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Generazione Z: sfruttamento lavorativo e mancanza di prospettive solide

Un’analisi che parte dallo sfogo di un giovane ventenne. Un disagio che riguarda migliaia di giovani. 

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generazione z generazione z © Ai
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La lettera di un neo-diplomato di vent’anni che arrivata via mail ai nostri giornali, fotografa alla perfezione l’odierno periodo storico, con riferimento al mondo del lavoro, vissuto dai giovani appartenenti alla così definita Generazione Z, che comprende i nati a cavallo tra il 1995 e il 2010. Se coloro che chiudono la fila non sanno cosa significhi lavorare, poiché ancora studenti delle scuole superiori, la maggior parte dei più grandi ha già avuto modo di comprenderlo. Ebbene, il ragazzo in questione - che vive in territorio mugellano - ha voluto raccontare un’esperienza negativa vissuta in prima persona. Dopo essere stato assunto regolarmente come commesso da uno dei tanti esercizi dell’Outlet di Barberino di Mugello, non gli è stato rinnovato il contratto, che scadeva dopo due mesi e mezzo di attività. 

A inizio assunzione gli era stato detto che la figura ricercata sarebbe servita tutto l’anno, e non solo durante il periodo estivo; c’era dunque la possibilità di un rinnovo contrattuale che comprendesse un lungo periodo di tempo. Il ragazzo, convinto che avrebbe lavorato lì per molto, ha dovuto prendere importanti decisioni che tenessero conto delle ore lavorate, e di conseguenza del denaro che avrebbe guadagnato. Si è perciò iscritto a un’università telematica - più costosa di quella tradizionale ma che, grazie alla sua modalità di fruizione e flessibilità, permette agli studenti di lavorare - e di comprarsi una macchina.

A pochi giorni dalla scadenza del contratto, aveva capito che dalla settimana successiva sarebbe stato sostituito da un’altra persona, e questo gli ha provocato una crisi emotiva. Ha chiesto ad altri negozi dell’outlet se avessero bisogno di un commesso, ma tutti gli hanno risposto di no. L’esercizio in cui lavorava si è giustificato dicendogli che non era pronto per quel tipo di occupazione, e che avevano bisogno di una figura con maggiore esperienza. Sostiene che gli erano state date delle garanzie di assunzione, seppur a voce, che l’azienda non ha rispettato. Si lamenta del fatto che da disoccupato sarà difficile pagare sia l’università che la macchina, e che potevano fargli sapere prima l’intenzione di assumere un’altra persona, e non la scadenza del contratto, per evitare di avere spese non supportate da sicure fonti di reddito.

Continua poi parlando del precario sistema lavorativo italiano, che non offre alcuna prospettiva ai giovani di oggi, dove le aziende spesso assumono solo quando hanno bisogno e licenziano con grande facilità; lo stesso accade quando non vedono risultati immediati - come è successo al ragazzo della lettera -. Conclude dicendo che questa esperienza lo farà iscrivere a un partito politico che si batte per i diritti dei lavoratori. 

Ci risiamo. Ancora un caso di lavoro precario. Ma prima una precisazione: non conoscendo la situazione completa dello studente - non abbiamo contattato il negozio per farci spiegare le loro motivazioni -, non ci focalizzeremo sulla sua storia, ma la prendiamo come spunto per fare un’analisi su un problema reale: la difficoltà per un giovane di oggi di avere un lavoro stabile e ben retribuito. 

Il lavoro è il tema per eccellenza della politica, e se i diritti dei lavoratori dipendenti sono sempre stati un vessillo della sinistra, per la destra lo sono quelli degli imprenditori, senza i quali - almeno nella nostra società capitalista - nessuno lavorerebbe, se non i dipendenti statali. Non avendo più una destra e una sinistra con confini ideologici ben definiti come un tempo, non è raro nel nostro paese assistere, da parte di entrambe, a prese di posizione che storicamente riguardavano l’altra. Non a caso, negli ultimi anni siamo stati governati da coalizioni di governo formate sia da partiti con una visione politica di sinistra che da partiti di destra, dal programma disomogeneo e che, per alcuni aspetti, risultava contraddittorio.

Un esempio su tutti è il Governo Conte I, detto anche giallo-verde, rimasto in carica da giugno 2018 fino a settembre 2019, guidato da due partiti discordanti: il Movimento 5 Stelle, vicino a politiche progressiste, e la Lega, di stampo conservatore. Nel programma del suddetto governo era presente l’introduzione del cosiddetto Reddito di Cittadinanza, ovvero un reddito minimo garantito dallo stato per tutte quelle persone che vivono sotto la soglia di povertà, cavallo di battaglia del M5S, e la flat tax - un sistema fiscale basato su un’aliquota fissa - al 15% per le imprese e i lavoratori autonomi, voluta dalla Lega. Se la flat tax mirava, oltre a una minore evasione fiscale da parte beneficiari, a un aumento delle assunzioni da parte delle imprese - poiché avevano a disposizione più capitale da investire -, c’era il rischio che molti di coloro che godevano del RDC si sentissero ancora meno propensi a trovarsi un lavoro, come poi è successo, dando vita all’ennesimo paradosso tutto italiano. 

