
L’8 e 9 giugno gli italiani voteranno su un quesito referendario che propone di ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza necessario per la cittadinanza agli stranieri extracomunitari. Ma il dibattito pubblico è spesso distorto da polemiche ideologiche e strumentalizzazioni politiche.
Attualmente, uno straniero extracomunitario può richiedere la cittadinanza italiana dopo 10 anni di residenza legale e continuativa. Il referendum propone di tornare alla soglia di 5 anni, in vigore prima della legge del 1992 e già adottata da molti paesi europei come Germania e Francia.
Secondo le stime dei promotori, oltre 2,5 milioni di persone potrebbero beneficiare di questa modifica, inclusi i figli minori che otterrebbero automaticamente la cittadinanza con i genitori. Tuttavia, il tema viene spesso sovrapposto al dibattito sull’immigrazione irregolare e sull’asilo, che in realtà riguarda situazioni diverse e spesso non pertinenti.
Nel 2023, circa 213mila persone hanno ottenuto la cittadinanza, in gran parte extracomunitari residenti da anni in Italia. Molti provenivano da Albania, Marocco, Argentina e Brasile. Mentre albanesi e marocchini l’acquisiscono per residenza, molti latinoamericani la ottengono per discendenza da italiani (ius sanguinis).
L’acquisizione della cittadinanza non è automatica: richiede certificazioni linguistiche, requisiti reddituali, assenza di reati gravi, e può richiedere fino a 3 anni di istruttoria. In pratica, una persona può attendere fino a 13 anni per diventare cittadino italiano.
Ottenere la cittadinanza significa accedere a diritti politici, sociali e familiari: dal diritto di voto alla partecipazione a concorsi pubblici, dalla libertà di circolazione europea al ricongiungimento familiare. Per i minori, in particolare, rappresenta una chiave di inclusione, a partire dalla scuola.
Ridurre i tempi di attesa per la cittadinanza non è solo una questione burocratica, ma un passo verso una società più inclusiva e meno frammentata.
Dati a cura di OpenPolis.