10 APR 2025
OK!Valdisieve

Social network: da potenziali killer a àncora di salvezza. Le donne afgane tra repressione e libertà (online)

Le afgane hanno trovato però una via di fuga dalla prigione in cui vivono: i social network, in particolare Instagram, con i quali si esprimono e commerciano

  • 145
Social Network, pubbliche amministrazioni e cittadini: il convegno in Prefettura Social Network, pubbliche amministrazioni e cittadini: il convegno in Prefettura
Font +: 22px16px
Stampa Commenta

di Paolo Insolia

Un articolo uscito su Internazionale - settimanale di attualità che riprende, tradotti, gli articoli di giornalisti di ogni parte del mondo - di questa settimana, scritto da Humaira Rabin per il giornale The Diplomat, fa luce sulle donne afgane, costrette a resistere al potere maschile dei talebani, che negano loro il diritto a esistere. Le afgane hanno trovato però una via di fuga dalla prigione in cui vivono: i social network, in particolare Instagram, con i quali si esprimono e commerciano prodotti realizzati a mano, correndo grossi rischi. Un po’ di storia. I talebani sono fondamentalisti islamici facenti parte di un’organizzazione politica e militare nata per portare ordine al caos generato dopo la guerra in Afghanistan combattuta tra il 1979 e il 1989 tra le fazioni dei mujaheddin - in origine, i guerriglieri che si opposero all’invasione dell’Unione Sovietica in Afghanistan - e i soldati dell’URSS. A seguito degli attentati dell’11 settembre 2001, gli USA incolparono i talebani di nascondere la mente dietro gli attacchi, Osama Bin Laden, e invasero l’Afghanistan, detronizzando i talebani, al potere dal 1996. Da allora, hanno vissuto isolati fino al 2021, quando, nell’agosto di quell’anno - dopo la decisione dell’allora presidente degli Stati Uniti Joe Biden di ritirare le proprie truppe dal paese - hanno ripreso a governare. Le donne sono le vittime principali del regime. Se dopo la caduta dei talebani nel 2001 hanno assunto un ruolo paritario con il genere maschile, adesso la situazione è cambiata. Oltre a essere costrette a indossare il burqa - un vestito che nasconde sia la testa che il volto -, non possono svolgere.

Innumerevoli lavori ai quali hanno avuto accesso nei vent’anni precedenti. Oltretutto, non possono percorrere lunghe distanze senza un parente maschio, e neanche avere accesso all’istruzione secondaria. Così facendo, in futuro non ci saranno donne qualificate, e la loro assenza in tutti i settori della società, a partire da quello sanitario, avrà conseguenze catastrofiche. Non diamo sempre la colpa all’Islam. Anche se nel libro sacro dei musulmani, il Corano, la donna - almeno secondo i valori di cui l’Occidente si fa portatore - assume una posizione di subordinazione nei confronti dell’uomo, è la società a fare la differenza. Il Corano è stato scritto circa un millennio e mezzo fa, ed è figlio del suo tempo. E’ folle pensare, come fanno i fondamentalisti islamici, di basare un’intera società su versetti così antichi. Interpretare alla lettera quelle parole significa essere fuori dalla realtà, ovvero non comprendere che la sfera religiosa non può prevalere sulla storia, che è sì costellata di violenze di ogni genere, ma anche di diritti e di valori acquisiti che fanno da guida ai cittadini della maggior parte dei paesi esistenti. Le donne hanno subìto grosse limitazioni non soltanto nei paesi arabi. Tanto per citare un periodo storico europeo noto a tutti, durante l’età vittoriana la loro condizione era di quasi totale inesistenza: l’eventuale reddito lavorativo era di proprietà del marito, come anche la potestà sui figli, e avevano due soli compiti: procreare e curare la casa. La scrittrice Virginia Woolf, in Una stanza tutta per sé, descrive la società maschilista britannica, ancora presente nel Ventesimo secolo, analizzando la quasi assenza di narrativa femminile fino ad allora, risultato non di una mancanza di donne talentuose, ma della società patriarcale che spingeva affinché le donne non emergessero.

Per fortuna ci siamo evoluti. Oggi le donne non sono più vittime dei mariti che toglievano loro ogni parvenza di libertà, e hanno - anche se bisogna fare ulteriori passi avanti - gli stessi diritti degli uomini. I fondamentalisti islamici non comprendono che la religione necessita di processi di secolarizzazione, fondamentali per fraternizzare con il periodo storico vissuto. Negare le conquiste, in qualunque campo, equivale a costruire dighe di cartone: il progresso non si può fermare. Non c’è immagine più distorta di una donna con il niqab che tiene in mano uno smartphone di ultima generazione. Le conquiste vanno anche sapute riconoscere, e solo un cuore libero da ogni condizionamento religioso o politico è capace di farlo. I grandi saggi hanno sempre sostenuto che soltanto una mente vuota è capace di cogliere il Bene. Se, al contrario, è piena di pregiudizi, ideologie e valori, è facile confonderlo con il Male. E non è forse malvagio negare l’istruzione alle donne, coprirle dalla testa ai piedi e obbligarle a uscire con un parente maschio? La riflessione del seguente editoriale verte sulle diverse percezioni che un contesto diverso fa assumere nei confronti di determinati argomenti. In Occidente l’uso - e specialmente l’abuso - dei social network, soprattutto nei giovani, è diventato oggetto di dibattito quotidiano. Si sente spesso parlare di problemi legati all’isolamento sociale, ai disturbi dissociativi, alla depressione e all’ansia. Ma, come si è visto, se qui da noi limitare, e a volte vietare, l’uso di certi dispositivi apporterebbe benefici, in paesi come l’Afghanistan è invece salvifico.

La depressione, che in Occidente viene favorita anche dall’uso dei social network, in Afghanistan può essere da loro combattuta. In un paese dove le donne sono nient’altro che oggetti nelle mani degli uomini, Instagram è una via di fuga dove poter raccontare, e di conseguenza criticare, un regime così oppressivo, e svolgere attività come piccoli commerci che aiutano a ritrovare identità e autostima. La storia delle donne afghane ci ricorda che strumenti tecnologici come i social network, spesso demonizzati, possono essere importanti per la sopravvivenza psicologica di milioni di persone. E chissà se una rivoluzione di stampo femminile in Afghanistan partirà proprio dalla coesione, e dal coordinamento, che le donne formeranno all’interno dei social. La storia ci insegna che le rivoluzioni avvengono perché persone unite da un ideale marciano insieme verso la libertà , e se le donne, costrette in casa da uomini che non le vogliono libere, hanno l’opportunità di comunicare tra loro su una piattaforma informatica, potrebbero mettere fine al regime.

Lascia un commento
stai rispondendo a