La ricerca delle vicende subite dal mio nonno materno durante la seconda guerra mondiale non e' stata facile e priva di difficoltà. Innanzitutto per il fatto che lui e' morto in anni in cui ancora si faceva fatica a parlare di queste cose benche' pubblicazioni importanti per la memoria della deportazione fossero già state pubblicate come "Se questo e' un uomo" e "Diario clandestino", ma la maggioranza dei reduci rimarrà muta ancora per parecchi decenni. Mia nonna stessa affermava di non sapere quasi nulla di quel periodo ed e' morta, nel 2015, senza raccontare molto di quei mesi che per lei erano stati fonte di grande dolore. E' stato dopo la sua scomparsa che e' nata la voglia di dare voce a quel tempo cercando eventuali notizie. Ho iniziato dall'ANED di Prato che nulla sapeva e che mi ha indirizzato alla Croce rossa di Ginevra dove, anche loro, nulla avevano in archivio e mi hanno consigliato di rivolgermi a Bad Arolsen dove esiste il centro di documentazione tedesco per la deportazione. Dopo un anno e mezzo, nel novembre del 2018, mi hanno risposto...
Quindi l' unico legame che avevo con questa storia passava dall' assegno che, mensilmente, giungeva alla mia nonna Natalina dalla Germania e che rimaneva in bella vista nella vetrina per una settimana prima di essere speso. Quando dall'assegno si passò al bonifico la cosa perse molta della sua poesia. Eppure quel riconoscimento di ben 86 euro e 27 centesimi era frutto di lunghe trattative fra i governi dei due stati e aveva trovato una soluzione solo nel 1961 con la firma del trattato che obbligava i tedeschi al pagamento dei danni di guerra. Fra questi "danni" anche gli otto mesi che il mio nonno aveva fatto prigioniero in Bassa Sassonia.
La storia di nonno Giuseppe Sdruccioli, classe 1907, chiamato dagli amici "fasò" ovvero "fagiolo" dalla particolare conformazione del viso, era iniziata a Palazzuolo fra la fine del maggio '44 e i primi di giugno dello stesso anno. In quei giorni egli fu vittima, insieme a un altra trentina di palazzuolesi, di un rastrellamento operato dai tedeschi ed essendo lui Socialdemocratico ricadde nel gruppo dei candidabili all'arresto. Inizia allora un vuoto temporale, che sto cercando di colmare attendendo dal campo di Fossoli la conferma del suo passaggio in quel campo, e che conduce al 27 agosto 1944 dove arriva a Bolmitz dove viene impiegato nella fabbrica EIBIA, che produceva polvere da sparo, nel campo di Benefeld. La sua permanenza nel campo si consuma simile a quella di migliaia di altri uomini: sfruttati per diciassette ore al giorno, costretti a mangiare brodaglie che facevano rimpiangere la bucce di patate e "pagati" a nerbate sulla schiena. La sua esperienza in quel luogo ebbe termine il 9 aprile 1945 quando gli inglesi liberarono il lager. Da quel giorno iniziò una vera e propria corsa verso casa dove lo aspettava la fidanzata che si era rifiutata di pensarlo morto e, dopo essersi ritrovati, celebrarono il primo matrimonio del dopoguerra nel comune. Era il 13 ottobre 1945. L' anno dopo nacque mia zia Luisa e, nel 1949, mia mamma Anna. Purtroppo le privazioni subite durante la prigionia e la durezza del suo lavoro di facchino della legna con i muli, lo fiaccarono nel fisico conducendolo alla morte ad appena 44 anni, nel 1952.
Galleria fotografica
Quindi di questo nonno, morto giovane e che nella vita ben poco aveva avuto di gioia e molto di dolore si consumò senza lasciare molte testimonianze. Ho ritenuto un dovere morale fare queste ricerche, sia per la mia famiglia sia per la comunità di Palazzuolo che poco ha approfondito questo tema collettivo, e ho cercato di dare la giusta dignità a questo passaggio della vita di "fasò". Dopo alcune ricerche sono venuto a conoscenza della possibilità di ricevere, postuma, la medaglia d'onore dei deportati durante la seconda guerra mondiale e ho fatto domanda. Con somma gioia la richiesta e' stata accolta e il 27 gennaio riceveremo la medaglia in prefettura a Firenze, Covid permettendo. Intanto mi consolo pensando di aver "ritrovato" mio nonno nonostante siano passati così tanti decenni e, quasi, di averlo potuto finalmente conoscere allora potrò considerare completa la ricerca e compiuto il dovere di rendere la giusta memoria e la dovuta dignità alla sua persona e alla sua triste esperienza.
Gianfranco Poli.