Dante e le cascate dell'Acquacheta. Articolo di un lettore... © n.c.
Pubblichiamo di seguito un interessante articolo sulle Cascate dell'Acquacheta; che ci giunge da un lettore (massimo Ragazzini, autore dell'articolo in questione ) e che è stato pubblicato su “Annali Romagna 2013”, supplemento al numero 71 di Libro Aperto, rivista di cultura diretta da Antonio Patuelli edita a Ravenna. Articolo nel quale, oltre a descrivere il suggestivo paesaggio delle cascate, si ricostruiscono anche la storia e le origini dei celebri versi di Dante dedicati a questa piccola meraviglia della natura. Buona lettura:
La bellezza davvero spettacolare del paesaggio, la ricchezza della flora e della fauna, la fama legata alla Commedia di Dante concorrono a fare della cascata dell'Acquacheta un bene da conoscere, tutelare e valorizzare. La cascata, classica meta escursionistica fra le più frequentate dell'Appennino tosco-romagnolo, si trova a un'ora e mezza circa di cammino da San Benedetto in Alpe (in provincia di Forlì-Cesena) e fa parte del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna. La si incontra risalendo il corso del torrente Acquacheta fino alla confluenza col torrente Lavane. Il sentiero che conduce alla cascata, facilmente percorribile, parte da Piazza XXV Aprile, a San Benedetto, ma è raggiungibile anche da diversi punti del primo tratto della strada provinciale San Benedetto – Marradi. Il paesaggio vegetale Il sentiero percorre la valle dell'Acquacheta sulla sua riva sinistra, fiancheggiando acque limpide, boschi, piccole radure, aree aperte, zone a roccia affiorante. Il versante della destra idrografica della valle è particolarmente ripido e fitto di boschi, mentre quello di sinistra è meno inclinato e più adatto alle coltivazioni e al pascolo. Nella valle si incontra sia la vegetazione submontana (fino ai 600/800 metri s.l.m.), che quella più tipica della fascia montana. Nella parte a bosco della prima predominano tre specie arboree: la roverella, il cerro e il carpino nero, ma si trovano anche l'acero campestre e quello minore, l'opalo, il carpino bianco, l'orniello, il sorbo domestico e quello montano. Più sporadica la presenza del castagno, del ciavardello, del ciliegio selvatico, del maggiociondolo; rara ma presente la cerrosughera. Lungo il torrente e i fossi affluenti sono presenti salici, pioppi e ontani neri. Fra gli arbusti predominano il biancospino, il corniolo, il nocciolo e il sanguinello. Nella fascia montana prevalgono i faggi, ma sono presenti anche aceri, sorbi e cerri. Qualche esemplare di abete bianco è stato piantato a scopo ornamentale. Il crollo della domanda di legna nel corso del novecento ha determinato l'abbandono del taglio periodico dei boschi (salvo di quelli più vicini alle strade) e, di conseguenza, maggiore densità e invecchiamento degli alberi. A causa dello spopolamento, vicino alle case coloniche abbandonate, nelle aree di pascolo scarsamente utilizzate, o nei campi non più coltivati, si osserva la conquista del terreno da parte degli arbusti. Principali protagonisti sono il prugnolo, il biancospino, numerose varietà di rovo, la rosa selvatica, il ginepro e il sanguinello. Non mancano aree interamente ricoperte dalla felce aquilina, che cresce su terreni acidi e in zone dove il pascolo è totalmente assente. I pascoli nell'alta valle dell'Acquacheta sono ormai circoscritti a zone molto ridotte, mentre vicino alla cascata non mancano prati con numerose varietà di piante erbacee, tra cui farasacco, festuca rossa, fienarola, ginestrino, trifoglio. La fauna Le numerose specie animali che vivono nell'area dell'Acquacheta, soprattutto nella parte alta della valle, costituiscono un interessante e diversificato patrimonio faunistico. Nell'area soprastante la cascata è presente il cervo e anche il lupo trova qui le condizioni per un insediamento stabile e continuo. Come in tante altre zone, poi, è in continuo aumento la presenza dei cinghiali. Molto numerosi, anche nella parte bassa della valle, sono i