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Le donne nell'Unità d'Italia. La relazione di Lorini. 150 anni di storia al femminile

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Le donne nell'Unità d'Italia. La relazione di Lorini. 150 anni di storia al femminile Le donne nell'Unità d'Italia. La relazione di Lorini. 150 anni di storia al femminile © n.c.
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Dalla studiosa (ed ex sindaco di Vicchio) Elettra Lorini, riceviamo e pubblichiamo la versione integrale (appunti) della relazione che ha tenuto sabato 19 febbraio nella biblioteca di Vicchio sulle donne nell'Unità d'Italia. Appunti per la Conferenza inserita nell'ambito dei festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità.

Donne nell'Italia unita

Chi sono le “donne nell'Italia unita”? Identità mutevoli, forti ed evanescenti.

La loro non è una storia da sdipanare seguendo il filo degli eventi e marcando le tappe con i nomi ed i volti destinati ad entrare nei testi che si studiano a scuola, quanto da raccontare lasciando che fili diversi si intreccino, si annodino, si sciolgano a rappresentare un divenire ancora aperto.

 

Un divenire che mentre si fa memoria può diventare progetto.

Un divenire dove i confini sfumano, dove identità ed immagine si specchiano e si respingono, potenza e potere non coincidono, consapevolezza e dipendenza non sempre sono in antitesi, dove non sempre è chiaro chi sono le comparse e chi le protagoniste…

Un divenire che non può essere ricostruito con i soli strumenti della narrazione storica, ma che ci costringe fare i conti con le trasformazioni sociali, con i ruoli nell'ambito della famiglia, con l'espressione di sé, con la sessualità e ci invita ad assumere nel nostro discorso questioni che sono state oggetto della speculazione e del pensiero femminile e rinviano a questioni di carattere teoretico e politico.

Un divenire che non è uniforme, con gli stessi effetti per tutte, ma – proprio perchè rinvia a storie personali e intreccia varie dimensioni- è, si, trasformazione dell'identità collettiva (di genere) e ma con accenti e sottolineature che variano da contesto a contesto, da storia personale a storia personale. La storia delle donne è infatti “l'altra storia”: una storia sommersa, che come un fiume carsico scorre lungo percorsi impercettibili, trattiene e garantisce la linfa vitale delle acque, provoca trasformazioni che si comprendono solo dopo che sono avvenute e garantisce la continuità degli aspetti fondamentali per la vita sociale.

Un divenire che ci consente di affermare con sicurezza che abbiamo alle spalle il “secolo delle donne”, ma che ci ha condotte ad un punto tale per cui molte di noi  meno di una settimana sono scese in piazza a chiedersi “Se non ora, quando?”

Chi sono quindi le “donne nell'Italia unita”?

Se è vero che, anche nel nostro paese, il 900 è stato il secolo delle donne, quale eredità ci lascia? Che percorso è stato compiuto, in questi 150 anni di storia unitaria? Quali orizzonti e quali problemi abbiamo di fonte?

Mi sono divertita a rintracciare i volti delle donne dell'Italia unita: volti così diversi, a volte così distanti! Se “fatta l'Italia, bisognava fare gli italiani” ancor di più bisognava “fare le italiane”

...che forse ancora non ci sono, sospese tra l'essere “avanti”: europee, cittadine del mondo e l'essere ancora ostaggio dei retaggi e dei condizionamenti di una cultura, una società e una politica che non riconoscono loro piena dignità e valore

Brigantesse e maestrine

Migranti di ieri e di oggi: balie e badanti

Resistenti e casalinghe del “mulino bianco”

Intellettuali e contadine

Il tempo  è limitato: scelgo di sviluppare la mia riflessione non tanto secondo una precisa ricostruzione storica, quanto attraverso la messa a fuoco di questioni e di passaggi che per me sono stati particolarmente significativi e di concluderla con una carrellata di immagini di donne che per me hanno costituito e costituiscono punti fermi, in una sorta di ricostruzione del mio “album di famiglia”. 

Sarà quindi una narrazione inevitabilmente parziale e partigiana, che si dichiara tale fin da subito. Sono infatti convinta che la memoria è generativa nella misura in cui ci tocca nelle viscere e che se vogliamo costruire un futuro più dignitoso per le donne e gli uomini dobbiamo ricercare con rigore ed onestà intellettuale, per trovare nella nostra storia la sorgente dei nostri principi, pur riconoscendo il valore di altre sensibilità ed altre letture con le quali confrontarci e dialogare.

