma a occhio direi era un bel pezzo d’uomo, un Marcantonio appunto.

Albizzo, uomo valoroso e generoso, seguendo la tradizione familiare di maestri “d’arme” studiò a Firenze strategia militare diventando capitano delle milizie fiorentine, cosa davvero consueta per molti mugellani coraggiosi. Sfortuna volle che proprio allora la guerra in Firenze, voluta da papalini e sostenitori medicei, portasse in Mugello un gran numero di ladroni e mercenari pronti a mettere a ferro e fuoco la valle. Nel 1529, quando il condottiero Ramazzotto mosse da Bologna verso Firenze per espugnare Firenzuola e Scarperia, il consiglio dei Dieci nominò due coraggiosi mugellani alla difesa del Mugello, Filippo Parenti e appunto il nostro amico Albizzo da Fortuna.

Era come una condanna a morte, perché ognuno aveva non più di 300 uomini mentre i nemici erano migliaia. Comunque sia, Albizzo non si perse d’animo e, da fedele soldato qual era, si stanziò in quel che restava della fortezza di Pagliericcio presso Gattaia; da lì si spostava continuamente per sorvegliare i monti e i passaggi appenninici a nord di Vicchio. A metà settembre si oppose con azioni di guerriglia ai saccheggi del mercenario Balasso de’Naldi di Brisighella, poi mosse dai monti incontrando truppe papaline con bottino razziato; li costrinse prima a rifugiarsi a Vicchio e poi a fuggire a gambe levate verso Barberino.

Fu così che l’altro capitano Filippo Parenti trovò il castello vuoto e poté occuparlo e difenderlo. Intanto, i papalini fuggiti appiccarono fuoco a stalle, pagliai e abitazioni lasciandosi dietro, come ebbe a dire Albizzo in una tragica lettera ai Dieci, “una striscia di fuoco che di notte illuminava come un nastro la pianura..”. Albizzo andò poi in soccorso di Grezzano, dove truppe papaline erano state assaltate e vinte dai cittadini. Era subito scattata la rappresaglia e il saccheggio, e dunque l’Albizzo fece il possibile insegnando ai grezzanesi alcune tecniche di guerriglia e sabotaggio;, infine, se ne tornò sui monti ma di lì a poco la situazione precipitò. Prima Albizzo venne a sapere con estremo dolore che il mercenario Cesare da Cavina aveva devastato Rostolena e dato alle fiamme la sua casa natale a Incastro; di lì a poco i soldati ai suoi ordini iniziarono ad abbandonarlo perché il nostro eroe non era in grado di pagarli.

Così, con i pochi fedeli rimasti nel gennaio 1530 fu costretto a rifugiarsi nei dintorni di Crespino. Per un po’ il duro inverno fermò i suoi nemici, ma poi avvisò i Dieci che Baccio Valori con mille fanti lo stava cercando per farlo prigioniero. Da questo momento, purtroppo, di Albizzo si persero per sempre le tracce. O quasi. Perché io, dal curioso inguaribile quale sono, ho iniziato a girovagare nella zona e sono andato fino alla villa di Farneto che, si mormora in giro, faceva parte degli estesi possedimenti familiari dei “Da Fortuna” che da Rupecanina e Incastro salivano fino ai monti d’Appennino.

Ebbene, sulla facciata nord dello stupendo edificio purtroppo oggi in abbandono, troneggia ancora una bellissima iscrizione in pietra datata 1590 che riporta lo stemma familiare della famiglia descritto nell’Archivio di Stato fiorentino: un cane rampante d’argento con collare d’oro. La scritta recita: “ALBIZUS FORTUNA PHI. F.(fecit) A FUNDAMENT EDIFIC MDXC”. E’ perciò molto probabile che la dizione faccia riferimento a una fondazione o ampliamento in onore del grande condottiero mugellano eseguita da un figlio omonimo (dove phi sta per philius, filius). Dunque, il nostro glorioso capitano era scomparso nel nulla, ma forse aveva fatto a tempo a ..metter su famiglia!

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