caprioli, che d'inverno si spingono addirittura nel centro abitato di San Benedetto. Altrettanto consistente la popolazione di ricci e scoiattoli. Presenti anche carnivori di piccole dimensioni: la volpe, la faina, la donnola, la puzzola, il tasso. Agli appassionati di birdwatching la valle offre molte varietà di uccelli da osservare e fotografare: tra quelli con abitudini diurne, rapaci come la poiana, il falco lodolaio, lo sparviere e il gheppio. Frequenti i corvi, le cornacchie, le gazze, le ghiandaie. Tra i rapaci notturni sono stati osservati la civetta, l'assiolo, il barbagianni, il gufo. Alto, anche nel centro abitato, è il numero delle tortore. Oltre a osservarli, degli uccelli si può ascoltare – e magari riconoscere – il canto, soprattutto nella stagione degli amori (e naturalmente qualcuno ha già inventato il bird listening). Molte infatti sono in questa zona le specie di uccelletti canori quali, oltre al comunissimo passero, il verdone, il cardellino, il lucherino, il fringuello, il ciuffolotto, il fanello, la peppola, l'allodola, il cuculo, la capinera. Non è raro sentir risuonare anche il toc toc del picchio. Tra gli anfibi sono presenti la rana, il rospo, la raganella, l'ululone appenninico (un piccolo rospo), il tritone comune, la salamandra. Si può incontrare – possibilmente a distanza – la vipera, unico serpente velenoso, e alcuni serpenti del tutto innocui, come la natrice dal collare e anche la biscia tassellata. La fauna acquatica è ricca: ci sono molti gamberi di fiume e varie specie di pesci quali la trota, che ha qui il suo ambiente ideale, la lasca, il barbo, il vairone. Non è mancata l'osservazione di scardole, cavedani, anguille. La cascata e gli studi sulla sua formazione Distante circa cinque chilometri da San Benedetto, la cascata dell'Acquacheta si trova a circa otto chilometri dalle sorgenti del torrente. Le acque, cadendo dalla sommità, percorrono una distanza di oltre settanta metri, prima di congiungersi con quelle del torrente Lavane, mentre l'estensione orizzontale delle superfici rocciose supera i cinquanta metri nel punto più largo. Il torrente Lavane si getta nell'Acquacheta dalla sinistra orografica, poco dopo aver alimentato un'altra cascata, di altezza inferiore. La suggestiva bellezza della cascata dell'Acquacheta è dovuta allo spettacolare salto e al particolare disporsi delle acque, che scendono diramandosi su di un imponente affioramento roccioso a gradoni stratificati con una successione di piccoli salti d'acqua e ripidi scivoli. Anche la cascatella del Lavane è uno spettacolo suggestivo: l'acqua cade, scorrendo in picchiata su di una levigata parete rocciosa, in uno specchio d'acqua quasi circolare, assai profondo e di colore verde brillante, bordato da rocce: quasi una piscina naturale. L'escursione prosegue attraversando il torrente per mezzo di un guado di sassi presso la cascatella del Lavane, per poi salire con un erto sentiero alla piana dei Romiti, vasto altopiano contornato dai monti e coperto da una prateria punteggiata di alberi e arbusti, che, in ragione del toponimo, presumibilmente ospitava l'antico eremo dell'Abbazia di San Benedetto in Alpe. A sinistra dello sbocco del sentiero nella piana, in cima a un piccolo poggio, ci sono i ruderi dell'insediamento rurale detto i Romiti. Proseguendo verso la sommità della cascata si trova uno sperone roccioso, chiamato nella tradizione locale il “letto di Dante”, bellissimo punto panoramico sulla valle dell'Acquacheta. Un esame geologico della zona (1) ha consentito di accertare che la piana dei Romiti è composta da sedimenti alluvionali. La piana si sarebbe infatti originata dal prosciugamento di un piccolo lago, a sua volta originato da una frana di scorrimento verso valle degli strati marnoso-arenacei, frana che aveva ostruito il corso del torrente Acquacheta. L'antico alveo fluviale è tuttora identificabile proprio nel sentiero che dalla cascatella del Lavane conduce ai Romiti. La frana occluse il precedente sbocco a valle del