I fatti sono da inquadrare nella recrudescenza nazista che in seguito alla caduta di Mussolini e all’8 settembre ’43 avevano fatto scattare l’operazione Alarico l’invasione e l’occupazione militare dell’Italia.
Era il 14 giugno del ‘44, Pietro Carloni, capostazione titolare della Stazione di Marradi, come d’abitudine, era rientrato alla stazione ferroviaria di Fantino, in Comune di Palazzuolo di Romagna, oggi sul Senio, dove era assuntore suo figlio Armando. In casa c’erano soltanto Pietro e sua moglie Caterina, quando si presentarono alcuni individui armati di mitra i quali domandarono del capostazione, intendendo evidentemente riferirsi al capostazione di Fantino. Carloni non fece in tempo a rispondere sono io che ricevette una mitragliata al ventre. Caterina riuscì a chiedere aiuto ed a trasportarlo all’ospedale di Brisighella dove morì il giorno stesso. Nessuna giustificazione alla barbara e assurda esecuzione, una vendetta nei confronti del figlio Armando che non aveva consentito che i partigiani si impadronissero di un vagone di farina.
Angiolina Ciani il 21 gennaio del ‘45 scrisse alla sorella Annarosa suora a Roma: "Gino Miniati, figlio di Florinda, tua comare (madrina) e marito di Lina Gigli, l’hanno ammazzato e tanti altri hanno fatto la fine del nostro Pietrino, non si sa dove sono!”. L’unica definizione, che mi convince per definire gli autori di quei crimini e di quelle assurde ed insensate vendette è questa Teppa da reato comune, macchiata di sangue, di prepotenza e di ricatti.
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Beppino Ridolfi che abitava alle Fogare e in quegli anni ’43-‘44 passava giorni e giorni nella macchia per evitare i frequenti rastrellamenti dei renitenti alla leva (nel novembre del 1943 era uscita la chiamata di leva della Repubblica di Salò), mi raccontò che tutta la zona era piena di fascisti repubblicani e di tedeschi: Un giorno di metà luglio del “44 con il mio babbo lavoravo i campi e si sentivano più in basso degli spari. Mio babbo mi disse di scappare e di nascondermi perché a Fantino ed a Crespino stavano accadendo fatti molto pericolosi e così me ne rimasi nei boschi, nascosto per otto giorni. Vidi insieme a mio babbo quando i fascisti entrarono alle Fogare e si appostarono a tutte le finestre. In casa c’era solo mia mamma Angiolina le chiesero del pane ma prima di mangiarlo per paura di essere avvelenati costrinsero mia mamma a mangiarne una fetta. Vidi quando uscirono di casa con mamma in mezzo e si incamminarono. Fortunatamente dopo un po’ la lasciarono tornare a casa. Beppino aggiunse in quella intervista come Francesco Naldoni, il padrone di Campergozzole (classe 1882, diplomato nel 1904 al Liceo Torricelli di Faenza, che aveva trascorso la sua vita coltivando il podere), venne ucciso il 18 luglio 1944 con una raffica di mitra da un soldato tedesco che l’aveva sorpreso mentre portava cibo ad un partigiano ferito e ricoverato in un capanno da caccia.
Domenica nove luglio ‘44 nel Casale di Modigliana, dove si trovava il parroco partigiano don Angelo Savelli, si riunì il battaglione Ravenna, forte di una quarantina di uomini, per prendere posizione fra la banda Corbari e la 36° Brigata Garibaldi Bianconcini. Il comando venne affidato a Vittorio Bellenghi, Nico, ex ufficiale del Regio Esercito ed al suo vice Bruno Neri, nome di battaglia Berni, calciatore che aveva giocato nel Faenza, nella Fiorentina, nel Torino e nella Nazionale italiana. La formazione partigiana si mise in movimento lungo il sentiero del crinale, diretta al Lavane e la sera aveva sorpassato il Torretto e l’indomani avrebbe raggiunto Gamogna.
La strada fra Marradi e San Benedetto brulicava di tedeschi che avevano alle Canove il loro comando retto da un capitano con circa cento militari e molti uomini del luogo, rastrellati forzatamente e costretti ai lavori stradali. I due comandanti, partigiani, Bruno e Vittorio, decisero, con grande imprudenza, di andare da soli in avanscoperta a perlustrare l’area. Quando, nel primo pomeriggio, con le armi in pugno, giunsero al cimitero, vennero sorpresi allo scoperto da una pattuglia tedesca e nello scontro a fuoco furono uccisi. Il parroco, don Angelo Ferrini, cercò di dare ai due giovani una sepoltura dignitosa, ma, come raccontò in una intervista del 1989, dopo aver trasportato, aiutato dal partigiano Vincenzo Lega, i corpi dei due giovani nella cappella del cimitero parrocchiale, si recò in municipio a Marradi a chiedere le bare che gli furono negate con questa motivazione: Non possiamo disporre nulla per dei traditori, per dei partigiani. Quindi dovemmo seppellirli in una fossa comune avvolti nella paglia e nelle frasche
Il giorno successivo don Ferrini durante l’imponente rastrellamento nazista, dopo essere stato apostrofato dai tedeschi Tu pastore badogliano adesso fare Kaput a te e bruciare chiesa, sfuggì per miracolo alla morte grazie all’intercessione, presso i tedeschi, del parroco di Albero, don Vittorio Fabbri.
