
Ci piace, oggi che è lunedì (giorno in cui solitamente il flusso delle notizie sembra stranamente concedere una tregua ai giornali) proporre ai lettori la riflessione di un abitante di Borgo sui recenti episodi (raccontati per primi da OK!Mugello) di vandalismo e maleducazione all'interno della pizzeria Free Time di Borgo. Riflessione che, lo diciamo per correttezza, è già circolata su alcuni siti internet, ma che anche noi vogliamo rilanciare in quanto giudicata molto 'profonda':
Bastano pochi giorni per far cadere nel dimenticatoio le cose, a volte anche meno. Figuriamoci un episodio come quello della sera di carnevale in cui alcuni giovani oltrepassano il limite della maleducazione in una pizzeria del paese. La storia è ormai nota da tempo. Quello che è successo quella sera lo ha riportato un giornale locale una settimana dopo l’accaduto. Il brusio della chiacchiera si muoveva sotto traccia già da qualche giorno ma è diventato fragore alla pubblicazione della notizia. Quello che riporta il quotidiano non è la cronaca di una serata in cui in troppi hanno passato il segno, è la cronaca di una sconfitta. Di una sconfitta di tutti. Ne esce sconfitto il ristoratore, umiliato in casa sua, davanti alla sua famiglia. Ne escono sconfitti quelli della mia generazione, genitori o educatori che siano, che vedono il loro impegno travolto dal vandalismo gratuito e dall’arroganza dell’impunità. Ne escono sconfitti i ragazzi, che poi così ragazzi non sono, che perdono l’occasione per convincere il futuro ad affidarsi completamente a loro. Ne esce sconfitto il paese, con la p minuscola, perché non riesce a sfruttare i vantaggi di una piccola comunità, rimanendo sulla superficialità e sull’indifferenza propria delle città. E allora cosa ci possiamo fare con questa sconfitta? Potremmo esimersi dal voler cadere nel vecchio tranello delle polarità. Da una parte o dall’altra, ci hanno sempre insegnato così. O guelfo o ghibellino. O Coppi o Bartali. O bianco o nero. Il bisogno di schierarsi, di prendere le parti di una delle due fazioni, di formulare giudizi, di emettere sentenze. Il bisogno di sapere quale sia la pizzeria, quali siano i nomi dei ragazzi, perché il gestore non ha sporto denuncia. Novelli Poirot o Miss Marple in ciabatte si prodigano per raccogliere elementi, per azzardare ipotesi, per ricercare moventi e alibi. Stando attenti a come muoversi. Perché siamo in paese – con la p minuscola, fate attenzione – e si rischia di tessere trame e ordire complotti che possono coinvolgere conoscenti, amici, addirittura parenti. Meglio quindi che tutto rientri nei ranghi, lasciando al vecchio ma sempre attuale pettegolezzo il compito di movimentare le sonnacchiose giornate di Quaresima. E allora, cosa ci possiamo fare con questa sconfitta? Potremmo ammetterla, innanzi tutto. E pensare che nella vita ci può stare, di perdere. L’importante è capire perché si è perso. Abbiamo perso perché siamo sempre in tensione, sempre sul palco, iperconnessi, perennemente in mostra. Siamo sempre portati a mostrarci forti, belli, intelligenti, che non ci accorgiamo quanto lontano ci porta questa smania di dover forzatamente dimostrare che siamo, che esistiamo. E non ci accorgiamo di quello che ci accade intorno. Di come crescono le nuove generazioni, di cosa facciamo per loro, di cosa hanno bisogno da noi. Di quanto deleghiamo ad altri le nostre responsabilità, addossando ad elementi lontani da noi le nostre inadeguatezze e le nostre mancanze. Sembriamo in guerra. In guerra col mondo, ma soprattutto con noi stessi. Una guerra da combattere nel nome del nostro narcisismo, del nostro voler apparire come ci piacerebbe. Una guerra che, come tutte, ha i suoi effetti collaterali.