Le promesse riguardo all’ambito del lavoro sono tra le più importanti per far vincere le elezioni ai partiti, poiché se c’è un tema che riguarda la totalità della popolazione è proprio questo. Promesse di contratti migliori, di aumento dei salari, di sicurezza, di abbassamento dell’età pensionabile, di diritti, sono fondamentali per fare aumentare il bacino elettorale. La sfida è passare dalle parole ai fatti. Purtroppo ogni giorno in Italia assistiamo a notizie sconvolgenti, dove i lavoratori perdono la vita sul luogo di lavoro. A Firenze, precisamente nel quartiere Rifredi, nel febbraio scorso sono morti cinque operai nel cantiere per la costruzione di un supermercato Esselunga. La colpa è da attribuire al cedimento di un architrave. Erano tutti stati assunti con un contratto da metalmeccanici, e non da operai edili, e quindi venivano pagati meno del dovuto. Come se non bastasse, non avevano la formazione adeguata per svolgere quel tipo di mansione. Due di loro, nordafricani, non possedevano il permesso di soggiorno. 

Episodi del genere accadono di frequente. I controlli, come è evidente, sono troppo pochi. Al sud Italia, ma non solo, il caporalato è un fenomeno frequentissimo, soprattutto nelle campagne, dove braccianti extracomunitari lavorano in condizioni disumane e senza contratto regolare. L’estate scorsa, a Latina, un giovane bracciante agricolo indiano, Satnam Singh, è morto a seguito di un incidente sul lavoro: un macchinario avvolgi-plastica gli ha staccato di netto il braccio destro. Il proprietario dell’azienda, Antonello Lovato, indagato per omicidio colposo, non si è premurato di chiamare i soccorsi, ma lo ha accompagnato a casa con il furgone, dandosi poi alla fuga. La consulenza medico legale ha accertato che se fosse stato preso in cura subito, si sarebbe potuto salvare. 

James Hillman, psicoterapeuta e filosofo statunitense, grande coscienza del Novecento che ha scritto libri memorabili come Il codice dell’anima e L’anima del mondo e il pensiero del cuore, sosteneva che il carattere dell’uomo si rivela non nel tipo di mansione che egli svolge, ma nel come la svolge. Parafrasando la sua tesi, potremmo dire che il lavoro è fondamentale per far sì che il carattere dell’essere umano si renda evidente, ed è insignificante che sia un mestiere o una professione. Il carattere, in fondo, è ciò che siamo davvero. Senza lavoro l’uomo è destinato a perdere sé stesso, eppure la società in cui viviamo spesso non garantisce la stabilità lavorativa, e a rimetterci sono i più giovani, maggiormente sfruttati e malpagati per via sia dell’inesperienza che della possibilità che viene data ai privati di assumere con contratti dalle paghe misere.  

Rispetto alle precedenti, la Generazione Z è più attenta ai diritti civili e sensibile al tema del lavoro e dell’ambiente. Essendo cresciuta in un contesto tecnologico che privilegia l’ozio, piuttosto che l’operosità perenne che connotava la vita dei loro nonni, e talvolta anche dei genitori, esigono che il lavoro sia un frammento della loro esistenza, e non l’intero mosaico, potendo così dedicarsi ai più svariati hobby, come i videogiochi o lo sport. Le aziende devono tenere a mente che i modelli della gran parte dei componenti della Generazione Z sono coloro che lavorano con i social network, perciò il lavoro classico, esemplificato nell’immagine di un ufficio o di una fabbrica, acquisterà sempre più un’aura sinistra, da cui stare alla larga. Se a questo aggiungiamo assunzioni di pochi mesi, straordinari e ferie non pagati, impianti non a norma, capiamo bene che le due entità - il lavoro e i giovani - continueranno ad allontanarsi sempre più, fino a quando le offerte lavorative supereranno la domanda, e coloro che dovrebbero domandare inseguiranno imperterriti sogni che realizzano pochi fortunati, preferendo illudersi piuttosto che guardare in faccia la realtà. 

I privati perciò hanno bisogno di rinnovarsi, e andare incontro alle richieste dei giovani, ove possibile. Devono tenere presente che la Generazione Z antepone il tempo libero e gli ideali di benessere psicofisico alla carriera lavorativa, e che vive in un contesto di opulenza in cui le possibilità di guadagno sono di gran lunga superiori rispetto al passato. I privati insomma non hanno più il coltello dalla parte del manico, e se vogliono sopravvivere devono adeguarsi al sentimento dei nuovi arrivati che, come già spiegato, sono meno propensi al lavoro a orari e giorni fissi rispetto alle generazioni passate, ma al contempo domandano sacrosante garanzie. In questo caso la politica può fare ben poco, in quanto il cambiamento è a discrezione dei singoli. La politica ha però il potere di punire con pene più severe chi non rispetta i lavoratori e si arricchisce grazie alla loro fatica, credendo di farla sempre franca. 

Con il tempo, il lavoro irregolare e mal pagato sarà sempre più un lontano ricordo; almeno questa è la speranza. Fino ad allora, non ci resta che combattere con le armi che abbiamo a disposizione. La nostra, da giornalisti, è la scrittura, con cui denunciamo chi opera sfruttamento. 

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