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Giovanni Cresci. Il mugellano che studia le galassie e i buchi neri

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Giovanni Cresci. Il mugellano che studia le galassie e i buchi neri Giovanni Cresci. Il mugellano che studia le galassie e i buchi neri © n.c.
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"Alcune galassie nei nostri dintorni presentano caratteristiche simili a quelle che si incontravano quando l’Universo era molto giovane, e possono quindi fornirci informazioni preziose su quell’epoca lontana. Tra queste c’è Henize 2-10 (He 2-10), una galassia nana di forma irregolare caratterizzata da un’intensa attività di formazione stellare. Un team internazionale di ricercatori guidato da Giovanni Cresci dell’Inaf di Firenze (abita a Vaglia ndr) ha condotto uno studio dettagliato per indagare il comportamento di He 2-10, scoprendo che per spiegare la sua emissione non è necessario ipotizzare la presenza di un nucleo attivo, come si pensava in precedenza". Inizia così un articolo di Media Inaf (Notiziario online dell'Istituto Nazionale di astrofica). Ecco il resto dell'intervista a Cresci, che volentieri rilanciamo su OK!Mugello:

I ricercatori hanno utilizzato lo strumento Multi Unit Spectroscopic Explorer (Muse) del Very Large Telescope (Vlt) dell’Eso, uno spettrografo panoramico di ultima generazione che opera nelle lunghezze d’onda del visibile e unisce un ampio campo di vista con un’alta risoluzione spaziale, ottenuta grazie alla tecnica dell’ottica adattiva. Lo strumento è talmente potente che è stato sufficiente puntarlo sulla galassia per appena 2 minuti. Nel loro studio, già accettato per la pubblicazione sulla rivista Astronomy & Astrophysics, gli scienziati hanno affiancato a questi dati ad alta risoluzione l’analisi di altre osservazioni recenti, raccolte nella banda dei raggi X con il telescopio spaziale Chandra. Per comprendere al meglio l’importanza di questo studio, abbiamo raggiunto Giovanni Cresci e lo abbiamo intervistato. Partiamo dai dati e dagli strumenti: come si è sviluppato il vostro lavoro? «Per questo studio abbiamo utilizzato dati ottenuti con lo spettrografo Muse al Vlt, sfruttando in tutto soltanto 2 minuti di posa. Grazie alla spettroscopia integral field (letteralmente, a campo integrato) abbiamo a disposizione un totale di 90 mila spettri per ogni singolo campo di vista. Dati di questo tipo sono in grado di coprire tutta l’estensione della galassia esaminata, He 2-10, e ci permettono di studiarne nel dettaglio le proprietà fisiche e dinamiche del gas». Come mai avete scelto proprio questa galassia? «He 2-10 è una galassia nana che si trova a soli 26 milioni di anni luce da noi, con una morfologia irregolare e dominata da un’intensa attività di formazione stellare. Per queste sue caratteristiche è considerata una delle prototipiche galassie HII, ovvero quelle che ci permettono di studiare l’universo nelle sue prime fasi di vita. Pur essendo un oggetto noto e studiato da anni, He 2-10 è recentemente salita alla ribalta per un articolo apparso su Nature. Grazie alla combinazione di nuovi dati nei raggi X e nella banda radio, Reines e colleghi annunciavano la scoperta di un buco nero attivo al centro, con una massa pari a circa 10 milioni di volte quella del Sole. Questa notizia ha attivato la comunità, perché porta con sé importanti implicazioni sull’origine dei buchi neri primordiali». Cosa aggiungono a questo quadro le vostre osservazioni? «I nostri dati mostrano come la dinamica del gas sia dominata da un complesso sistema di bolle in espansione a partire dal centro, con dimensioni superiori ai 2.000 anni luce e velocità maggiori di 500 km/s. Queste bolle trasportano fuori dalla galassia masse di gas pari a circa 3 decimi del Sole in un anno, e sono sostenute dall’energia liberata dai venti stellari e dalle esplosioni di supernova nelle regioni centrali. Queste regioni centrali in cui si formano le nuove stelle sono particolarmente estreme, con alte densità, alta estinzione da polveri e alta densità di fotoni ionizzanti, tutte proprietà simili a quelle presenti nelle galassie nell’Universo primordiale. Le abbondanze chimiche variano dalle regioni interne, più ricche di elementi pesanti con valori superiori a quelle solari, fino alle regioni esterne, più povere di metalli». E il buco nero attivo al centro della galassia che fine fa? «In questo quadro la ionizzazione del gas è dominata dai fotoni emessi dalle giovani stelle in formazione, senza traccia di contributi dovuti a un nucleo attivo. Abbiamo anche analizzato i dati raccolti di recente nei raggi X con il telescopio Chandra, confrontandoli con quelli pubblicati nel 2011. Quello che abbiamo ricavato è che la presenza di un buco nero attivo non è più necessaria per spiegare l’emissione X e radio di una delle radiosorgenti nelle zone centrali della galassia, che anzi può essere più facilmente classificata come un giovane resto di supernova». «Questo lavoro conferma le possibilità uniche messe a disposizione dalla spettroscopia integral field per l’indagine dettagliata delle proprietà fisiche e dinamiche delle galassie, nonché l’importanza dello studio di oggetti vicini e particolarmente giovani e attivi come He 2-10, in quanto ci forniscono un laboratorio ideale per comprendere la fisica delle giovani galassie nell’universo primordiale». Per saperne di più: Leggi su Astronomy and Astrophysics l’articolo “The MUSE view of He 2-10: no AGN ionization but a sparkling starburst” di G. Cresci, L. Vanzi, E. Telles, G. Lanzuisi, M. Brusa, M. Mingozzi, M. Sauvage e K. Johnson Fonte Media Inaf

 

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