Oggi voglio dare spazio a un altro dimenticato personaggio mugellano raccontato nel mio libro “Furono Protagonisti”, e inizierò dicendo che nell’agosto 1330 gli Alberti si sottomisero al potere fiorentino mantenendo solo territori in Mangona e Montecarelli, dove proprio in quei mesi nacque al conte Azzolino un bimbo chiamato Tano. Fin da piccolo, come tutti i ghibellini purosangue che si rispettino, fu educato a combattere i possibili nemici del suo (residuo) feudo, la sua casa. Quando Firenze nel 1340 occupò il castello dov’era nato, potete immaginare il trauma per Tano, ancora un ragazzino impaurito che vide scomparire in un attimo tutto il suo piccolo mondo.
Non si arrese, imparò a combattere e in seguito si alleò con altre famiglie d’identica fede con lo scopo di contrastare l’avanzata fiorentina; il legame più importante fu con i Visconti che sfruttarono gli Alberti ribelli come Tano per i propri scopi di conquista. Il giovane era profondamente legato al Mugello dove attivò numerosi patronati, tra cui quello della chiesa di Montecarelli; nel 1349 ne elesse rettore don Bonajuto del fu Giannozzo. Va pure detto che inizialmente l’atteggiamento di Tano fu piuttosto conciliante con la città, tanto che nel 1350 le cedette in guardia la rocca di Montevivagni; Firenze non cessò per questo l’invasione dei suoi territori feudali, tanto che a un certo punto il contrariato Tano si riprese la rocca. Diventato condottiero di ventura al soldo dei Visconti, dovette riconsegnarla al Comune nella figura di Giovanni di Cante de’Medici il quale la girò in uso agli “uomini di Mangona”.
Ormai a Tano, rimasto senza patria, non restava che vivere nell’unico modo che gli era stato insegnato; depredando e razziando con tattica “mordi e fuggi” la zona ovest del Mugello giungendo fino alle porte di Firenze. Nel luglio 1351, alla testa di duecento uomini e pochi cavalli, Tano mosse guerra in Mugello in accordo con Giovanni Visconti e, mentre questi assediava Scarperia, riconquistò con azione coraggiosa la rocca di Montevivagni e Montecarelli. Racconta Matteo Villani: “.. fece suo sforzo di cavalieri in piccolo numero, e in persona con i suoi compagni a cavallo e con dugento fanti venne nell’oste, e in Montecarelli mise la guardia per l’arcivescovo e le sue insegne; e mentre che l’oste stette in Mugello fu a nimicare il comune di Firenze, e a dare il mercato all’oste, e ricetto in Montecarelli a’ nemici del comune”. Dando ospitalità per due anni a mercenari e perseguitati ghibellini, costrinse Firenze a proclamare i conti Alberti “ribelli in perpetuo” e Tano in particolare, eterno Paperino sfortunato, “traditore della patria”! Non pagò dazio perché ci fu la pace di Sarzana tra Firenze e Milano, ma prima di ratificare il trattato pensò a fare altre razzie: “… i soldati del Biscione ch’erano a Montecarelli con il conte Tano, corsono in Mugello per fare preda, innanzi che la pace fosse pubblicata. Il vicario di Scarperia co’ soldati de’ Fiorentini gli cacciarono de’ campi fino a Montecarelli”.
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Dopo la pace fu abbandonato al suo destino dai Visconti, ma continuò le scorrerie usando la fortezza di Montecarelli come minacciosa “base operativa” da cui “… entravano nel Mugello, e gli uomini uccideano e rubavano, e rifuggevano in Montecarelli, e ciò feciono conciamente più volte...”. Nel 1360, ancora non domo, riconquistò Montevivagni e partì alla conquista di Mangona al comando di un centinaio di vassalli e avventurieri assoldati per l’occasione. Assediò l’importante castello e intimò la resa al presidio ottenendo come risposta un secco rifiuto. Cercò allora di prenderlo per fame, ma il governo fiorentino, stanco delle sue malefatte e deciso a dargli una lezione, gli spedì contro duecento cavalieri e fanti agli ordini del Podestà Piero degli Accoromboni. Era il 12 agosto e, mentre i fiorentini occupavano e distruggevano Montecarelli senza incontrare resistenze, Tano e i suoi fuggirono in Castel di Migliari per poi rifugiarsi, passando con un largo giro dai boschi di Casaglia, in Montevivagni. Qui giunti i fiorentini riuscirono dopo un violento scontro a occupare un’altura curiosamente detta “l’Arcivescovo” e da lì posero l’assedio al castello; anziché arrendersi o negoziare, Tano da Montecarelli fu tanto folle da ingaggiare un combattimento che durò ore. Alla fine, tradito da vili mercenari a guardia della torre che uccisero i propri compagni, si arrese. Era l’8 settembre 1360. Il castello di Montevivagni fu raso al suolo e si contarono numerosi feriti e morti nelle file di Tano. Preso prigioniero insieme al suo principale complice e altri ghibellini, fu condotto prima a Castel di Migliari e poi a Firenze, dove venne decapitato sei giorni dopo nel cortile del Bargello e sepolto in Santa Croce. I suoi beni furono sequestrati dal comune e anche gli altri complici “.. sbanditi furono tranati e appesi vilmente”.
Fin qui la cronaca storica che racconta di un Tano da Montecarelli tremendo e rancoroso, un bandito da strada, un violento che dalla sua “spelonca” assaliva chi passava di lì. Purtroppo per i fiorentini e loro accoliti ho rintracciato nell’Archivio Storico Fiorentino alcune lettere che smentiscono la ricostruzione di parte. In particolare, in una di queste firmata proprio Tano di Mangona (che così ci svela anche il castello di nascita) e spedita per il tramite del podestà locale il feudatario mugellano non appare così ignorante e irrazionale anzi, esprime con calma le sue ragioni cercando una ragionevole mediazione: “…io per me sono acconcio a vicinare bene in quanto vogliate,…(omissis)..et di questo vi prego che mi rispondiate, però che quello che v’è porto ch’io non voglio fare ragione, non è vero. Priegovi che non abiate per male perché io difenda le ragioni mie ché in altro potreste fare ragione di me come fratello.” Dunque, la domanda a questo punto sorge spontanea; Tano fu davvero un senza patria, un bandito feroce, un traditore come raccontano i fiorentini? E si può chiamare davvero traditore chi si oppone a un invasore prepotente? Forse, molto semplicemente era soltanto un giovane e coraggioso mugellano, un “patriota” medievale che volle difendere con romantico orgoglio la terra dov’era nato, a suo modo di vedere invasa e aggiogata senza motivo da un nemico troppo forte e privo d’umana pietà.