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Jorit e la fotografia con Vladimir Putin: alcuni spunti da un gesto dai molti interrogativi

L'artista di strada napoletano, in visita in Russia, è stato bersagliato dalle critiche. Analizziamo la vicenda nel dettaglio

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Jorit con Ornella Muti Jorit con Ornella Muti © nc
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Il 6 marzo scorso, al termine del Forum della Gioventù a Sochi - città russa meridionale affacciata sul mar Nero - Ciro Cirullo, Il celebre artista di strada napoletano, si è rivolto al presidente della Federazione Russa Vladimir Putin, presente all'evento, chiedendogli una fotografia insieme. Con tale gesto, ha dichiarato Jorit davanti ai presenti, "voglio dimostrare all'Italia che lei è umano come tutti, e che la propaganda su di lei non è vera". Putin ha acconsentito e, com'era prevedibile, lo scatto è stato accolto nel nostro paese da innumerevoli polemiche. 

Ora, premesso che Putin è un criminale di guerra a cui dovrà rispondere di azioni nefande - prima tra tutte l'invasione dell'Ucraina - e che è alquanto strano che un artista italiano sia riuscito a farsi fotografare insieme a lui, la vicenda può comunque offrire alcuni interessanti spunti di riflessione. 

Jorit si è difeso affermando di essere stato frainteso, che non era sua intenzione elogiare Putin, ma che lo ha fatto per dissociarsi dalla stampa occidentale che, a suo avviso, racconta soltanto una piccola parte della storia. Analizzando le tesi dell'artista, il conflitto in Ucraina andrebbe avanti da dieci anni, mentre i giornalisti occidentali lo fanno cominciare dall'attacco dell'esercito russo avvenuto nel febbraio del 2022, omettendo volutamente gli eventi scatenanti. Gli Stati Uniti e l'Europa, sempre secondo l'artista, sembrano rassegnati a non poter più avere un dialogo con Putin, comportamento che non aiuta a trovare una soluzione se non attraverso morte e distruzione. Pertanto tale tesi porterebbe a disumanizzare il presidente del paese più grande del mondo, ossia a convincersi che non abbia intenzione di far cessare il conflitto fino a quando non avrà ottenuto tutto ciò che desidera, e siccome l'occidente non può permetterselo, allora l'unico modo che ha per fermarlo è vincere sul campo di battaglia. Il problema è che se la guerra continua, Putin può decidere di ricorrere alle testate nucleari, e ciò sarebbe l'inizio della fine. 

Prendendo spunto da quanto detto finora, veniamo ora al discorso sulla stampa occidentale, che non vuole essere una critica radicale, ma piuttosto una riflessione con l'obiettivo di porsi dalla parte del dialogo, e non della sua rinuncia. E' innegabile che la maggior parte della stampa italiana, e nel complesso europea, sia un po' troppo atlantista. A mio avviso l'occidente è il posto migliore in cui vivere, ma ha un vizio: quello di considerarsi sempre dalla parte giusta della barricata. L'occidente liberale - il cui emblema è rappresentato dagli Stati Uniti - ha sempre combattuto i paesi che si allontanano dal suo modello di democrazia parlamentare, dove sono garantite libertà individuali impensabili in altre parti del mondo. Da noi la comunista Unione Sovietica incarnava il male, e i presidenti statunitensi dell'epoca non smettevano di mettere in guardia i propri cittadini, e non solo, dal comunismo. Di più: in quegli anni venivano eletti presidenti che promettevano di vincere la tanto temuta "cospirazione comunista mondiale"  - ad esempio Kennedy, eletto nel 1960 - anche se negli USA il comunismo era una realtà alquanto insignificante. 

L'occidente ha il merito di garantire una vita dignitosa alla gran parte dei suoi cittadini, dove per dignitosa si intende l'essere liberi di scioperare, di esprimere la propria opinione su questioni politiche, di spostarsi ovunque si voglia, di scegliere il proprio lavoro, partner, modo di vestirsi, senza che nessuno ci obblighi a rinunciare a noi stessi. Sono tutte conquiste avvenute nel corso dei decenni. Dalle Trade Unions inglesi - il primo abbozzo di sindacato, sorto nel 1824 - ai sindacati nazionali di oggi, presenti in tutti gli stati europei; dalle donne, per secoli escluse dalla vita politica, ai giorni nostri, dove ricoprono le massime cariche governative; dall'omosessualità, fino a pochi decenni fa stigmatizzata ad oggi, largamente accettata come semplice manifestazione della natura umana individuale.

Tassello su tassello, l'occidente è diventato un faro per tutti coloro che vivono in paesi illiberali, e che quindi devono rinunciare a esprimere la propria personalità e il proprio dissenso. Ma attenzione: guai a credere che l'occidente sia un paradiso terrestre. Bisogna essere responsabili, ammettendo gli errori compiuti e imparando da chi crediamo in torto, non lasciandoci influenzare dai pregiudizi; è questo il primo passo per aprirci al valore della diversità e, di conseguenza, del dialogo. Durante la pandemia di covid 19 il governo cinese, da noi considerato illiberale, per tutelare i propri cittadini optò per la politica "zero covid" (quindi limitando ancora di più le libertà personali), ovvero quarantena obbligatoria per tutti nelle zone dove si registravano focolai, a differenza di Stati Uniti e Inghilterra, che attuarono una politica di apertura totale in pieno rispetto dei parametri delle democrazie. Risultato: le vittime del virus in Cina fino a che rimase in vigore tale politica furono circa trentamila, mentre negli USA circa un milione, con una differenza di popolazione quattro volte inferiore.