Tutti sappiamo che le donne diventano ufficialmente “cittadine” nel 1946, quando esercitano per la prima volta il diritto di voto e la loro pari dignità viene sancita dall'articolo 3 della costituzione.

...e prima? Le donne erano assenti dalla scena pubblica?

Abbiamo visto nel DVD le donne anonime che dopo la battaglia di Solferino curano i feriti di entrambe le parti, quelle presenti sulle barricate, quelle che aprivano i loro “salotti”  perchè diventassero luoghi di aggregazione politica. Sono passate alla storia le donne che sono state vicino e hanno ispirato e “sostenuto” eroi e uomini politici: mogli, compagne, amiche, amanti.

Su questa realtà si apre la storia delle donne nell'Italia unita.

Le distanze e le differenze tra donne sono più marcate dalle differenze sociali, culturali ed economiche che non dall'essere piemontesi piuttosto che campane o toscane: al compiersi dell’unità d’Italia cioè una contadina delle valli bergamasche è più simile ad una bracciante pugliese che non ad una borghese di Milano, che a sua volta poteva ospitare nel suo salotto una napoletana della sua stessa classe sociale piuttosto che un’operaia di filanda o una lavandaia.

Il nuovo stato non riconosce alle donne diritti civili: il codice di famiglia Pisanelli del 1865 sancisce la supremazia maschile, addirittura segna un passo indietro per le donne venete e lombarde che, prima dell'Unità, non avevano bisogno dell'autorizzazione maritale per disporre dei propri beni.

Uno stato di cose largamente accettato, in una situazione dove ancora vigeva la famiglia larga patriarcale nelle campagne del Nord come del Sud e del Centro e dove anche nelle famiglie più aperte della borghesia e della nobiltà si riconoscevano alla donna solo ruoli subordinati e anche quando se ne riconoscevano meriti ed autorevolezza all’interno della famiglia questo era da ricondursi alle caratteristiche personali (ingegno maggior del sesso, si legge su una lapide nel chiostro della chiesa di San Lorenzo a Firenze)

Nel 1866 la contessa di Belgioioso, scriveva: "quelle poche voci femminili che si innalzano chiedendo dagli uomini il riconoscimento formale delle loro uguaglianza formale, hanno più avversa la maggior parte delle donne che degli uomini stessi. [...] Le donne che ambiscono a un nuovo ordine di cose, debbono armarsi di pazienza e abnegazione, contentarsi di preparare il suolo, seminarlo, ma non pretendere di raccoglierne le messi".

Le donne non sono quindi “soggetti politici”: non godono di autonomia né tanto meno occupano posizioni pubbliche nei luoghi del potere. La loro soggettività si esprime altrimenti: nella militanza come nella ribellione, nel coltivare l’impegno sociale (sia questo l’assistenza ai poveri e ai malati piuttosto che l’alfabetizzazione degli adulti), nel dedicare la propria vita ai principi e agli ideali politici (spesso affrontando sacrifici e sofferenze materiali ed affettive), nel nutrire idee e relazioni come nell'esporsi in prima fila nelle rivendicazioni per il pane, per l'acqua o per la casa (nell'ottocento come in tempi a noi più vicini).

Sarebbe appassionante ricostruire “l’altra storia” e render conto di quanto sia stato determinante questo anonima e continua presenza delle donne, anche quando non erano “soggetti politici”.

Mi soffermo su due fenomeni: brigantaggio femminile e prime lotte per l’emancipazione femminile, con le due facce dell'emancipazione: politica e sociale. Per farlo mi aiuto con le parole di due canzoni (“Il sorriso di Michela”  di Edoardo Bennato e la canzone popolare “La lega” che evocano il “profondo sud” e il “profondo nord”) che evocano dolore, fierezza, determinazione, coraggio, rabbia; ma anche dolcezza e amore.

Il sorriso di Michela,  prigioniera perché donna del sud, che combatte la sua guerra di frontiera, che difende la sua terra,così bella così fiera, fotografata a seno nudo dal nemico che per la sua vigliaccheria non si accorge di chi sei può avere ancora oggi uno straordinario potere simbolico. Così come “Sebben che siamo donne, paura non abbiamo, per amor dei nostri figli in lega ci mettiamo è stata un’esortazione che ha animato per decenni le lotte delle donne. E non solo delle mondine.

