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Perché non ci siano altri 'Daniele'. Riflessione su come aiutare chi è più fragile

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Daniele abitava in Mugello dove viveva da sempre, aveva quaranta anni e si è ucciso nei giorni scorsi dandosi fuoco. Lo ha fatto durante quelli che sono i giorni più belli dell’anno, quando le famiglie si riuniscono per festeggiare insieme il Natale, scambiandosi doni sotto l’albero, o vicino al presepe, in un tripudio di luci colorate e tavole imbandite. Non sappiamo le vere ragioni di questo gesto intimo, personale e doloroso, perché se è vero, come è vero, che la cronaca, (che peraltro fa il suo lavoro), cerca di darne una fredda e razionale spiegazione, è altrettanto vero che dietro questa scelta estrema, non c’è mai un solo motivo, ma una serie di concause calate in un mondo di disperazione, che, con molta prudenza e altrettanto rispetto, possiamo solo immaginare. Ogni anno in Italia si contano più di 4000 suicidi, e dietro ognuno di questi, si celano drammi, si nascondono persone vere con la loro solitudine e con le tante delusioni amorose, donne e uomini con inimmaginabili fragilità, con gravi problemi economici e con le tante angosce vissute e spesso non dette. In Italia si parla di circa 350 casi di suicidio ogni mese che solo in 52 casi (quindi il 15% del dato complessivo) originano da una concomitante malattia fisica, altrimenti detta depressione, facendo dipendere i restanti 298 come dipendenti da ragioni di mera natura socioeconomica. Traducendo questi dati in parole povere e soldoni, si ricava che la stragrande maggioranza di morti autoinferte, come le chiama chi ha studiato, è causata dalla mancanza di un lavoro e dalla conseguente contestuale espulsione di fatto dal contesto sociale di riferimento. Emile Durkheim, che è uno tra i pensatori più autorevoli della sociologia contemporanea, partendo proprio dalla fredda analisi dei numeri statistici, ha dimostrato che è proprio la mancanza di valori condivisi dalla collettività che determina la perdita di stabilità e che può provocare nei singoli individui un sentimento di impotenza, di insoddisfazione e di inutilità, spesso soffocato dal suicidio. Ecco perché si ritiene, nei consessi scientifici e nelle sedi cosiddette opportune, che nella maggior parte dei casi le ragioni di una morte voluta vanno ricercate in problematiche di ordine finanziario: dai debiti che non si possono onorare, alle scadenze di pagamento improrogabili, passando per bollette non pagate e mutui ai costi non più sostenibili, dai pignoramenti in atto fino ad arrivare alle più piccole questioni, minori ma egualmente drammatiche, come potrebbe essere l’impossibilità di fare dei regali ai propri cari per le feste. Non sappiamo se Daniele, come i molti altri, si sia sentito impotente a risolvere problemi economici, o sia stato disilluso dalla costante vana ricerca di un lavoro, o ancora sia stato soverchiato dall’angoscia della solitudine. Quello che è certo è che lui viveva una vita apparentemente normale in una famiglia normale, ed era una persona speciale che non meritava di essere lasciato solo, anche perché quando c’era bisogno di lui, o lui stesso riteneva che ci fosse bisogno del suo aiuto, era il primo a partire senza pretendere nulla, senza neppure aspettarsi un ringraziamento, e come volontario lo aveva fatto molte volte nella sua vita, anche recentemente correndo in aiuto di popolazioni che avevano subito disastri. Quando però è stato lui ad avere necessità di un aiuto, nessuno però è riuscito ad aiutarlo. Anche per questo Daniele non ce l’ha fatta più ad andare avanti e si è tolto la vita a tre giorni dal Natale. In un mondo dominato da spot televisivi fatti di palcoscenici patinati, famiglie perfette e sorridenti, supereroi del quotidiano e donne bellissime intente a profumarsi in piscine dorate, Daniele forse si è guardato intorno e si è visto stanco e inadeguato per un mondo scintillante come i diamanti, ma altrettanto gelido come queste pietre. In un mondo spietato dove ognuno di noi vive la propria solitudine in mezzo a moltitudini di gente indaffarata che non vive più la comunità e che non sente più il dovere, e il piacere, di essere solidale o comunque condividere i problemi l’uno con l’altro per cercare una soluzione insieme, e si è sentito escluso. Forse ha pensato che per farne parte ed essere accettato dagli altri, bisognava esserne all’altezza, e per farlo doveva avere almeno un lavoro che non c’era e che non trovava. Ora Lui non c’è più, mentre continuano ad esistere quelle false rappresentazioni di una realtà solo immaginata ed effimera che convive insieme a milioni di persone che non hanno uno straccio di lavoro e che non sanno quale futuro le aspetti. Nessuno ha la bacchetta magica per risolvere questi annosi problemi, e chi scrive non ha certo né il diritto di dare lezioni ad altri, né la statura morale per farlo, ma è sicuro che se tutti ci mettessimo un po' di buona volontà, un minimo di solidarietà e un pizzico di attenzione in più per chi ci è vicino, e ci ostiniamo a non vedere, molti Daniele sarebbero ancora tra noi. Anche in Toscana, e nel nostro territorio, che si dipinge giustamente per molte ragioni come area felice, il numero delle persone che mettono fine alla propria esistenza per le più svariate ragioni è alto, a ciò contribuendo la crisi economica e la mancanza di prospettive serie di lavoro, che sono in stretta relazione percentuale con questi eventi. Scrivendo queste poche righe vicino alle feste e parlarvi di suicidi può esservi sembrato opportuno come prendere un pugno nella bocca dello stomaco dopo aver mangiato un mezzo tacchino, ma l’ho ritenuto doveroso, perché le luci di Natale che addobbano le nostre case, non siano schermo per offuscare alla vista i drammi che sono intorno a noi, ma possano essere invece il mezzo per aiutarci a vedere chi è in difficoltà, e magari dargli una mano. Perché a volte basta veramente poco per accorgersi dei Daniele che ci stanno accanto e della loro disperazione. Andrea Stopardi (liberoescorretto.blog)  

 

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