
Questa settimana la rubrica Parliamone, di domenica ospita un nuovo contributo di Valido Capodarca, marchigiano classe 1945, ex Colonnello dell'Esercito Italiano, laureato in Lingue, autore di 8 libri dedicati agli alberi monumentali, che spesso si è trovato in Mugello per recensire i vari monumenti arborei del nostro territorio. Un lungo articolo, suddiviso in due parti, sulla della famosa e ultrasecolare "Quercia di Senni" (dello stesso autore, su OK!Mugello, il bell'articolo sulla storia della sequoia gigante del parco di Villa Il Palagio a Cavallina).
Era l’inizio del 1980. Da pochi mesi stavo dedicando il poco tempo libero che la mia attività di giovane capitano dell’Esercito mi lasciava libero, alla realizzazione di un album di foto sul tema degli alberi monumentali. Avevo cercato pubblicazioni che mi servissero da guida, scoprendo che nessuno ne aveva mai scritta una. Mi ero rivolto alla Soprintendenza ai Monumenti e al Corpo Forestale chiedendo l’elenco di qualche loro censimento per sentirmi rispondere che nessuno aveva mai pensato di farne. Non mi restava che una soluzione: rivolgermi ad amici e conoscenti: “Se, andando in giro, vedete un albero di dimensioni spropositate, ditemelo”.
Fu così che una mattina, entrando in ufficio, l’impiegato civile Bonciani: “Capitano – mi disse - ieri in Mugello ho visto una quercia così grande che non basteranno quattro persone per abbracciarne il fusto” e mi diede tutte le indicazioni per raggiungerla. Pochi giorni dopo, al primo sabato pomeriggio libero, caricai in macchina mio figlio Walter di due anni e mezzo e via, sparato verso la quercia. La trovai lungo una stradina comunale asfaltata, in località Senni, comune di Scarperia.
Esagerata! Mai vista, fin allora, una quercia così. Il nastro della rotella metrica sembrava non finire mai di srotolarsi nel suo giro attorno al tronco, fermandosi a m. 7,30! Addirittura, alla base, superava gli 8,40. L’ampiezza della chioma raggiungeva i 30 metri e altrettanti l’altezza. La più grande quercia che io avessi mai visto. Quando, poi, questo primo album di foto, crescendo sempre più, sarebbe diventato “Toscana, cento alberi da salvare”, edito da Vallecchi, il primo libro mai stampato in Italia, e forse al mondo, sul tema degli alberi monumentali, essa sarebbe rimasta la quercia più grande della Toscana.
Ma torniamo a quel giorno. C’era un contadino, sul campo adiacente con il quale, automaticamente, prese avvio una interessante conversazione sulla quercia stessa. Seppi così che, contrariamente a quanto da me pensato, la quercia (una farnia o, in termine toscano, istia) non era eccessivamente vecchia, tanto che il contadino, sulla sessantina, la ricordava più piccola. Sulla chioma, per quanto rigogliosa, si vedeva bene che mancava un grosso ramo. Era stato staccato da un fulmine una quindicina di anni prima. Lo stesso fulmine aveva distrutto una quercia vicina che rivaleggiava in dimensioni con questa, e di forma così tipica da essere chiamata “la quercia a barile”. La Nostra godeva di buona fama, in quell’angolo di Mugello, tanto da divenire talvolta oggetto di dispute fra i frequentatori dei vari bar della zona, con scommesse su chi andava più vicino a indovinarne la circonferenza.
Qualche settimana dopo, sempre con lo scopo di trovare alberi adatti per il mio album, ero a Villa della Petraia, nord-ovest di Firenze. Nella villa abitava il professor Ferdinando Chiostri, eminente botanico e autore del libro “I Parchi della Toscana”. Parlando di grandi alberi, il discorso si portò sulla quercia di Senni. Il professore la conosceva bene, e mi raccontò un aneddoto sul suo proprietario, il marchese Frescobaldi. Alcuni commercianti di legname gli facevano da un po’ di tempo la corte nel tentativo di farsi vendere la quercia. Davanti al rifiuto del proprietario il prezzo lievitava sempre più finché un giorno, davanti all’ennesima offerta, il marchese chiuse il discorso dicendo: “Non l’ha uccisa mio nonno, non l’ha uccisa mio padre, non sarò io a macchiarmi di questo delitto!”
