
Un processo «gonfiato», viziato da versioni accomodanti preparate a tavolino e non rispondenti al vero. A dirlo è stato l’avvocato Lorenzo Zilletti, legale di Rodolfo Fiesoli, nella lunga arringa esposta questo pomeriggio davanti alla Corte d’appello di Firenze. L’errore di fondo dei giudici - costato a Fiesoli la condanna a 17 anni e mezzo di reclusione - sarebbe nel metodo. Tutta una serie di cavilli giuridici (specie nella inammissibilità della ricusazione del Presidente del collegio, Marco Bouchard), e soprattutto la presenza di pregiudizi, avrebbero inquinato la sentenza di primo grado: che quindi va rivista. Si sarebbe dato per provato quello che invece non lo era; e in questo senso è stato duramente attaccato il comportamento delle vittime e il tentativo di sensazionalizzare la storia tramite interviste rilasciate a Tv, giornali e radio. Addirittura le pagine facebook avrebbero alimentato un fronte compatto capace di drammatizzare oltre il dovuto. «Ho un’enorme responsabilità sulle mie spalle, lo so – ha affermato Zilletti - Ma io non rappresento il Forteto, anzi nemmeno ci sono mai stato. Mi occupo solo di Rodolfo Fiesoli e non cercherò di beatificarlo. Quest’uomo però non è un orco, come ormai si sente dappertutto». Molte delle accuse mosse verso la comunità sarebbero da rivalutare: come la negazione del diritto di studio, o della libertà di praticare sport; o ancora il fatto che non si potessero fare viaggi (e questo è vero: Fiesoli, tra il 2000 e il 2002, andò a Budapest con alcuni ragazzi assieme all’ex sostituto procuratore del Tribunale dei Minori, Sodi). Insomma, «omologare la storia del Forteto e additare tutte le colpe a Fiesoli, è sbagliato». Altro punto su cui Zilletti ha insistito è quello del contesto culturale in cui si trovò a operare la struttura. L’analisi della vicenda può andare avanti serenamente, ha detto, solo se si storicizza quanto accaduto. In quel periodo di contestazioni e fermenti sociali (post ’68) la critica alla famiglia tradizionale era prassi consolidata, e «non si può stigmatizzare chi ha creduto in un sistema a metà tra Cristo a Marx solo perché adesso non si è d’accordo». Dunque, non può valere il metro di oggi per giudicare i fatti di ieri. Anche la sentenza definitiva dell’85 non si è salvata: «gonfiata e carica di precomprensioni». L’auspicio per il pronunciamento finale - rimandato al 10 luglio - è che si tenga conto delle «barriere innalzate per difendersi dai controfatti discordi dalla versione dominante (delle vittime, ndr). «Tra il bianco e il nero esiste il grigio – ha concluso – e questo l’anno scorso i giudici del Tribunale l’hanno dimenticato: è stato il processo dei sentimenti delle persone». La prossima tappa nell’iter giudiziario vedrà la replica delle parti opposte (il Pm Ornella Galeotti e i legali in causa ), dove si tenterà di ribadire i principali motivi per cui dell’orrore del Forteto non è possibile dubitare. L’udienza è fissata per il 5 luglio.