torrente e le acque si raccolsero nella conca formatasi a monte dell'occlusione. Le acque di trabocco del lago di nuova formazione, alla ricerca di un nuovo corso, andarono a precipitare dalle rocce dell'attuale “caduta”. Si formò così la cascata dell'Acquacheta come oggi la vediamo. L'antico tratto di alveo, posto tra i Romiti e la cascatella del Lavane, da allora rimase privo d'acqua. E lo è tuttora. A causa del materiale che le acque di torrenti e fossi portavano nei periodi di pioggia, la conca lacustre andò progressivamente colmandosi. Il piccolo lago che si era formato con la frana dapprima si ridusse a stagno e poi si prosciugò completamente. Così la conca lacustre riempita di depositi alluvionali diventò l'attuale piana dei Romiti. I versi di Dante Dante Alighieri, nel XVI Canto dell'Inferno, versi 94 – 105, paragona il fragore dello scroscio dell'acqua della “caduta” dell'Acquacheta (fragore evidentemente udito nel periodo della piena del torrente) alla rumorosa e assordante cascata del Flegetonte, fiume che separa il settimo dall'ottavo cerchio dell'inferno: “Come quel fiume c'ha proprio cammino prima da Monte Veso inver levante, dalla sinistra costa d'Apennino, che si chiama Acquacheta suso, avante che si divalli giù nel basso letto, e a Forlì di quel nome è vacante, rimbomba là sovra San Benedetto dell'Alpe per cadere ad una scesa ove dovria per mille essere recetto; così, giù d'una ripa discoscesa, trovammo risonar quell'acqua tinta, sì che 'n poc'ora avria l'orecchia offesa”. Il passo, affascinante per la musicalità, ha tuttavia alcuni punti di difficile comprensione e suonava oscuro già ai primi commentatori della Divina Commedia. La presenza di incisi con finalità esplicative lo rende in effetti piuttosto complicato e può indurre a seguire molteplici strade interpretative (2). I principali nodi affrontati dagli studiosi della Divina Commedia sono stati i seguenti. l Da una prima lettura parrebbe che Dante abbia voluto indicare in un monte denominato Veso il punto di origine del torrente Acquacheta. E infatti molti commentatori sostennero questa tesi. Ma non è così. Nell'Appennino tosco-romagnolo non esiste nessun Monte Veso e non risulta essere mai stato usato, neanche in passato, il toponimo Monte Veso per indicare il monte dal quale aveva origine l'Acquacheta, che ha due sorgenti: una denominata Fonte Siba o Fonte Sivi, alle pendici del Monte Peschiena, l'altra Razzolino, sotto il Monte Lavane. Pertanto, secondo autorevoli commentatori, il Monte Veso di Dante non è altro che il Monviso delle Alpi Cozie, da cui nasce il Po. Quindi il testo vuol dire che, per chi vada dal Monviso in direzione di levante, l'Acquacheta, che poi arrivato a Forlì ha un altro nome, è il primo, tra i fiumi che scendono dal versante sinistro dell'Appennino, che abbia un suo corso autonomo (proprio cammino), cioè che si getti direttamente nel mare Adriatico. Gli altri fiumi o sono affluenti del Po oppure, ed è il caso del Reno e del Lamone, nel medio evo si impaludavano anziché giungere al mare (3). l Dante afferma che l'Acquacheta, giunto a Forlì, perde il suo nome. Oggi l'Acquacheta perde il nome, dopo circa 13 chilometri di corso, già a San Benedetto in Alpe, dove confluisce con altri due torrenti, il Troncalosso e il Rio Destro, e dà origine al Fiume Montone, che nei pressi di Ravenna, dopo l'unione con il fiume Ronco, assume il nome di Fiumi Uniti fino allo sbocco nell'Adriatico. L'affermazione di Dante è tuttavia facilmente spiegabile con quanto riferiscono suoi contemporanei: l'Acquacheta, nel XIV secolo, veniva chiamato Montone solo al passaggio da Forlì. l Il passo che ha maggiormente appassionato e diviso i commentatori è quello che recita: rimbomba là sovra San Benedetto / dell'Alpe per cadere ad una scesa / ove dovria per mille essere recetto; Secondo alcuni Dante alludeva, con accenti di biasimo, ai monaci dell'Abbazia di San Benedetto: l'Abbazia accoglieva pochi religiosi, mentre invece per le sue cospicue rendite ne avrebbe potuti