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Borchi saluta 'Pedalino'. Una storia da Vaglia

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Borchi saluta 'Pedalino'. Una storia da Vaglia Borchi saluta 'Pedalino'. Una storia da Vaglia © n.c.
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Oggi, lunedì 19 settembre, vogliamo rilanciare un post pubblicato dal sindaco di Vaglia (Leonardo Borchi) sulla sua pagina Facebook. Si tratta del ricordo di un ex dipendente del Comune di Vaglia. Una storia raccontata con tono originale ma sincero:

Pedalino C'è chi nasce con l'allergia al glutine, chi non tollera il latte, lui aveva un'idiosincrasia totale al lavoro. La sola parola lo faceva girare dall'altra parte. Purtroppo questo spiccato naturale handicap era motivo di plateali sfuriate da parte della madre: “Quando ti deciderai a fare qualcosa!?” Al che lui adottava la sua solita risposta: non rispondeva. Semplicemente ignorava. Le invettive gli scivolavano via come un venticello che passa sulla spalla e si perde nell'atmosfera. Immaginatevi la sorpresa...di più, lo sbigottimento, l'incredulità quando una domenica a pranzo, famiglia riunita in quel di Peretola, addentando un cosciotto di pollo, con nonchalance butta là: “Domani entro a lavorare in Comune”. Il fratello, che, in quel momento, oltre a guardare da un'altra parte, si arrabattava da tempo per impiegarsi: “Cosa hai detto?! Ho capito bene!?”. “Mi assumono come necroforo a Vaglia”. “Come hai fatto?”. “Non è colpa mia se mi hanno chiamato, purtroppo ero scritto nelle liste di disoccupazione”. “Ma come, io mi arrabatto per trovare un lavoro e lui che non ha mai mosso un dito.......In Comune lo assumono...!”. Per evitare di prenderle, lui dovette fare il vento e passare di volata oltre la porta. Fu così che planò, dalla plaghe della piana, ai cimiteri di Vaglia. “Ma che ciabatti e ciabatti con codeste Fonseca!?”. Da allora gli fu affibbiato per sempre il nomignolo di Pedalino”. Eh! La fortuna non gli aveva arriso del tutto: al lavoro lo avevano affiancato al Verdone, che oltre ad appioppare soprannomi a tutti, era pure burbero e da allora in poi lo massacrò teneramente. Sul lavoro vedevi lui, Pedale, semplicemente perché il corpo non poteva perdere di consistenza. In realtà non c'era. Infatti, oltre alle sembianze, tutto il resto vagolava su altri lidi. Testa, pensieri, progetti, sensi. Aveva sempre le cuffie alle orecchie, o perché cianciava con qualcuno al telefono o perché ascoltava musica. Un giorno un compagno di lavoro, mentre erano a tagliare erba ai giardini con il frullino: “Pedale?! Ma cosa tagli se non c'hai il filo?!”. Era mezz'ora che sventolava la bobina rasoterra e, accarezzando l'erba, faceva le finte. Era un campione di distruggi arnesi. Aveva più garbo un ciuco a bere a boccia che lui a maneggiarle motoseghe, cesoie....Anche con i motocarri aveva un feeling particolare. Si racconta che era riuscito, mettendosi alla guida di un Piaggio nel bosco del Barellai, a spaccare in una sola volta tre gomme su quattro, bocciando ceppe qua e là, nemmeno giocasse a goriziana. “Ti accompagno. Vado anch'io verso Firenze”. Seguo la sua moto vintage Suzuki, di terza o quarta mano, che aveva comprato da poco. La sua prima moto. Sulla diritta di Campolungo procede regolare, andatura turistica. I problemi iniziano con le curve del Berti. Io, che gli stavo dietro in scia, mi ritrovo sull'altra corsia. “Diavolo!”. Tagliava tutte le curve. Semplicemente perché non sapeva inclinare la moto. Ne fu una conseguenza naturale che, di lì a qualche giorno, si mise in capo la Suzuki sulla Panoramica. Dopo anni che stava in sella alla moto, e qualche incidente, si era un po' impratichito e riusciva ad impostare una quasi traiettoria che seguisse le curve. Ma continuava a preferire le super strade. La sua posa tipica lo ritraeva mentre si arrotolava smilze sigarettine che, dopo averle ben bene ciucciate, ti offriva: “Vuoi favorire?”. Ogni tanto spariva per un mese e più: “Vado al mare!” Tu potevi pensare : “Viareggio, Follonica”..... No, Sri Lanka. Là aveva il suo regno, le conoscenze, la bella vita: “Lo zio Pardo si è trasferito in Thailandia, con la sua pensioncina, se la fa da signore!”. Lavorare punto, intrallazzare un po', godersi un Martini sull'amaca di fronte all'oceano. La sua filosofia. Ma un giorno deve essere successo dell'indicibile. Perché è scappato in tutta fretta dai lidi tropicali e non vi ha più fatto ritorno. Sembra che fosse ricercato da un paio di figuri poco raccomandabili, che gli volevano fare la festa. [...] Per l'inaffidabilità e le balle che sparava mi sarebbe dovuto rimanere insopportabile. Invece, sarà stato perché in fondo era di cuore generoso (e non mi facevo punto coinvolgere nei suoi affari) avevo con lui un'accondiscendenza particolare. Lo avevo a mia volta ribattezzato: “Sughero”. “Perché, stai sicuro, che se casca il mondo noi si crepa tutti, ma lui con tutte le sue astuzie e trovate rimane a galla”. Quando un cancro all'intestino se l'è portato via prematuramente, dopo un'agonia misconosciuta, dove era proibito parlare della malattia, mi sono riconosciuto sorprendentemente attaccato a questo essere sbomballato. Sono andato, con alcuni suoi amici , di cui prima ignoravo l'esistenza, a gettare le sue ceneri a Capo d'Arno. Là dove nasce il fiume, una volta venerato dagli etruschi, ha espresso il desiderio di ricongiungersi alla terra. Una stranezza. Forse era più sensibile di quello che faceva vedere. Ad un collega che non c'è più, con cui non so immaginare quale rapporto avrei potuto avere da sindaco (!?).

 

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