Manfredi, il pittore che si ritirò a Vaglia © n.c.
Di seguito riportiamo un'intervista realizzata nel 2006 dal nostro collaboratore Paolo Campidori, al pittore Manfredi, ritiratosi in una casetta cottage nei boschi sopra Paterno:
E' un personaggio starordinario, oltre ad essere pittore un eccellente. Ha fatto come si dice, la "gavetta" nella sua città natale di Firenze, facendo il cartellonista publicitario per il Partito Comunista Italiano.
La sua pittura è passata atteraverso varie correnti artistiche, fino ad avere uno stile tutto proprio (anche se non manca qualche accenno al grande artista americano Bacon).
Galleria fotografica
Un bel giorno, circa trenta anni fa, rompe con la sua città natale, Firenze, poiché è stanco di vedere intorno a sé troppa pittura e troppi pittori che, secondo Manfredi, "navigano con la corrente", in altre parole che seguono le mode del momento.
Decide di lasciare per sempre la città e di ritirarsi in campagna, precisamente nella campagna mugellane sulle alture di Cojano, una località incantevole sopra Paterno nel Comune di Vaglia.
Siamo nel 1975, Manfredi ancora non è un pittore affermato, nel senso che ha lavorato molto, ma guadagnato poco, vuole ad oggni costo realizzare un desiderio che ha avuto fino dalla sua infanzia , realizzare per sé e per la sua compagna Alma, una bella casetta tutta in legno a Paterno di Vaglia.
Manfredi si rimbocca le maniche, disegna, misura, taglia le assi e i legni e, piano piano riesce a concretizzare il sogno. Così, si ritira, come dice lui nel suo “aventino sdegnoso” in Mugello per non tornare più in quella Firenze che gli ha regalato sì molte gioie na anche molti dolori.
Qui nel suo studio, che si trova nel piano più basso della casa-cottage, Manfredi lavora alacremente, ‘sfornando’, giorno per giorno, lavori che talvolta gli sono congeniali e altre volte lavori che lui ritiene non riusciti e che talvolta vengono presi a calci (letterale).
E’ un appassionato motociclista. Nella sua vita ha posseduto ben trentotto moto, alcune delle quali conserva , in un magazzino dove egli smonta e rimonta i pezzi e prova il rombo dei motori.
Questo “giovanotto” che ha festeggiato da tempo gli ‘ottanta’ (una bella festa con amici nella capitale) possiede anche una moto nuova, di grossa cilindrata. “Questa sai, mi ha detto, non va molto veloce fa soltanto 200 Km orari!” Mi ha confessato che solo alcuni anni fa con questa moto ha superato i limiti di velocità ed ha preso una bella multa!
Non è da tutti. Veniamo però a parlare della sua grande Mostra “Ritratti e Aforismi”, una tappa storica importante nella storia della pittura contemporanea, presso l’Archivio di Stato di Firenze, nell’anno 2006, mostra che ebbi l’onore e il piacere di visitare.
Dopo un “pour-parler” telefonico, si siamo dati appuntamento presso una saletta del suo “Aventino”, dove ho incontrato anche la moglie Alma, compagna di lotte, compagna di vita, biografa del marito e anche modella. Alma, nonostante sia più giovane di Manfredi dimostra nel suo bellissimo volto che gli anni sono passati anche per lei. Dalla loro casa sopra Paterno si gode un panorama superbo : la chiesa di Paterno in basso e le cime del Morello in alto. Io riporterò integralmente l’ intervista che feci a questo straordinario artista:
Come è nata questa idea di esporre i suoi lavori nella prestigiosa sede dell’Archivio di Stato di Firenze?
Perché l’Archivio di Stato ha accolto con entusiasmo la mia proposta di esposizione e si prestava, per l’ampiezza dei suoi locali, alla sua realizzazione.
In un certo punto della sua biografia si trovano scritte le seguenti parole riferite a Lei: “ascolta senza parlare ed è questo contesto che lo porta a stabile cosa non vorrà mai diventare: non vuole assoggettarsi all’oligarchia culturale” Io non conosco sufficientemente l’ambiente dei pittori e degli artisti contemporanei fiorentini, mi potrebbe spiegare meglio questo concetto?
Le parole “senza parlare mai”, si riferiscono ai miei primi giovanili contatti con i pittori fiorentini. Mentre “non vuole assoggettarsi all’oligarchia culturale” è una scelta della maturità. Sarebbe lungo e difficile spiegare la storia di come si forma un’oligarchia culturale e le ragioni che possono indurre a sottrarsi ad essa.
