
Oggi si celebra il “giorno del ricordo”. Una giornata importante anche se in molti ancora cercano, sgomitando, di metterla in un angolo, meglio se ben nascosto, della storia.
Una storia che fa certamente male perché insensata, orrenda e drammatica ma che però proprio per questo, così come il “giorno della memoria” dev’essere ricordata e compresa nella speranza che non avvengano mai più certi orrori e che ciò che è stato serva alle future generazioni, man mano che se ne saranno andati per sempre i testimoni diretti, a non commettere più certe atrocità.
Basovizza borgo di confine fra Italia e Slovenia ferito dalla storia, dove oggi il bilinguismo e il biculturalismo è una realtà vitale e pacifica alla faccia di qualche scheggia impazzita che tenta di rovesciare questa realtà è un luogo incredibile avvolto da una misticità laica che colpisce chi ha un animo sensibile.
Ricordo che la prima volta che ci andai, appena dissolta la ex Jugoslavia, stentai a trovare quello che oggi è un monumento nazionale perché all’epoca non c’erano i navigatori ma non c’erano nemmeno le indicazioni stradali e se chiedevi a qualcuno dove fossero le foibe di Basovizza la risposta migliore era: “non so”.
Capì in un istante come si fa, col semplice passaparola, a cancellare la storia.
All’epoca sul luogo dove furono gettati vivi migliaia di italiani colpevoli sono di essere tali c’era solo un piccolo cippo seminascosto dalla vegetazione.
Nessuna indicazione al bivio della strada che da un lato porta in Slovenia e dall'altro per il centro del paese e nessun'altro aiuto.
Oggi Basovizza è un monumento nazionale. Ci si arriva sempre percorrendo una stradella che taglia in due il Carso con la sua bassa e fitta vegetazione ma lo spazio è ben indicato dalla segnaletica stradale con il suo ampio piazzale, uno spazio informativo multimediale e il grosso monumento fatto da un enorme lastra che ricopre quella che fu la fossa e il grande travicello in legno che servi per riesumare dagli abissi i cadaveri alla cui sommità è oggi una croce anch'essa di legno.
Rimane però l'amaro in bocca. Rimane perché quello è anche il monumento di una storia nascosta e mistificata per ben sessant’anni!
Sessant’anni non giustificabili o giustificati dal mantenimento di precari equilibri geopolitici col sanguinario vicino jugoslavo in nome del quale si è svenduta la vita e la storia di migliaia di italiani financo nel 1975 con lo sciagurato trattato di Osimo che ha cristallizzato per sempre a favore del tiranno Tito confini precari e dolorosi che hanno diviso per sempre famiglie e destini.
Il “giorno del ricordo” esiste infatti da solo vent’anni è questo già di per è incredibile, se non fazioso. Lo è ancora di più alla luce delle minacce che ancora riceve il senatore Roberto Menia reo di essere il padre della legge che ha istituito questa data e di presentare il suo libro nelle scuole.
L’odio di chi a distanza di ottanta anni non riesce a fare i conti con la storia e che ha fatto cancellare dai libri l'orrore nega ancora il ricordo per le vittime delle foibe e per l’esodo giuliano dalmata scatenando l’odio anti italiano che si perpetua ogni anno, nell’indifferenza di una classe politica che non trova le parole per condannare i vili gesti che hanno profanato Basovizza (e non solo) ma che addirittura in una schizofrenia paranoide rovesciano le colpe e paventando spauracchi complottisti.
Così come ha fatto ad esempio lo storico Eric Gobetti che nel commentare le scritte davanti a Basovizza non solo ha minimizzato l’episodio: “sarebbe anche il caso di ricordare che si tratta di una scritta cancellabile”, ma addirittura ha paventato un complottismo autolesionista davvero fantasioso: “È davvero tanto improbabile immaginare un gesto provocatorio fatto ad arte da qualche italianissimo patriota nel giorno della visita di Mattarella a Gorizia e a poche ore dal Giorno del Ricordo?”
Invito cotanto storico a salire a Basovizza e a fare come faccio io ogni volta che ci salgo.
Provi a fermarsi nel mezzo di quel Carso selvaggio e a chiudere gli occhi (ma non col solito prosciutto davanti che ci mette!).
Provi a sentire quel vento che all’improvviso si alza e soffia sulla faccia quasi a far sentire le gomme di quei camion guidati da soldati con la stella rossa e l’odio inculcato loro da un sanguinario condottiero che nella notte salivano sul Carso a vomitare nelle viscere della terra uomini, donne e bambini colpevoli solo di essere italiani.
In questi giorni Gobetti e il carico di odio che ancora evidentemente lo ammanta rendendolo un uomo non capace di comprendere e giustificare che gli (o)errori non sono né di destra né di sinistra è ahimè in buona compagnia.
Ha indignato l’opinione pubblica lo sfregio delle scritte revisioniste vergate in rosso e in slavo davanti al monumento nazionale alcuni giorni prima del “giorno del ricordo” ma purtroppo, è bene sottolinearlo, l’episodio non è isolato.
Scritte ingiuriose, monumenti imbrattati, atti vandalici vari e revisionismo storico sono stati purtroppo numerosi in questi giorni. Gesti vigliacchi con cui viene infangata la memoria dei martiri delle foibe.
A Torino in corso Cincinnato sono comparsi insulti scritti a vernice davanti alla targa in memoria dell'esodo e delle foibe a poche ore dalla fiaccolata degli esuli istriani; a Cagliari sono comparse scritte nel parco Martiri delle foibe; a Roma in Piazza Ragusa sono comparse scritte ingiuriose; a Giulianova invece è stata imbrattata la sede che ospiterà oggi un con una scritta in slavo mentre a Firenze il Cpa, spazio occupato da decenni dall’ultra sinistra espone beffardamente sulla facciata la bandiera dell’ex Jugoslavia.
Fa davvero tristezza che ottanta anno dopo in certi mondi contigui alla sinistra non si riesca a comprendere la storia e si getti fango di revisionismo su un dato storico tristemente inconfutabile.
Fa davvero tristezza che ottanta anni dopo in certi mondi contigui alla sinistra non si riesca nemmeno a condannare questi atti vandalici che un po’ ovunque vengono anche giustificati e che non abbiano soprattutto una sola parola per ricordare i migliaia di italiani massacrati dal generale Tito.