Un intervento di Gianfranco Poli da Palazzuolo sul Senio, che volentieri rilanciamo:
SABATO SANTO
Il giorno del sabato santo iniziava non di buon mattino giacche' il vecchio proposto, don Galeotti, approfittava dell' unico giorno all' anno in cui non doveva dire la messa dell' aurora per dormire un ora in più. Triste e magro il risveglio con una colazione ancora canonicamente quaresimale di latte senza caffe' e senza zucchero, ma c' era chi andava peggio. Almeno così si consolava. nel piazzale della chiesa, verso le dieci, ardeva un grosso braciere attorno al quale si accalcavano decine di bambini con fascetti di legno di castagno da sbruciacchiare al fuoco dopo che sarebbe stato benedetto. quel fuoco, portato nelle case, avrebbe fruttato ai fanciulli qualche moneta e alcune uova. Il sabato era giorno di mercato, quel sabato particolarmente importante poiche' si portavano in mostra le vacche da vendere durante le fiere della prossima bella stagione. Le bestie infiocchettate e lustrate facevano bella mostra di se nella via principale. Finalmente, a mezzogiorno, le campane venivano sciolte, nel vero senso della parola perche' i batacchi erano stati legati dopo la messa del giovedì santo e affagottati attorno a degli stracci che facevano si che le campane non suonassero anche se mosse dal vento. Le tre campane del campanile di Santo Stefano non erano di venerabile antichità dato che varie volte il campanile e la chiesa erano crollate a causa di smottamenti, ma la campana maggiore, fusa con il bronzo dei cannoni austriaci, faceva un gran bel suono, quasi da campana di città. Le altre due, più piccole, erano donate: una dal granduca Leopoldo II° e l' altra dall' arcivescovo Minucci in occasione della riapertura al culto dell' edificio alla metà dell' '800. Tutti, al suono delle campane, si facevano il segno della croce. I romagnoli si andavano a bagnare gli occhi alle fontane in segno di buon auspicio.
Fonte. Gianfranco Poli su Facebook