Dietro le parole delle canzoni due fenomeni che meritano particolare attenzione: il brigantaggio femminile e i movimenti per l'emancipazione femminile, quella politica e quella sociale.

È noto il brigantaggio come specifico aspetto della questione meridionale che i primi governi dell’Italia unita si trovarono ad affrontare. Meno nota la dimensione femminile del fenomeno, l’esistenza cioè delle “”Brigantesse”, fossero queste le donne dei briganti o capi banda esse stesse. .

Le repressioni del banditismo instaurano il terrore nei territori occupati, la fucilazione sul campo, lo stupro delle donne dei ribelli.

In questo contesto matura il dramma delle "brigantesse", che è dramma della rottura dell'equilibrio familiare, dramma di madri senza più figli, di ragazze orfane dei genitori, di vedove: è dramma di donne disperate che, ribaltando un ruolo stereotipo di rassegnazione e sudditanza, si dimostrano capaci di affiancare con coraggio i propri uomini e partecipare attivamente alla rivolta contadina. Le brigantesse diventano protagoniste di storie di inaudita ferocia, ma anche di teneri sentimenti che le esasperazioni di una guerra civile non riescono a sopprimere del tutto.

Il movimento per l’emancipazione, come ho detto, ha due facce, che ben possono essere esemplificate da due donne: Anna Maria Mozzoni ed Anna Kuliscoff.

La Mozzoni condusse, tra il 1864 e il 1920, una lunga battaglia per inserire la questione femminile in tutti i problemi che lo stato post-unitario doveva affrontare (riforma dei codici, riforma sanitaria, riforma elettorale) e mosse le sue osservazioni partendo dalla critica della società patriarcale, convinta che l’oppressione femminile non avesse radici solo economiche e sociali.

Nonostante gli appassionati appelli per il suffragio femminile tutti i progetti di legge per garantire il voto alle donne, o meglio ad alcune categorie di donne, venivano regolarmente bocciati (Minghetti 1861, Lanza 1871, Nicotera 1876-77, Depretis 1882 etc.), compresa la riforma Giolitti del 1912 che escluse dal suffragio elettorale le donne insieme a minorenni, condannati e dementi

Nel 1881 Anna Maria Mozzoni aveva tenuto un’accorata perorazione del suffragio femminile (il Comizio de Comizi): "Se temeste che il suffragio alle donne spingesse a corsa vertiginosa il carro del progresso sulla via delle riforme sociali, calmatevi! Vi è chi provvede freni efficace: vi è il Quirinale, il Vaticano, Montecitorio e Palazzo Madama, vi è il pergamo e il confessionale, il catechismo nelle scuole e ... la democrazia opportunista!". Nonostante la loro passione le suffragette però non acquisivano consensi, derise dalla borghesia conservatrice, accusate di essere borghesi dai socialisti e pericolose dai cattolici.

Dall’altra parte le socialiste, Anna Kuliscioff in testa, si battevano per modificare gli equilibri sociali, convinte che senza radicali trasformazioni sociali e superamento del conflitto di classe non ci sarebbe stata emancipazione per le donne e che quindi il proletariato femminile doveva combattere la sua battaglia senza schierarsi con il femminismo delle donne borghesi.

Nel 1910 il Comitato Pro-Suffragio chiese al Partito Socialista di pronunciarsi sulla questione del suffragio femminile. Turati si pronunciò contro il voto alle donne fintanto che "la pigra coscienza politica e di classe delle masse proletarie femminili" finisca con il rafforzare le forze conservatrici. Anna Kuliscioff, compagna di Turati, gli rispose dalle pagine di "Critica Sociale" difendendo il suffragio femminile. Al Congresso socialista del 1910 però Kuliscioff finì con il sostenere che "il proletariato femminile non può schierarsi col femminismo delle donne borghesi [...] Per la donna proletaria il suffragio politico è un’arma per la propria emancipazione economica". Su "Critica Sociale" però scrisse: "Non mi riesce di spiegarmi tanta rigidità verso il movimento femminile non proletario, mentre nei rapporti con i partiti politici borghesi, i socialisti hanno smussato così generosamente gli spigoli della loro intransigenza [...]. Se i socialisti fossero convinti fautori del suffragio universale, saluterebbero con gioia le suffragiste non proletarie come un coefficiente efficace alla vittoria, riservandosi di combattere qualunque proposta di legge che intendesse limitare il voto ad alcune categorie femminili privilegiate".

