La sera del 2 agosto 1944 i nazisti minano via Michele Amari e la distruggono completamente.
Si tratta di una rappresaglia per l'uccisione di un soldato che, in coppia con un altro, aveva imperversato tutta la mattina in bicicletta per le strade del quartiere, fermando i passanti e, con la scusa di controllarne i documenti, li derubava di orologi.
Alla fine della giornata i due tedeschi si dividono, uno si dirige verso viale De Amicis, l'altro che poi verrà ucciso entra in via Michele Amari da viale Manfredo Fanti, fermandosi al primo cancello, sulla destra. Lo seguono tre giovani, e uno di loro lo uccide.
A pochi metri, in viale Cialdini, stazionano numerosi nazisti e collaborazionisti fascisti. La notizia dell'uccisione si diffonde rapidamente, come la paura della rappresaglia, complice anche un vigile spia che corre al comando tedesco.
Tutte le famiglie della via scappano e si nascondono soprattutto verso il Salviatino.
Don Poggi, aiutato dalla sorella crocerossina Maria e dal fratello Ivo, decide di far recapitare una lettera al cardinale Dalla Costa perché interceda presso il comando tedesco per scongiurare una rappresaglia.
La staffetta è la sorella Maria che, vestita da crocerossina in pieno coprifuoco, attraversa il Ponte al Pino, arriva all'arcivescovado per tornare poi intorno alle 23.
Il cardinale informa il comando tedesco ed effettivamente al soldato sono trovati 38 orologi e 29 tra portafogli e borsette ma la popolazione di San Gervasio è comunque colpevole della sua morte e ne deve pagare le conseguenze.
Le mine sono collocate negli ingressi delle 18 case di via Michele Amari. I tedeschi fanno in fretta, incombe la distruzione dei ponti di Firenze.
A mezzanotte più di 18 boati squarciano il silenzio di Campo di Marte. Cumuli di macerie, facciate crollate, nulla rimane se non, in lontananza come una quinta teatrale, alcuni piatti su una vetrina.