Crespino, Fantino, Lozzole Campergozzole.
Il 17 luglio 1944 a Monte Lavane gli alleati effettuarono un lancio di armi, munizioni e vestiario destinati ai partigiani che, attaccati da ingenti forze nazifasciste, ingaggiarono un duro combattimento di otto ore cui partecipò insieme alla banda Corbara, l’ufficiale Usa, Chester Kingsman, salvato a Pian delle Fagge. Quello stesso giorno ed il giorno successivo, a Crespino, antico Borgo di incontaminato verde, di acque limpide e di quiete, sorto intorno all’antica abbazia vallombrosana di Santa Maria a Crespino sul Lamone, si consumò un’assurda tragedia. I nazisti si macchiarono dell’orrendo crimine che non risparmiò neppure Don Fortunato Trioschi, arrestato insieme ai suoi parrocchiani e costretto a scavarsi la fossa prima di essere trucidato. Insieme a Don Trioschi, il 17 luglio, furono uccisi sul greto del Lamone, dove oggi sorge il sacrario, Luigi e Vittorio Bellini, Giuseppe e Lorenzo Ferrini, Giovanni Malavolti, Giuseppe e Guglielmo Nati, Angelo, Attilio Lorenzo fu Luigi e Lorenzo fu Pietro Pieri, Giuseppe Barlotti, Dante Chiarini, Pietro Tagliaferri, Ottavio Scarpelli, Luigi Vinci, Gherardo Visani, Adolfo Rosselli, Sante Bosi, Giulio Sartoni, Bruno Santoni e due persone non identificate. Abramo Tronconi fu fucilato a Fantino. Alfredo Beltrami, sua moglie Cecilia, e la figlia Lorena, furono fucilati il 17 luglio nel podere Il Prato con Alfredo Righini fucilato nell’aia. I Beltrami erano, padre, madre e sorella di Umberto il partigiano di cui Pietro Monti, detto Marconi, il testimone che tutto ricordava della strage di Crespino, raccontava: Ha preso una bomba a mano e gliel’ha tirata (alla Croce Rossa) ed ha ucciso il tedesco ed insomma tutti e due, l’autista ed il ferito.
Il 18 luglio nel podere I Mengacci, di proprietà di Giovanni Buccivini Capecchi, i mezzadri, Francesco Botti, suo figlio Bruno diciassettenne, il quindicenne Pierino Caroli e suo padre Vincenzo, che era iscritto al partito fascista e che mostrò invano ai tedeschi la tessera, furono trucidati nonostante il disperato tentativo della coraggiosa mamma Palmira Gentilini Botti che, con le lettere dei figli militari in mano, cercava di far capire ai tedeschi che i suoi famigliari non c’entravano con i partigiani. Giuseppe Caroli e Adele Donatini furono fucilati al Cerreto di Fantino il 18 luglio come Dionisio Rossi. Carlo Quadalti contadino della Casa Nuova fu fucilato quello stesso giorno nel podere La Castellina dove si trovava per la mietitura a dare una mano ad Arturo Raspanti. La Wehrmacht aveva stabilito il proprio comando a Crespino, nella villa di Carlo Mazza, proprietario terriero della zona. I partigiani che operavano nell’area, ed ai quali erano associati i giovani renitenti alla leva repubblichina sbandati, erano quelli della 36° Brigata Garibaldi Alessandro Bianconcini. Nel bollettino partigiano della Bianconcini datato Imola 21 ottobre 1945. Ventotto pagine consegnate, con la relazione ufficiale che contiene il diario delle azioni e dei sabotaggi giornalieri operati dalla brigata, gli spostamenti, le imboscate, le catture ed uccisioni di nazisti e spie fasciste, gli attacchi e le uccisioni di partigiani e di civili da parte dei tedeschi a proposito della giornata del 17 luglio tra le varie azioni partigiane realizzate nel territorio viene descritta la seguente: Elementi misti delle compagnie di Paolo e di Marco attaccano il traffico sulla strada Faentina. Un automezzo tedesco distrutto, 2 soldati uccisi e sei feriti. Da parte nostra un ferito. A seguito di tale azione i tedeschi per rappresaglia massacrarono 35 coloni raccolti nei dintorni. La versione partigiana ha molto in comune con quella raccontata dagli abitanti di Crespino. Alcuni giovani partigiani e soldati sbandati, dopo l’8 settembre, continuavano ad appoggiarsi al paese e al podere dei Mengacci. Verso la fine di aprile, alcuni di questi partigiani uccisero due tedeschi in località Casaglia. Sembra che una delle vittime fosse il comandante di un gruppo appartenente alla Marina tedesca, che era acquartierato a Villa Ersilia a Marradi. L’episodio, tuttavia, rimase impunito per l’intercessione di una nobildonna tedesca sfollata a Ronta che ebbe il merito di convincere gli occupanti a stipulare con il paese una sorta di patto di tregua. L’accordo venne tuttavia violato dai partigiani del posto che ai primi di luglio, presso il ponte di Spedina, catturarono altri due soldati, scaraventandone uno da un burrone e lasciandosi scappare il secondo che, raggiunti i suoi commilitoni, dette l’allarme.