La guerra segnò uno sconvolgimento nei rapporti sociali: gli uomini al fronte, le donne sono chiamate a sostenere il “fronte interno” e lo fanno manifestando un’altra volta le straordinarie capacità cui sanno attingere, sia assumendosi il compito di sostenere la famiglia, sia sostituendo gli uomini anche nei lavori più duri.

Dopo la guerra però, con il fascismo, la soggettività politica femminile subisce nuovi pesanti colpi. La mistica fascista esalta, sì, la donna, ma come “angelo del focolare” “nutrice” “fattrice che offre figli alla patria”

"Lo scopo della vita di ogni donna è il figlio. […] La sua maternità psichica e fisica non ha che questo unico scopo". Si legge in un manuale di igiene, divulgato dal regime alla fine degli anni '30. La funzione della donna è quella procreativa: a partire da questo principio si assiste ad un graduale allontanamento della donna dalla sfera pubblica.

Con la riforma Gentile viene inferto un altro colpo al protagonismo delle donne L'insegnamento di molte materie fu precluso alle donne: esse non poterono accedere ai concorsi pubblici per insegnare nei licei lettere, latino, greco, storia e filosofia o per insegnare italiano negli istituti tecnici.

Un Decreto Legge del 05/09/1938, infine imponendo una riduzione al 5% del personale femminile, impiegato nella Pubblica Amministrazione, rappresentò il culmine della discriminazione sessuale.

Ancora una volta la guerra e il ruolo delle donne nella Resistenza determinarono una svolta che avrebbe portato all’affermazione dei diritti civili.

Pari ai compagni partigiani contro gli oppressori

le donne di Firenze

resisterono, confortarono, sperarono

testimoniando anche con la vita

che il focolare è prigione e il lavoro schiavitù

se mancano pace libertà giustizia

Si legge su una lapide posta il 25 aprile 1962 a Firenze, a testimoniare il contributo di impegno e il risultato in termini di autoconsapevolezza.

È proprio a partire dal riconoscimento del ruolo che hanno svolto durante la guerra e nella lotta di Liberazione che arriva il riconoscimento del diritto di voto attivo e passivo, esercitato per la prima volta nel 46 in occasione del referendum tra repubblica e monarchia e per l'elezione dell'Assemblea Costituente.

Le donne partecipano in maniera massiccia al voto, nonostante i dubbi di tanti. Tuttavia le donne elette appaiono sono ancora una netta minoranza, nonostante il loro intrinseco valore: sono 21 su 556 componenti l'Assemblea costituente, poco meno del 4%. Nove erano comuniste, nove democristiane, due socialiste e una era stata eletta tra i candidati dell’Uomo Qualunque.

La loro presenza e la diversa identità conquistata si fanno sentire nei dettati della Costituzione. Particolarmente importante, meriterebbe da solo tutto il tempo di questo incontro, l'articolo 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Il mutato clima e l’entusiasmo per le nuove prospettive che si aprono alimentano l’attivismo e la presenza dell’associazionismo femminile “collaterali” ai partiti, ma capaci di mobilitare grandi energie per costruire una forte presenza e attribuire un ruolo alle donne (UDI CIF), che sono così protagoniste in importanti battaglie

  • le lotte contadine
  • il disarmo
  • il lavoro a domicilio
  • i servizi per l'infanzia

e tessono una straordinaria rete di relazioni attraverso attività divulgative, di gestione diretta di servizi (colonie, asili), di feste che darà un contributo determinante al maturare della loro autostima e della loro consapevolezza.

Intanto le grandi trasformazioni interne al paese (flussi migratori, boom economico, passaggio da mondo contadino a industriale) trasformano la vita delle donne e le spingono ad assumere nuovi ruoli e nueve identità. Le scoperte e i ritrovati tecnologici danno loro uno straordinario sostegno a ridefinirsi: nella sfera intima , in quella familiare, in quella pubblica

  • pillola anticoncezionale
  • assorbenti
  • lavatrici
  • frigoriferi

 loro posto non deve più essere necessariamente tra le mura domestiche, la maternità non è più un destino ineluttabile, la loro presenza nel lavoro passa dall'essere oggetto di tutela, ad assumere parità formale, a prevedere politiche di pari opportunità.