Nel 1983, la grande quercia di Senni vedeva la sua storia e le sue immagini pubblicate nel libro citato, con le dimensioni già riportate e un’età stimata, in mancanza di esami specifici, di 250 anni. Ogni tanto, tornavo a trovarla, per il puro piacere di ammirarla finché un giorno, sul campo dall’altro lato della strada comunale, trovai un altro contadino, un po’ avanti con gli anni. Inevitabile, attaccare bottone sulla quercia. Fu così che, tanto per domandare, e riferendomi ai 250 anni da me attribuiti alla pianta, quegli mi rispose:
“Ma vuole scherzare? Deve sapere che a mio nonno, avendo adocchiato un querciolo nato a fianco della strada con un fusto bello dritto, era balenata l’idea di fare con quello un manico di frusta. Tentò di avvicinarsi con il bennato per tagliarlo, ma quello era talmente protetto dai rovi che gli erano cresciuti attorno, che mio nonno non riuscì a raggiungerlo e rinunciò all’idea. Tu guarda quel manico di frusta come è diventato”. Mi vidi costretto a rifare i miei conti. Anche nell’ipotesi che l’episodio fosse accaduto nell’adolescenza del nonno, fra la gioventù di un nonno e l’età matura del nipote non potevano di certo correre più di cento anni. Praticamente, rapportando l’età di una quercia all’età di un uomo, io mi trovavo davanti a un ragazzo di 20 anni. Purtroppo, cosi rapidamente com’era cresciuta, la grande quercia di Senni, sarebbe precipitata verso la fine.
Subito dopo la sua pubblicazione nel libro, le larve dei cerambici che erano già annidate nei tessuti legnosi della quercia, iniziarono la loro opera di demolizione. Quando, tre o quattro anni dopo passò il dottore forestale Lucio Bortolotti a fotografarla di nuovo, la chioma era ancora integra, ma quella che era una piccola ferita vicino alla base con perdita di corteccia, dalla quale con ogni probabilità erano passati i primi agenti patogeni, si era ampliata. La quercia riceveva così l’onore di essere inserita fra i 300 alberi più significativi del nostro paese nel II volume di “Gli Alberi Monumentali d’Italia”, edizioni Abete, pubblicato nel 1990. Fra il passaggio del dr.Bortolotti e l’effettiva pubblicazione, la quercia aveva già perso un grosso ramo. Passavano altri anni. In una foto da me scattata nel 1997, la maggior parte dei rami si era già seccata, ma chi se ne preoccupava? Nel frattempo, nonostante la malattia, il fusto aveva ampliato ancora di più la sua circonferenza, portandola a m. 7,75. Sulla scorta delle conoscenze di quel momento, la quercia occupava il terzo posto fra le querce italiane.
Tornavo a rivedere e fotografare la quercia nell’estate del 2001. La strada, nel frattempo, era stata ampliata ma anche spostata di qualche metro rispetto al fusto. Probabile che l’ampliamento fosse avvenuto per uso del vicino Autodromo del Mugello. Il gigante aveva finito di soffrire. Con la primavera, non era nata nessuna nuova foglia e, usando un po’ di spirito di osservazione, si poteva capire che la pianta era morta nel corso dell’inverno appena passato. Attorno al piede, infatti, si vedevano alcune tenere quercine di una ventina di cm di altezza, nate dalle ghiande cadute nell’autunno precedente.
“Come sarebbe intelligente – meditai fra me – se almeno una venisse fatta vivere con lo scopo di perpetuare il ricordo della gigantesca madre! Ma a chi lo vai a dire? il primo operaio che passerà di qui col decespugliatore le distruggerà”
Vi ritornai nel 2008. La mia speranza era di ritrovare in piedi almeno un moncone di tronco, come da molte parti si usa fare con gli alberi più gloriosi. Camminai su e giù per una buona mezz’ora, nel tentativo di riconoscere almeno il posto dove era nata e vissuta. L’estrazione delle radici di un tronco di quella portata avrebbe dovuto generare un bel buco nel terreno. Niente di niente. Lasciavo Senni, dove non sarei più tornato, con un grande magone dentro, senza riuscire a scacciare dalla mia fantasia una immagine angosciante, quella di gigantesche motoseghe che facevano a pezzi e riducevano a ciocchi da stufa quella che era stata la quercia più grande della Toscana, terza d’Italia. Possibile che nessuno, a Scarperia, avesse pensato di conservarne almeno il ricordo?
Fin qui il racconto del Sig. Capodarca, che continuiamo noi per completare la storia. La grande e ultracentenaria "Quercia di Senni", dopo la sua morte per "malattia", l'Amministrazione Comunale di Scarperia decise di renderle omaggio facendola diventare da "monumento arboreo" a "monumento a ricordo delle vittime di guerra". Infatti nel 202 a seguito del taglio del grande fusto, venne realizzata una scultura dall'artista tedesco Jochen Andreas Zeh, abitante nel Mugello dal 1997.
Il 29 maggio 2004, venne inaugurato l'evento "Atelier Aperto" presso il mobilifico Bianchini di Scarperia alla presenza dell'allora presidente del Consiglio Regionale della Toscana, Riccardo Nencini, dove lo scultore lavorò il tronco che fu successivamente eretto nel parco adiacente il cimitero comunale di Scarperia, permettendo a questo simbolo del Mugello di continuare a vivere sotto un'altra forma.