
Come ogni anno il 25 aprile, Festa della Liberazione, ci sono dichiarazioni e prese di posizione spesso criticabili e improprie e, per amor del vero, vale la pena puntualizzare alcuni aspetti che questa Festa ci ricorda. La Resistenza, prima ancora che con l'inchiostro dei documenti, è stata scritta 75 anni fa con la passione morale e col sangue durante la Seconda Guerra Mondiale da partigiani cattolici, liberali, comunisti, azionisti, anarchici, socialisti e monarchi. Si, perché la Resistenza non ha rappresentato solo la lotta contro il nazisti e la dittatura fascista, ma è e rimane un patrimonio comune di tutto il popolo.
Quando Adolf Hitler si impadronì del potere in Germania, nessuno poteva prevedere che nel cuore d'Europa, la ragione si sarebbe oscurata a tal punto da scatenare il più terribile sterminio che la storia ricordi. Ma nessuno avrebbe nemmeno potuto prevedere l'eroismo con cui le forze politiche più illuminate e le masse popolari, anche quelle rimaste sempre ai margini della storia, sarebbero insorte contro la nuova barbarie.
La nostra Costituzione sarebbe incomprensibile nei principi che l'hanno ispirata, se non si tenesse conto che i suoi maggiori artefici avevano vissuto personalmente quel conflitto, nel quale la giustizia, la libertà e la pace non erano ideali astratti, ma beni concreti ed elementari, come il pane e l'acqua, e furono pagati col sangue.
Il 14 agosto 1941, su una nave al largo delle coste americane, si incontrarono Winston Churchill e Franklin D. Roosewelt, essi concordarono un documento che è passato alla storia come la “Carta Atlantica”, dove furono sanciti e seguenti principi: Rinuncia a conquiste territoriali; diritto alla autodeterminazione dei popoli; rinuncia all'uso della forza; cooperazione internazionale; libertà dalla paura e dal bisogno.
È facile riconoscere come questi ideali non siano stati realizzati, la realtà delle cose ci dice questo.
Ma quegli ideali non furono proclamati soltanto dall'alto. Con estrema purezza furono vissuti dai militanti della Resistenza in Italia e in tutti i Paesi dove, con forme diverse, si era stesa la coltre mortale del nazifascismo.
Gli scritti che molti di essi ci hanno lasciato e specialmente le “Lettere dei condannati a morte”, rivelano che in quegli anni avvenne un fatto nuovo di grande valore, per qualità e dimensioni. Le classi meno privilegiate, gli operai e i contadini, accanto agli intellettuali, affrontarono la morte con una dignità morale, con un bisogno di giustizia e di pace, con una speranza nel futuro, che venivano dal confronto quotidiano tra coscienza e oppressione, tra la fraternità che non conosce frontiere e la legge corruttrice del dominio dell'uomo su l'uomo.
Alfredo Altieri