L’8 maggio 1945 – in URSS era già il 9 - la Germania nazista, colpevole di aver trascinato il mondo nella Seconda Guerra Mondiale, firmava la resa. Il piano di Hitler di invadere l’Unione Sovietica di Stalin si rivelò un insuccesso, e l’Armata Rossa riuscì a dominare sulle Forze Armate Tedesche, la Wehrmacht, conquistando quella che secondo il Fuhrer doveva essere la capitale del mondo dominato dalla razza ariana, Berlino. Ricorrendo a un’allegoria, la bandiera rossa issata sul Reichstag è il pugnale che trafisse il cuore del nazismo, scongiurandone il ritorno.
E se invece avesse ragione Nietzsche? Se tutto ciò che è accaduto, prima o poi, si ripresenterà con le stesse identiche modalità? Ammettiamo che la teoria del filosofo tedesco sia stata empiricamente dimostrata, c’è qualcosa che possiamo fare? Sì: riconoscere il male. Come? Ponendo attenzione ai comportamenti degli individui, soprattutto di coloro che sono al potere, più avvezzi al suo esercizio.
Ebbene, oggi Vladimir Putin, presidente del paese che sconfisse il nazismo, la Russia, sta conducendo una guerra contro la vicina e fraterna Ucraina con l’intento di “denazificarla”. Secondo Putin l’Ucraina sarebbe governata da nazisti che vogliono spazzare via dal paese i russi e cancellarne la cultura. Ciò si evince dal trattamento riservato alle minoranze russofone del Donbass - la regione orientale ucraina dove dal 2014 si combatte una guerra che vede contrapposto il fronte ucraino e quello dei secessionisti russi armati da Mosca - che secondo il Cremlino vengono uccisi a sangue freddo. Il presidente ucraino Zelensky rigetta le accuse, ma per il Cremlino non ci sono dubbi: si tratta di genocidio. Zelensky a sua volta accusa Putin di nazismo per essere un autocrate e per avere invaso un paese sovrano.
La situazione è delicata: non tutte le informazioni che ci arrivano sono vere, e non è sempre facile distinguere nettamente i buoni dai cattivi, in quanto ogni evento ha numerose chiavi di lettura. Soffermiamoci però sul cuore dell’articolo, ovvero il nazismo. E’ un epiteto forte – nazista - quello che si lanciano, in un infinito botta e risposta, i due presidenti. Ma cos’è il nazismo? E come ha agito negli anni in cui è stato al potere? Da qui dobbiamo partire, non tanto per risolvere il problema delle ragioni e delle colpe – quello lo farà la storia – ma almeno per fare ordine. Il nazismo ha alla base la supremazia di un popolo su un altro. Hitler, il suo ideatore, era un imperialista: espanse il suo dominio a est e a ovest dell’Europa, e in caso di vittoria la sua ingordigia non si sarebbe mai arrestata.
Il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori ambiva al potere totalitario, e riuscì a conquistarlo. Tutto, nella Germania Nazista, era sotto il controllo del partito, e a nessuno era consentito opporsi. Nel Mein Kampf - il libro che Hitler scrisse in carcere e in cui elenca i suoi piani e la tragedia a cui l’Europa andrà incontro - la violenza non solo non è condannabile, ma va addirittura cercata. Il futuro cancelliere, parlando dei ragazzi tedeschi di allora, scrive che furono abituati, in caso di dispute, a denunciare, mentre secondo lui queste andrebbero risolte a cazzotti. La battaglia, colei che forgia l’uomo e il coraggio, e che porta l'uomo alla rovina.
Il nazismo, come ci fece presente Hanna Arendt, per vivere si nutre di banalità, luoghi comuni, notizie false. Il suo volto, come abbiamo visto, ha fattezze riconoscibili. Cerchiamo di scorgerlo non tanto nelle parole, ma nelle azioni compiute.