La politica cinese è stata migliore di quella statunitense e inglese? Se ci si sofferma sul numero di vittime sì, senza ombra di dubbio, anche se per vincere sui numeri, la Cina ha dovuto affossare le libertà individuali. E' un modello vincente? Dobbiamo considerare malata la nostra democrazia?

Questo è soltanto un esempio che ci aiuta a entrare nell'ottica che possiamo, forse, trarre spunti e migliorare le nostre azioni anche da chi non usa i nostri stessi parametri di rispetto. Probabilmente tale riflessione ci potrebbe portare a migliorare la relazione e la cooperazione. Il punto focale è che se vogliamo far tacere le armi bisogna abbandonare la visione manichea per cui l'occidente ha ragione in ogni caso. E possiamo provare a ipotizzare la possibilità che Jorit volesse diffondere quale teoria - almeno si suppone - attraverso lo scatto provocatorio con un criminale di guerra come Putin (... anche lei è umano...).

Quando si identifica il male radicale in qualcosa o qualcuno, è facile cadere nella tentazione di renderlo ancora più malvagio di quanto non sia realtà - il regno, ovviamente, è sempre quello delle ipotesi -. E qui torniamo nuovamente alla stampa. All'inizio dell'operazione speciale - com'era chiamata allora in Russia l'invasione dell'esercito in Ucraina - riviste autorevoli avrebbero attribuito a Putin progetti che non ha mai dichiarato ufficialmente di voler compiere. Come ad esempio quello di annettere l'Ucraina alla Federazione Russa (ufficialmente no, ha dichiarato, ma nei fatti lo sta dimostrando). A tal proposito non ho trovato una sua dichiarazione ufficiale in merito; le mie fonti rivelano che Putin ha sempre detto di volere annettere la Crimea - conquistata nel 2014 - e di volere l'indipendenza del Donbass dall'Ucraina, non di bramare la conquista del suo intero territorio. A Putin viene altresì attribuito di voler togliere all'Ucraina ogni sbocco sul mare, fino ad arrivare all'occupazione della Transnistria, che si dichiara stato indipendente vicino alla Russia ma che formalmente appartiene alla Moldavia. Come nel caso precedente, anche per questo non ho trovato alcun riscontro, e lo stesso per il progetto di "rinascita dell'Unione Sovietica" sotto l'egida del capitalismo - il che fa già ridere così -. 

Per sconfiggere un nemico è necessario conoscerlo. Attaccando l'Ucraina - ricordiamolo, uno stato sovrano con un parlamento regolarmente eletto - Putin ha commesso un crimine; la santità è una qualità che non gli appartiene, ma dipingerlo come il demonio non ci aiuterà a uscire dal momento di crisi in cui versiamo. Il conflitto in Donbass è stato a lungo ignorato dai paesi occidentali, e svegliarsi soltanto quando non fu più possibile farlo è stato controproducente, e in parte ipocrita. 

Ricordiamo poi che all'interno della Federazione Russa - e non solo - i dissidenti russi di Putin finiscono spesso in tragedia. Spesso, e a ragione, tali tragedie vengono attribuite a lui, e sono manifestazioni di un regime autocratico e illiberale. La lista è lunga, se ne contano a centinaia, ma ecco alcuni esempi: la giornalista Anna Politkovskaya, uccisa nel 2006 da un manipolo di sicari, e la sua collega Natalia Estemirova, uccisa nel 2009. Guardando ai tempi odierni abbiamo Alexsei Navalny, il più tenace e famoso dissidente di Putin, morto il 16 febbraio scorso in circostanze ancora da chiarire in un carcere di massima sicurezza a duemila chilometri da Mosca, oltre il Circolo Polare Artico. Navalny riuscì a salvarsi da un tentativo di avvelenamento qualche anno fa, e stava scontando una pena per frode e corruzione. 

Putin insomma si conferma un criminale, e quando c'è da usare la mano pesante non si tira indietro, eppure in Russia è sostenuto dalla maggioranza della popolazione.  Il messaggio di Jorit, se lo estraniamo dalla possibilità di strumentalizzazione della propaganda, può essere riassunto nell'invito al dialogo con un uomo sì criminale, ma pur sempre alla guida di un paese dalle risorse infinite. In gioco c'è la vita del pianeta. 

Articolo di Paolo Insolia

 

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Commenti 1
  • Girolamo Dell'Olio

    Interessanti queste considerazioni! Perché allora, sulla stessa lungezza d'onda di riflessione sulla cosiddetta ì'informazione', questa redazione (e magari anche le altre della Val di Sieve e di Firenze) non pubblica le 22 domande (http://www.idraonlus.it/2024/03/15/festival-europeo-del-giornalismo-firenze-idra-contesta/) poste al 'Festival europeo del giornalismo' in corso a Firenze? Sono domande aperte ai giornalisti, appunto. Domande che aspettano risposte... Grazie!

    rispondi a Girolamo Dell'Olio
    sab 16 marzo 15:11