
In questi giorni in concomitanza con la marcia di Barbiana (e anche con qualche polemica connessa, come sapete) è stata riposta sui social da vari lettori questa lettera, scritta nel 2007 dalla mugellana Luisa Gianassi. Una riflessione sempre molto attuale, che anche noi ci proponiamo di nuovo. Scriveva Luisa nel 2007:
Sto pensando che è il 54^ anniversario della morte di don Lorenzo Milani:
Caro Don Lorenzo,
da quando ti ho incontrato sono salita spesso a Barbiana per salutarti e pregare. In realtà quando ti ho incontrato eri già tornato alla Casa del Padre.
Era il 1970, frequentavo tristemente la scuola media a Scarperia ed ero definita “poco portata per lo studio”, quando ebbi l’occasione di leggere “L’obbedienza non e’ piu’ una virtù”. A quell’età non ero in grado di comprendere fino in fondo lo spirito della tua lettera ai Cappellani militari ed ai Giudici, ma mi riempì di entusiasmo la semplicità con la quale avevi ricostruito le vicende della storia d'Italia. Si trattava di un entusiasmo che nessuno dei miei insegnanti era riuscito a trasmettermi. Nell’arco di un anno lessi i tuoi scritti all’epoca disponibili.
Ti sentii vicino alla mia realtà. Quando parlavi della timidezza dei montanari ho sentito che parlavi anche della mia timidezza. Quando parlavi della fatica analfabeta dei mezzadri, ho capito che parlavi della mia gente e della mia famiglia. Quando affermavi che Dio non era così dispettoso da far nascere bambini cretini o svogliati solo nelle case dei contadini, dei montanari ed in genere dei poveri, ho recuperato la speranza di poter studiare. Ho imparato la scrittura più seguendo i tuoi insegnamenti, che a scuola: -per scrivere bisogna avere qualcosa da dire, è necessario documentarsi, lavorare sul testo, togliere tutto ciò che non è essenziale in modo da raggiungere maggiore efficacia espressiva e la verità. Soprattutto bisogna fare in modo che chi legge possa in pochi minuti arricchirsi della conoscenza che è costata ore lavoro.
Così la scrittura diventa opera d’arte alla portata di tutti”.
Nel corso della mia vita, ho riletto più volte le tue opere ed ho capito quanto rivoluzionaria sia la tua espressione: “è lingua che fa uguali.
Eguale e’ chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno, basta che parli”. Non ha importanza il tipo di professione, ma la potenza dialettica con la quale si possono esprimere i propri saperi. Quando il contadino, l’operaio, il manovale avranno una capacita’ di esprimersi e di intendere l’espressione altrui pari a quella del dottore, non verrà piu’ attribuito un differente valore sociale ai loro “saperi”. Purtroppo ancora siamo ben lontani da realizzare questa società nuova che tu auspicavi.
Tu, che dicevi sempre che dei poveri la storia non parla, sarai contento di sapere che grazie a te ho avuto l’occasione, per qualche minuto, di far diventare storia ed anche letteratura, la vita dei miei genitori e nonni mezzadri.
Era il 1976 e fra i vari temi usciti in quell’anno per l’esame di stato, c’era il commento di una tua frase sull’importanza della parola. Quel tema mi apparteneva ormai da anni e, nei limiti delle mie capacità, lo svolsi con tutta la passione sociale e civile che mi avevi trasmesso. Durante gli orali il presidente della commissione nel dirmi che quel tema li aveva fatti tanto riflettere e discutere, mi chiese di raccontare la storia e la cultura della mia famiglia di contadini mezzadri.
Caro don Lorenzo
hai tutta la mia gratitudine ed il mio affetto perché fra tutti i miei insegnanti, sei stato il migliore, il più vivo, il più stimolante.
Auguro a tutti i nostri giovani di incontrarti.
10.08.2007
luisa