Successivamente, la mattina del 17 luglio, la stessa banda, appostata su una collinetta, attaccò una pattuglia tedesca uccidendo un soldato e scagliando una bomba a mano contro l’autoambulanza sopraggiunta dal vicino ospedale militare di Villa Fantino. Il 17 luglio, dopo appena un’ora dall’agguato, una seconda pattuglia tedesca, rinforzata da squadre provenienti da Marradi, arrivava sul posto, interrogava due contadini intenti alla mietitura, mentre uno affermava di avere visto i partigiani imboscarsi e fuggire dopo l’attentato, l’altro taceva e veniva ucciso perché ritenuto complice. La rappresaglia partì poi dal podere Prato con lo sterminio dell’intera famiglia Beltrami, cui apparteneva uno dei partigiani responsabili dell’attacco. I tedeschi rastrellarono tutti gli uomini che trovarono, li raccolsero presso Villa Mazza, sede del comando, poi li trasferirono sulle rive del Lamone e qui li fucilarono. Soltanto uno dei prigionieri, Giuseppe Mariano Maretti, sopravvisse all’esecuzione, morendo poi nel 1948 in seguito alle ferite riportate quel giorno.
Convocato il parroco, Don Fortunato Trioschi, e altri due contadini sul luogo dell’eccidio, i tedeschi li costrinsero a scavare una fossa e li fucilarono sul posto. Il 18 luglio l’operazione proseguì a Fantino con l’invasione di casa Caroli, in località Mengacci: gli uomini, quattro, furono trattenuti nell’edificio, mentre le donne e i bambini furono portati, attraverso il castagneto, in una grotta naturale e lì sorvegliati con una mitragliatrice. Quando le donne ed i bambini, che erano stati rilasciati, tornarono verso il podere in fiamme, trovarono una scena agghiacciante: due uomini assassinati con il colpo di pistola alla nuca e due legati ai materassi e asfissiati. Un altro reparto, nazifascista, frattanto, era impegnato nella ricerca e nell’assassinio di contadini rimasti a Castellara, Castellina, Cerreto, Lozzole e Campergozzole. La mattanza si concluse la sera del 18 luglio, con un bilancio di 44 vittime nell’area Crespino, Fantino e Lozzole. Anche se la documentazione tedesca non fa espressamente riferimento alla strage, sembra di poter ricostruire la presenza sul territorio di unità di polizia tedesca o miste italo-tedesche, come il III Polizei Freiwilligen Bataillon Italien, il cui trasferimento presso l’Appennino è dato certo.
Da allora ogni anno si commemora la strage con una testimonianza che si rinnova per sottolineare come la gente di Marradi e della Valle del Lamone non dimentica il sacrificio di quanti, consapevoli ed inconsapevoli, si immolarono con la stessa dignità e fierezza che molto tempo prima i loro padri, il 24 luglio 1358 alle Scalelle, avevano dimostrato fermando la compagnia tedesca di ventura del conte Lando.
A Sergio Jandelli è dedicata una lapide posta sul muro della strada che conduce a Palazzuolo sul Senio “Nel Luglio 1944 in combattimento a Crespino del Lamone / Sergio Jandelli / partigiano / corso in aiuto a compagno ferito/ fu catturato seviziato e ucciso dalle SS tedesche alla sua fraterna generosità / dette gloria duratura / l’indiscriminata ferocia / di un nemico ciecamente brutale/a ricordo del semplice eroismo/ di Sergio Jandelli volontario della libertà/ucciso perché credeva/ nella solidarietà tra gli uomini / al di sopra di ogni chiuso egoismo /i partigiani pongono / perché il ricordo sia esempio. Marradi il 23 luglio 1945
Rodolfo Ridolfi commendatore al merito della Repubblica Italiana