Il 25 marzo è la giornata scelta dall'Italia per festeggiare il poeta Dante Alighieri con il nome: Dantedì. Questa data è stata scelta perché, secondo gli storici, corrisponderebbe all'inizio del viaggio ultraterreno, nel 1300, descritto nella Divina Commedia. Si vuole in questo modo festeggiare il poeta senza patria, il più italiano fra gli italiani, il più universale degli scrittori, con molte manifestazioni che si svolgeranno in tutto il Paese. Alcuni giorni fa sono voluto tornare in uno dei luoghi simbolo, che confermano il passaggio sul nostro territorio del poeta e cioè la Cascata dell'Acquacheta. In quel periodo storico il territorio era sotto il dominio dei conti Guidi di Dovadola e il poeta più volte percorse questa via che portava in Romagna, per proteggersi dai sicari, per tessere alleanze politiche e militari nell'intento di rientrare a Firenze.
Per raggiungere la località, giunto a San Godenzo ho preso la strada che porta alla chiesa di Santa Maria all'Eremo, dove in antico c'era anche un piccolo monastero custodito dai Benedettini, chiamato Eremo dei Toschi, per distinguerlo da quello dei Romiti posizionato molto più in basso. Da qui, per uno scosceso sentiero sono giunto a un belvedere dal quale si può ammirare l'intera cascata: spettacolare il salto dell'acqua, bellissimo il contesto naturalistico che la circonda, forse uno dei luoghi più suggestivi dell'Appennino Tosco-Romagnolo.
Deve averlo pensato anche Dante, il quale rimase così impressionato dall'armonia del paesaggio e dalla bellezza della cascata, che la descrisse in maniera perfetta, con terzine di grande efficacia. Anche adesso, non si può fare a meno di restare impressionati dallo scivolare di quest'acqua cristallina lungo una liscia e vertiginosa parete rocciosa.
Confesso che mi sono emozionato. Qui il Sommo Poeta aveva, nel XVI Canto dell'Inferno (vv. 94-105): “ove dovria per mille esser recetto”, paragonato il rumore dell'acqua alla cascata del Flegetonte, il terzo fiume dell'Inferno.
I versi danteschi riferiti all'Acquacheta sono stati interpretati dai vari commentatori nei modi più disparati, ne cito uno, sorprendente, del teologo francescano Giovanni da Serravalle (1350-1445). Egli scrive che l'acqua della cascata si divideva in mille rigagnoli tra i podere per irrigare i prati e ottenere, così, maggiori raccolti. Giova ricordare che i dantisti più accreditati concordano nel ritenere quei versi, il modo più semplice per descrivere il salto dell'acqua. Fu all'incirca alla metà dell'Ottocento che si iniziò a parlare della “Cascata dell'Acquacheta di Dante” e in questo modo si legava per sempre il toponimo Acquacheta col nome del Sommo Poeta.
Il silenzio della piccola valle era rotto dal “saltellare” dell'acqua chiara e da sommessi cinguettii. Ho sostato a lungo seduto su una pietra nel pianoro dei Romiti, fantasticando e ponendomi domande su Dante uomo e poeta, chiedendomi quali saranno state le inquietudini, i pensieri e i tormenti che accompagnavano questo grande personaggio durante il suo esilio, che lo portò ramingo anche in Mugello e sull'Appenino. Finché l'approssimarsi di nuvoloni neri mi hanno suggerito di partire.
P.S. - Mi sono bagnato, ma ne valeva la pena!