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Venti anni dalla scomparsa di Bartali. Il campione che veniva a Vicchio ad allenarsi

Il grande campione era solito allenarsi anche arrivando fino a Vicchio

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Gino Bartali Gino Bartali © n.c
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Il ciclista, era solito allenarsi anche percorrendo la strada da Ponte a Ema fino a Vicchio (dove risiedono suoi parenti). A venti anni dalla scomparsa, il Comune di Firenze ha reso omaggio a Gino Bartali. Questa mattina, al cimitero di Ponte a Ema, c'è stata la commemorazione alla quale hanno partecipato gli assessori Cosimo Guccione e Alessandro Martini, la presidente del Quartiere 3 Serena Perini, Maurizio Bresci, presidente dell’Associazione Amici del Museo dei Ciclismo dedicato al grande ciclista, e Don Antonio parroco di Ponte a Ema.

“Lui è uno degli italiani a cui dobbiamo guardare in questo momento così tragico per il nostro Paese - ha detto l'assessore allo sport Guccione - Bartali sapeva che nella vita e nello sport, tanto più uno sport come il suo, nessuno ti regala nulla, tutto quello che puoi vincere te lo devi guadagnare col sudore, la fatica, il lavoro, la determinazione. A lui va il nostro ennesimo grazie. E un impegno: affrontare con serietà, provando a imitare il suo coraggio e la sua dignità, questa prova così dolorosa che la storia ci ha consegnato”.

Tanti omaggi non sarebbero piaciuti a Ginettaccio. Soltanto poco prima di morire rivelò al figlio di aver salvato centinaia di ebrei dall'Olocausto. ll corridore tra il 1943 e il 1944 contribuì a salvare dalla deportazione nazista oltre 800 ebrei tra la Toscana e l'Umbria. Per questo è stato nominato 'Giusto tra le Nazioni'.

Bartali nascondeva nella canna della sua bicicletta documenti falsi che portava da Firenze ad Assisi. Il campione di ciclismo collaborava con il cardinale di Firenze Elia Dalla Costa che aveva creato una tipografia per falsare le carte d'identità e salvare gli ebrei dalle deportazioni. Ginettaccio con la scusa degli allenamenti e grazie alla sua fama, riusciva a passare i controlli dell'esercito nazifascista. In un anno e mezzo fece più di 40 viaggi tra Firenze e Assisi. Bartali non voleva essere 'premiato' per queste gesta. "Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all'anima, non alla giacca", era solito dire ai suoi familiari. Cattolico devoto, la sua profonda fede lo portò a rischiare la vita per salvare gli altri.

Il ciclista, che era solito allenarsi anche percorrendo la strada da Ponte a Ema fino a Vicchio (dove risiedono suoi parenti), è anche riuscito a sventare la guerra civile del 1948. Era appena passata la guerra e l'Italia era in piena ricostruzione: operai e braccianti facevano proteste di continuo, la fame era tanta e gli italiani erano stremati. Nella concitazione generale viene attentata la vita del segretario del Pci Palmiro Togliatti. La guerra civile sembra alle porte ma poi arrivò la notizia: un italiano ha vinto il Tour de France. Il viso inconfondibile di Ginettaccio riempì le prime pagine di tutti i quotidiani. L'Italia era tornata a vincere.

Ma Firenze tende a dimentica la grandezza di Bartali: il destino del museo del ciclismo a Ponte a Ema è incerto. "Le sorti del museo - fa sapere Lisa Bartali, nipote del ciclista, in un'intervista a la Repubblica di Firenze - sono incerte perché l'accordo di gestione tra Comune di Firenze e l'Associazione Amici del Museo Bartali è scaduto e non è stato rinnovato. E noi familiari siamo stanchi delle diatribe, dei giochi di potere sul nome di mio nonno. Da quest'anno, dopo aver fatto tanto, io e mio padre abbiamo scelto di non essere più soci".


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