accogliere più di mille (per mille esser recetto). Si sono avute anche spiegazioni di natura 'ambientale': i versi potrebbero significare che l'acqua avrebbe potuto dividersi in mille parti nel cadere, oppure essere incanalata in mille rivoli per irrigare i campi. Molto suggestiva la tesi secondo la quale Dante si riferiva a un progetto dei conti Guidi, importanti feudatari in Toscana e in Romagna, di costruire un castello, sopra la cascata dell'Acquacheta, nella piana dei Romiti. Il castello sarebbe stato capace di accogliere un gran numero di persone. Non essendovi altro passaggio per Firenze che quello, il luogo aveva un'alta importanza strategica a baluardo dei feudi dei Guidi. La costruzione del castello sarebbe poi rimasta a livello di progetto probabilmente per la morte dell'ideatore. C'è anche chi argomenta che Dante, esiliato, si riferisca alla piana dei Romiti, talmente estesa da poter raccogliere mille armati per tentare un rientro a Firenze. Ma Natalino Sapegno, critico letterario e interprete di Dante fra i maggiori del '900, cita fra i commentatori solo il Torraca, che interpreta il passo come semplicemente descrittivo della cascata: “Se scorresse placidamente di grado in grado della sua scalinata il fiume non rimbomberebbe così; e non rimbomberebbe la poca acqua del ruscello infernale, se non precipitasse giù d'una ripa discoscesa, tutta in una volta, quasi a piombo”. In altre parole, “'l suon dell'acqua” non sarebbe così potente se i gradini (le scese) fossero tanti (mille) e non uno soltanto. Il Sapegno, e poi con lui molti altri studiosi, ritiene questa la sola legittima interpretazione del passo e liquida le altre, anche perché non sostenibili sintatticamente. Infatti, “mille è contrapposto a una (una sola) e non può sottintendere se non scese” (4). Conclusione E' assai probabile che nelle vicinanze dell'Acquacheta passasse una strada, della quale rimangono le tracce, che ha collegato per secoli la Toscana con la Romagna (l'attuale strada da Forlì a Firenze che passa per il Muraglione è stata terminata nel 1836). Ed è anche assai probabile che Dante sia passato da questa strada nel periodo del suo esilio, se ha potuto descrivere così realisticamente l'immagine della cascata. Il luogo è quindi, da tempo, legato strettamente al Poeta, padre della lingua italiana: già nel 1833 il geografo Repetti indicò la cascata col toponimo “Caduta dell'Acquacheta di Dante”. Si aggiunga che una più matura consapevolezza ambientale ha consentito negli ultimi decenni un ampliamento della visione protezionistica anche nei riguardi dei beni naturali. Dalla fine degli anni '60 del secolo scorso la cascata dell'Acquacheta ha assunto importanza crescente per i valori paesaggistico-ambientali che racchiude e che qui ho cercato di mettere in luce. C'è quindi più di un valido motivo per continuare a tutelare con attenzione e rigore l'integrità di un patrimonio come la valle dell'Acquacheta e la sua celebre cascata. __________ Note Per la redazione di questo articolo mi sono avvalso, in particolare, di dati e informazioni tratti dalla tesi di laurea di Margherita Miserocchi dal titolo “La cascata dell'Acquacheta nel Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna: un geosito da conservare e valorizzare”, Università di Firenze, Facoltà di Agraria, Corso di laurea in Scienze Forestali e Ambientali, a.a. 2006/2007, che ho potuto consultare grazie alla cortesia dell'autrice, che qui ringrazio. Miserocchi è Comandante della Stazione di San Benedetto in Alpe del Corpo Forestale dello Stato. (1) Antonio Veggiani, “Come si formò la cascata dell'Acquacheta immortalata da Dante”, in Studi Romagnoli vol. 23, Fratelli Lega, Faenza, 1972, pp. 35 – 47. (2) Giuseppe Betti, postfazione alla ristampa anastatica dell'opera di Pompeo Nadiani “Interpretazione dei versi di Dante sul fiume Montone”, Fabbri, Modigliana, 1999, p. 120. (3) Natalino Sapegno,“La Divina Commedia, Vol. I”, La Nuova Italia, Firenze, 1969, p. 183. (4) Natalino Sapegno, cit., p. 184.