“Nel corso del 2023 in Toscana sono stati consumati 350 ettari di suolo, un valore in aumento rispetto alla media degli ultimi 20 anni. Oltre il 30% di questi ettari sono in aree a pericolosità frana e il 5% addirittura con classe elevata o molto elevata.
E’ chiaro che serve un’inversione di tendenza sia sull’attività edificatoria che sulla prevenzione del dissesto idrogeologico, su cui serve un piano nazionale accompagnato dallo stanziamento di fondi adeguati”.
A dirlo sono Stefano Corsi, coordinatore commissione Ambiente ed Energia dell’Ordine degli Ingegneri di Firenze, e Gianpiero Porquier, coordinatore della Commissione Protezione civile dell’Ordine degli Ingegneri di Firenze, commentando il Rapporto sul consumo di suolo del 2024 dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.
“La situazione delle frane nella provincia di Firenze è preoccupante – dicono Corsi e Porquier - nonostante la nostra regione sia attenta al problema fin dal tempo dei Medici, che per primi posero un vincolo di inedificabilità in Costa San Giorgio a Firenze.
Secondo l’Ispra, nel 2021 il 37 per cento il territorio fiorentino era a pericolosità frana, di cui circa il 15 per cento con classe elevata o molto elevata. In termini di popolazione era interessato il 33 per cento della popolazione dell’area fiorentina, di cui il 3.5% in aree a pericolosità elevata o molto elevata: si parla di circa 330.000 persone interessate, di cui 35.000 in zone con pericolosità severa”.
“Le cause di questa situazione – spiega Corsi - dipendono dalla naturale conformazione del nostro territorio, ma il problema è anche di tipo urbanistico e programmatico perché esiste una contraddizione: le normative per proteggere le aree a rischio frane ed evitare danni a persone e infrastrutture esistono, però quando poi si presenta l'opportunità di edificare spesso prevalgono interessi di tipo economico. C’è insomma una questione naturale ma anche una gestionale e sociale, perché l'interesse economico spesso prevale sulla sicurezza e sulla tutela ambientale”
“Il tema poi si unisce a quello dei cambiamenti climatici e del rischio idraulico – continua Corsi - perché molte frane sono legate a problemi di deflusso o erosione da parte delle acque e anche alle recenti polemiche sulla vegetazione nei fiumi: nelle alluvioni i problemi non sono provocati dalla vegetazione in alveo, quella che nasce naturalmente nei fiumi, ma piuttosto dalla vegetazione proveniente dai versanti franati, dai cambiamenti climatici e ancor più dall'abbandono delle aree collinari e montane”.
“A fronte di tutto ciò – conclude Porquier – gli enti pubblici e in particolare i Comuni si trovano ad affrontare il fenomeno con scarse risorse a disposizione e così sono costretti a tappare i buchi, intervenendo solo dopo che le opere e le infrastrutture hanno subito dei danni. Insomma non ci sono fondi sufficienti per la prevenzione. Per questo serve un piano nazionale di messa in sicurezza del territorio, che tuteli i comuni e le zone a rischio”.