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Leonardo Sarti e la boxe come metafora di vita

La storia del pugile dalle 8 vittorie su 8 tra i professionisti (ma è solo l’inizio)

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Leonardo Sarti Leonardo Sarti © nn
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“I campioni non si fanno in palestra. I campioni si fanno con qualcosa che hanno nel loro profondo: un desiderio, un sogno, una visione”. A queste tre parole chiavi del grande Muhammad Ali, Leonardo Sarti ne aggiungerebbe sicuramente un’altra: cuore. Proprio quel grande cuore che gli ha permesso di salire sul ring per più di 100 volte tra dilettanti e professionisti. E proprio in quest’ultima categoria il nostro pugile ha vinto 8 incontri su 8, ben 5 per KO. In questa intervista abbiamo ripercorso i suoi inizi, le sue prime vittorie, le sue (poche) sconfitte, i suoi duri allenamenti e i suoi più grandi rimpianti. Rimpianti che però non lo hanno mai fermato, anzi gli hanno dato una spinta ulteriore per tornare a salire sul ring e naturalmente a vincere.

E alla domanda su cosa farà una volta appesi i guantoni al chiodo, Leonardo non ha dubbi. Ma non vogliamo anticiparvi nulla. Quindi mettetevi comodi e leggete questo botta e risposta perché in fondo anche noi (intervistatore e intervistato) è come se fossimo in un incontro di boxe, dove alla fine sicuramente vincerà Leonardo.

Leonardo partiamo dal principio. Da dove e quando è nata questa passione per il pugilato?

“È nata grazie al mio babbo perché lui quando ero piccolo aveva già questa palestra. Non mi ha mai forzato a fare niente, ero io che di spontanea volontà ci andavo ogni tanto, anche perché da piccolo mi piaceva mangiare e fare poca attività fisica. Nonostante questo, però mi ha sempre imposto di fare uno sport. Ne ho provati mille fino all’età di 15 anni quando poi ho avuto l’illuminazione. Sono corso in palestra e gli ho detto ‘voglio combattere’. Lui inizialmente mi disse di no perché dovevo perdere peso e durare fatica facendo dei sacrifici. In tempo due mesi mi misi sotto perdendo 8 chili e raggiugendo il peso per poter combattere. Nel 2011 feci il mio personale debutto tra gli esordienti in un torneo a Riccione. Vinsi il mio primo match, poi arrivai in finale ma persi”.

Da quel 2011 di incontri nei hai fatti parecchi. Qual è stato però quello più importante della tua carriera?

“L’emozione più bella che ho avuto è stata quando ho indossato la maglia della Nazionale contro la Croazia e la seconda quando vinsi i campionati contro Paolo Bologna. Ma non solo perché vinsi contro di lui, ma perché durante quell’incontro mi sono divertito un sacco. Poi io e lui siamo anche molto amici, c’è un legame dietro”.

 

La più grande soddisfazione da quando indossi i guantoni?

“Ti direi sempre quando ho indossato la maglia della nazionale”.

E la più grande delusione?

“Quando mi feci male a 21 anni. Nel 2015 vinsi i campionati contro Bologna e l’anno dopo, forse andando un po’ spavaldo, mi feci male durante il primo match contro Giorgetti che comunque è un pugile fortissimo. Presi una testata rompendomi lo zigomo. Mi ero prefissato, una volta finita la scuola di comune accordo con i miei genitori, di dedicare un anno al pugilato. Volevo cercare di togliermi delle soddisfazioni, ma non avevo fatto i conti con l’infortunio che ha mandato in frantumi il mio piccolo sogno. Poi sono andato a Londra e lì ho perso 3-4 anni di attività. E questo è il mio rimpianto più grande”.

Come ti prepari agli incontri?

“Il pugilato è uno sport dove non ti devi mai fermare. Devi allenarti tutti i giorni. Poi naturalmente quando hai un match vicino incrementi gli allenamenti facendo una preparazione più mirata sulla forza, sull’esplosività, sulla tecnica, sulla tattica, studi un minimo l’avversario. Comunque, è un allenamento costante”.

Hai qualche rito scaramantico prima di salire sul ring?

“Prima mettevo sempre una collanina alla scarpa destra. Poi sempre alla stessa scarpa un braccialettino di un guantone che mi aveva regalato il mio babbo”.

Qual è il tuo punto di forza?

“Avere cuore perché tante volte uno pensa che il pugilato sia picchiarsi e basta, però non è quello. Sul ring sei solo con te stesso. Il primo avversario da sconfiggere sei te stesso, come succede tante volte in palestra. Spesso io non ci vorrei andare però me lo impongo, mi do uno schiaffo morale e mi dico ‘vai’. Sono piccoli obiettivi che ti prefissi e facendoli ti senti come se tu avessi vinto l’oro olimpico. E sul ring, si va bene gli allenamenti, va bene la preparazione, ma quando il match è combattuto, vince chi ha più cuore. A me tante volte è mancato, ma in altre ha fatto la differenza. E’ uno sport dove se non hai cuore, se non hai dedizione, se non hai sacrificio, non puoi andare da nessuna parte”.

Se potessi essere un celebre pugile del passato chi vorresti essere? 

“Floyd Mayweather perché mi piace pugilisticamente”.

Con quale grande pugile del passato vorresti combattere?

“Arturo Gatti”

E del presente?

“Devin Haney”

Ci puoi raccontare un particolare aneddoto della tua carriera pugilistica?

“Più che un aneddoto vorrei mettere in luce la mia storia. Il pugilato, ripensando a come ero prima, mi ha salvato. Se non ci fosse stato chissà dove sarei ora. Da piccolo mi facevo sempre condizionare dagli altri, andavo sempre dietro a loro, molte volte in maniera negativa. E se non ci fosse stata la boxe e i miei genitori, probabilmente sarei stato a giro a fare qualche sciocchezza”.

Una volta che appenderai i guantoni al chiodo, rimarrai nella boxe o prenderai altre strade?

“La boxe è una cosa che non potrò mai lasciare. Il pugilato è come una droga. Tante volte dico ‘basta, ora smetto’, ma costantemente ci ricasco dentro. Uno non si innamora perché gli piace, ma si innamora quando prende il primo cazzotto. In quel momento capisci se ti piace veramente o meno. Il pugilato è una metafora della vita. Quando prendo delle delusioni mi aiuta a reagire. È uno sport dove devi dare tutto te stesso. Tante volte devi sputare sangue. E alla domanda su ‘come mai molte volte si sente dire che la boxe la fanno sempre i criminali’ vorrei dare una risposta. Innanzitutto, perché è uno sport povero. Lo puoi praticare tutti i giorni perché la palestra è sempre aperta. Ad un ragazzo che ha mille problemi fuori, dai la possibilità di sfogarsi in palestra. E capisci il rispetto perché non sai mai chi ti trovi davanti. Nella boxe la prima persona da sconfiggere sei te stessa”.

Intervista di Edoardo Martini

 

 

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