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MUGELLO XIV SECOLO: il fallimento delle “Terre Nuove” fiorentine

Firenze ha sempre cercato fin dall’antico di sfruttare a suo vantaggio le risorse mugellane.

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Le terre nuove fiorentine Le terre nuove fiorentine © FS
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Si farebbe un torto alla Storia se non si dicesse chiaramente che Firenze ha sempre cercato fin dall’antico di sfruttare a suo vantaggio le risorse mugellane. Si cercò per secoli l’acqua delle sue sorgenti (e, come sapete, oggi in Mugello c’è un invaso che funge pure da riserva idrica), si reclutarono soldati tra i contadini mugellani fin dai tempi di Machiavelli con la scusa che i cittadini avevano cose “più importanti” da fare, le famiglie cittadine ricche acquistarono poderi in loco per investimento. Anche oggi il Mugello è visto da molti (purtroppo anche tra i mugellani stessi) come terra di transito, perfetta per farci ferrovie superveloci, autostrade e, perché no, magari una puzzolente camionabile alla beata faccia dell’impatto ambientale. 

A me piacerebbe invece tanto un “Mugello verde” che certo non penalizzi industrie e artigianato, ma che le sappia meglio coniugare con beni culturali, storici e con una piena vocazione naturale del territorio; ma qui mi fermo, per carità, chi sono io per oppormi al mirabile progresso o alla “visione” illuminata di chi ci amministra? Va però ribadito per onestà che in un certo senso questa valle per Firenze era e rimane terra di conquista, terra di “colonia”. Tutto ebbe inizio dalla distorta convinzione che i cattivi, gli indiani della situazione, fossero feudatari e coloni mugellani mentre i buoni, quelli con la stella di sceriffo e il sorriso smagliante, fossero podestà e notabili fiorentini. Ma fu davvero così? Tanto per cominciare, dalla distruzione di Fiesole nel 1125 Firenze volle assicurarsi una comoda espansione con quello che fu chiamato dalla città in maniera direi assai rivelatrice “L’assoggettamento del contado”. Castelli comprati e subito distrutti, patrioti colpevoli di difendere la loro terra trattati come ribelli e impiccati nella pubblica piazza, intere famiglie che non si sottomettevano al comune costrette all’esilio.

Questa è la realtà dei fatti che piaccia o meno, dimenticando che fu proprio l’impiego degli immigrati dal contado, manodopera operosa e a basso costo, a garantire lo sviluppo dell’economia cittadina. Come avrete già capito la storia, spesso, si ripete. Fu così anche per le Terre Nuove che taluni vedono come momento luminoso del progresso fiorentino nelle nostre lande desolate e che invece io vedo come il tentativo della città di risolvere i problemi con una bella colonizzazione. Ma andiamo per ordine. Premesso che la civiltà in Mugello c’era ben prima dell’arrivo fiorentino (si pensi al rapporto tra Matilde di Canossa e il Monastero di Luco, alle splendide Badie mugellane, ai floridi mercatali e alle sobrie corti feudali-X/XII secolo), con la costruzione di Terre Nuove in Mugello, Firenze cercava due risultati; uno di tipo militare e l’altro economico. Si voleva cioè creare da un lato fortificazioni per contrastare potere feudale e invasioni da nord, dall’altro un polo economico in cui far confluire gli abitanti delle campagne. Entrambi gli obiettivi fiorentini, però, fallirono miseramente. Iniziamo dall’aspetto militare. Se è vero che Vicchio nacque per contrastare l’ingombrante rocca dei Guidi di Ampinana, Firenzuola quella ubaldina a Tirli e Scarperia la potenza di Montaccianico, il mutato contesto non fece mai sfociare quel contrasto in guerra aperta; ci si limitò a una guerriglia campestre e all’acquisto e distruzione di rocche feudali in loco. Ciò fu un grande errore perché così facendo venne a mancare una cintura di protezione a nord di una città militarmente molto debole. Quando poi nel 1351 Scarperia fu assediata dai Visconti e loro alleati la cittadina mugellana fu lasciata sola da Firenze, ricevendo solo un piccolo aiuto da Salvestro di Alamanno e Giovanni di Conte, esponenti medicei con interessi in loco, arrivati coraggiosamente con un pugno di uomini. 

La stessa cosa accadde due secoli dopo durante l’assedio di Vicchio del 1529 quando Filippo Parenti e Albizzo da Fortuna, nonostante un’eroica resistenza, furono anche loro lasciati soli a combattere senza che Firenze rispondesse alle numerose e accorate richieste d’aiuto. Insomma, militarmente parlando, tante “Terre Nuove” per nulla, un vero buco nell’acqua, e di quelli grossi anche. Direte voi, forse andò meglio sotto l’aspetto socio-economico? Peggio che andar di notte amici miei... lascio però a voi immaginare la scena. Ai contadini mugellani, abituati a vivere in campagna con bestie nella stalla, orto e campo davanti casa dove andavano persino a.. “liberarsi” quando avevano mal di pancia (scusatemi la libertà), fu chiesto di chiudersi tra quattro mura appiccicati ad altri disgraziati con il timore che la promiscuità portasse la peste, di alzarsi prima dell’alba per raggiungere campi lontani tramite i cosiddetti “sentieri di lavoro”, stando pure attenti a non inciampare per strada nei… “mal di pancia” liberati dai vicini dato che, in assenza di latrine, venivano gettati direttamente dalla finestra! Siate sinceri, voi cosa avreste preferito? Firenze le provò tutte per popolare le “Terre Nuove”; i popoli mugellani limitrofi furono minacciati se non avessero accettato il trasferimento, poi si cercò di persuaderli con il solito condono, una generosa esenzione dalle tasse. Infine, si tentò di costringere cittadini all’acquisto in loco di “terre e casolaria”; ma non ci fu nulla da fare, fu il buio assoluto. Così, nella valle i paesi più importanti rimasero Barberino, Borgo e Dicomano, le “Terre Vecchie” poste sulle vie principali e sede di frequentati mercatali. Viceversa, tra le “Terre Nuove” Firenzuola fu sovente razziata e stentò a lungo a popolarsi, mentre a Vicchio solo due famiglie accettarono di trasferirsi. A fine Trecento le mura del paese erano ancora inadeguate (2,40 m.) e all’interno abitava la miseria di 95 persone; non fu costruito neppure un edificio di culto degno di quel nome e per due secoli la popolazione rimase legata alle pievi di San Cassiano in Padule e Santo Stefano in Botena. Scarperia, dove famiglie prestigiose come i Guinizzinghi si rifiutarono di abitare, a metà del XIV secolo era ancora “..una debole terra di piccolo compreso e non murata se non dall’una delle parti” (Villani); nel 1380 la presidiavano due soli fanti, nel 1427 ci abitava la miseria di 223 persone.

Nonostante l’istituzione del Vicariato, stentò moltissimo e ci furono persino furiosi scontri tra gli abitanti dei quartieri. Altri elementi contribuirono al fallimento del progetto fiorentino, in primis il frazionamento poderale che spinse i proprietari terrieri a chiedere ai propri contadini di tornare a vivere nei casolari rurali; poi la terribile epidemia di peste nera del 1348 diede la mazzata finale. Insomma, abitare nelle “Terre Nuove” fu a lungo vista come una brutta disgrazia, e solo nel tardo Quattrocento avvenne un sia pur timido sviluppo di artigianato e commercio che consentì ai cittadini di questi paesi, voluti in fretta e furia da Firenze, di trovare finalmente una propria identità sociale e culturale.

 

Fabrizio Scheggi

 

 

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