Gradualmente si aprono ad attività, a lavori, a professioni dalle quali erano escluse – e la loro massiccia presenza cambia i lavori, trasforma le professioni- Con la riforma della scuola media (1962) sempre più studiano, entrano in istituti, in scuole, in facoltà dove non erano entrate prima...

Gli anni 70 sono quelli in cui la loro presenza diventa prorompente e sembra aprire nuovi orizzonti.

Donne di diverse generazioni, tante giovani! Si aggregano

Nuovi slogan risuonano nelle piazze

Esplode la loro gioiosa visibilità, dove la lotta si fa danza e l'affermazione di sé canto.

Io sono mia

Né puttane né madonne, finalmente solo donne

Ma anche “tremate tremate, le streghe son tornate”

Soprattutto irrompono nelle strade con la loro fisicità e il loro colore e con loro il corpo di donna irrompe nella politica, si pone come “soggetto politico”, non come oggetto su cui altri decidono, rivendica valore e dignità.

Le persone, i loro diritti, le relazioni tra loro diventano questioni di rilevanza politica straordinaria per definire la società e i nuovi diritti di cittadinanza.

È una vera rivoluzione culturale (una rivoluzione incompiuta?) che sta sotto le grandi battaglie, le grandi trasformazioni legislative degli anni 70:

diritto di famiglia

divorzio

aborto

Le donne inventano una nuova lingua per esprimere concetti ed emozioni che escono per la prima volta dal segreto del "non detto" “non dicibile” a parole della politica. Si incrociano percorsi da provenienze tra loro remote, uniti dalla comune volontà di "esserci in quanto donne" (le vecchie militanti e le giovani studentesse, le operaie delle catene e le insegnati, le signore borghesi in crisi e le giovani sindacaliste sicure di sé)

Siamo nel cuore degli anni in cui si verifica la saldatura tra le rivendicazioni (e le conquiste) per i diritti della persona e dell'autodeterminazione con quelli delle riforme sociale e per i diritti collettivi (lo statuto dei diritti dei lavoratori,  la riforma sanitaria, i decreti delegati nella scuola...)

...e poi la cupezza degli anni di piombo, lo stragismo, e poi il rampantismo, tangentopoli, il berlusconismo, i corpi delle donne sempre più esibiti e sempre più stravolti ed usati

...ma anche la partecipazione alla conferenza internazionale di  Pechino nel 1995, la capacità di far circolare le sue parole d'ordine Empowerment Mainstraming Networing,  l'affermarsi di una nuova idea di donna più corrispondente alle trasformazioni avvenute, il parlare di “politiche di genere” piuttosto che di “emancipazione o liberazione femminile” che si traducono anche in nuove normative la legge 53 del 2000 la 16 della Regione Toscana.

Guardiamo oggi dove ci ha portato questo fiume carsico della storia delle donne e vediamo straordinari cambiamenti realizzati in questi 150 anni: l'Italia che era uno dei paesi dove nascevano più bambini ed aveva le famiglie più numerose, ha raggiunto il record mondiale del più basso tasso di natalità; le statistiche ci dicono che le donne non sono più escluse dalle scuole, ma studiano più dei maschi e  con i migliori risultati; sono entrate in tutte le professioni ed in alcuni casi ai massimi livelli...eppure la loro straordinaria potenza fatica a farsi potere!

Circa un anno fa ho scritto alcune pagine su questo tema, che erano una riflessione più che sulle difficoltà delle donne, sulle difficoltà della politica a parlare a donne e uomini perché le sue parole –spesso urlate per coprirne la vacuità-  non sanno dire i bisogni profondi, non sanno esprimere le preoccupazioni più autentiche dei cittadini, alimentare il discorso ed il confronto, quindi nemmeno dar corpo alle speranze possibili. Soprattutto non sanno far vedere una prospettiva di futuro per la quale mobilitare le energie.

Mosse dallo squallore delle vicende che sono la drammatica cronaca del nostro presente le donne stanno tornando sulla scena con un protagonismo nuovo, con una parola d'ordine antica, ma che risuona nuova e forte: DIGNITA'.

Sono degna

Valgo e so di valere

Quindi merito

 

 

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