Nel 1965, quindi diversi anni fa, Lei è stato chiamato a dirigere la Galleria fiorentina “Il Vaglio” nella quale Lei ospiterà, più tardi, “i pittori rappresentanti le più importanti tendenze figurative del momento” Lei si ricorda se in quel periodo si è mai sentito parte di quella oligarchia culturale che una volta detestava?
No, tanto è vero che la mia azione scatenò una reazione, con appoggi politici, che mi costrinse a lasciare questa attività.
Nel 1969 espone a Vinci una personale presentata da Luciano Berti, allora direttore della Galleria degli Uffizi. Lei conosceva o era amico di Luciano Berti e in particolare si ricorda cosa ha scritto su di Lei Berti?
E’ un amico della mia prima infanzia, ritrovato casualmente negli anni ’60 e con il quale si ristabilì subito un’affettuosa amicizia. Di ciò che ha scritto su di me, in quell’unica occasione, per una mostra a Vinci nelle Sale del Museo Leopardiano, esiste documentazione nella mia monografia antologica del 2001.
Lei firma le sue opere “semplicemente” – come afferma Lei – con il nome Manfredi senza il suo cognome, Lei nella vita è davvero una persona semplice?
Se essere una persona semplice vuol dire essere “se stessi”, Le assicuro che arrivarci non è cosa semplice.
Con la Mostra all’Archivio di Stato Lei dice che ha “chiuso un ciclo di lavoro durato dieci anni”. Ha in mente quale sarà il suo prossimo ciclo di lavoro e dove questo verrà esposto?
Sì, ho in mente un altro ciclo di lavoro, ma se avessi parole per descriverlo, non avrei bisogno di dipingerlo. A quanto a dove esporlo è prematuro che me lo ponga.
Nel 1984 ha esposto le sue opere alla Villa Medicea di Cafaggiolo, su invito del Comune di Barberino. Quali legami aveva con il Mugello in quel periodo? Lei godeva già di una certa fama in quegli anni?
Non parlerei di fama, ma se questo invito è arrivato, per altro da persone che non conoscevo, non sarà stato del tutto casuale…
Nel 1975 ha deciso di ritirarsi nel suo “Aventino sdegnoso” nel Mugello, luogo che – come Lei afferma – contribuisce non poco alla Sua ispirazione artistica”. Mi potrebbe chiarire un po’ questi concetti?
Il consolidarsi di un’omologazione generalizzata alle mode in campo artistico giustifica in parte questa mia fuga dalla città, resa mecessaria anche da ragioni personali.
Lei si definisce un artista “controcorrente” o “in direzione opposta”. In cosa consiste particolarmente questo suo andare “controcorrente”?
Consiste nel non appartenere in nessun modo a quella che è, da molto tempo, la “corrente”.
Nella sua Mostra all’Archivio ha rappresentato molti personaggi suoi “amici. Secondo Lei questi personaggi hanno fra di loro qualcosa in comune che li collega? In particolar modo quali “assonanze” potrebbero esserci, ad esempio fra l’astrofisica Margherita Hack e Bach? E’ forse la ‘laicità’ che unisce idealmente la maggior parte dei personaggi da Lei dipinti?
No, se sottintende identità. Sì, se vuol dire la loro grandezza. Non è la laicità (o ateismo?) che mi ha interessato: Bach luterano, Tolstoj ortodosso, Marino Moretti cattolico, per citare alcuni esempi.
Lei senz’altro non è solo un artista è anche un intellettuale. Fra i suoi ritratti pensa che potrebbero trovare posto anche personaggi del calibro del nostro Pontefice Benedetto XVI, Giovanni Paolo II o Papa Paolo VI?
Nella premessa del mio libro “Ritratti e aforismi” è spiegato che questi sono fra i più importanti, i personaggi della ia formazione mentale. Quelli che lei cita non ne fanno parte.
Alcuni dei suoi ritratti mi hanno impressionato per il loro realismo, altri per la sensibilità con cui sono stati interpretati. Sempre, comunque la sua tecnica pittorica mi è sembrata innovativa e allo stesso tempo tradizionalista. Però i quadri che rappresentano i boschi li ho trovati di una bellezza che oserei dire eccezionale. Come fa ad avere tanta sensibilità verso la natura? Lei che è nato e vissuto in città?
La ringrazio per il suo apprezzamento che precede la sua ultima domanda alla quale è difficile rispondere perché esser nato in città è un “fatto”. La capacità di “guardare” la natura, se riesce ad influenzare la pittura: ecco un altro”fatto”.
A pensarci bene, a distanza di alcuni anni, un comune filo conduttore esiste fra i Ritratti dipinti da Manfredi. Io lo so ma non lo dico.
Paolo Campidori, Copyright
Intervista realizzata nell’anno 2006
[email protected]
www.paolocampidori.eu


