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13 gennaio 1954 Il salvataggio del Pignone

Ripercorriamo un evento della storia recente della città.

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Il salvataggio della Pignone Il salvataggio della Pignone © Foto: Una città unita intorno ai lavoratori del Pignone
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Il salvataggio della storica azienda fiorentina del Pignone, scongiurando il licenziamento di 1750 persone, costituì per il sindaco Giorgio La Pira, al suo primo mandato, uno dei successi più clamorosi e incisivi sul piano sociale.
Il risultato fu raggiunto grazie al suo coraggio nel porsi al fianco degli operai nei giorni dell'occupazione, ma attivando anche i contatti personali ad alto livello, a partire dal rapporto con Enrico Mattei, presidente dell’Eni, per consentire l’acquisto di maggioranza dell’azienda, che divenne così Nuovo Pignone.

Il passaggio delle quote di maggioranza dell’antica fonderia fra la famiglia Benini, che l’aveva costituita nel 1842 nel quartiere del Pignone sulla riva sinistra dell’Arno, e la SNIA-Viscosa era avvenuto nel primo dopoguerra, a fine 1946, ma il progetto di convertire la produzione per macchinari atti alla produzione tessile non fu ritenuto conveniente e nel 1950 arrivarono lettere di licenziamento per 208 operai.

L’azienda, guidata dall’amministratore Franco Marinotti, aveva puntato su produzioni sempre più estranee alle competenze e professionalità del Pignone, determinando disastrose conseguenze sul piano dei risultati economici e una conflittualità crescente con le organizzazioni dei lavoratori.
Aumentò il conflitto interno, con scioperi e manifestazioni e il ministro Amintore Fanfani dispose addirittura il ritiro del passaporto a Marinotti nell’ottobre 1952, prima di un viaggio in Francia.

La situazione esplose nell’autunno del 1953 ma Giorgio La Pira, Mario Fabiani e gli enti locali furono vicini ai lavoratori, solidarizzando in fabbrica e favorendo la presa in carico, da parte dell’ENI, di un’azienda che nei decenni successivi seppe dimostrare straordinarie potenzialità produttive.
Alle ore 22 del 13 gennaio 1954, presso il Ministro del Lavoro, le parti firmarono l’accordo che permise il definitivo rilancio dell’impresa.

La lotta dei lavoratori fu sostenuta attivamente per tutta la sua durata dalla solidarietà dell'intera città, da una mobilitazione che coinvolse cittadini, sindacati, e gli operai delle altre fabbriche fiorentine e della provincia.

Si trattò di una delle prime esperienze di acquisizione pubblica di un’azienda industriale e questo determinò una forte polemica all’interno del mondo cattolico che vide contrapposti Don Luigi Sturzo (lo storico fondatore nel 1919 del Partito Popolare, dal cui ceppo scaturì la Democrazia Cristiana), sostenitore dell’economia di mercato e contrario a qualsiasi forma di intervento diretto dello stato nella sfera economica, e il ‘cristianesimo sociale’ di Fanfani, La Pira e Dossetti che, ai sensi dello stesso dettato costituzionale, ritenevano doveroso che lo stato si facesse carico delle situazioni di crisi, in nome della dignità del lavoro e dei superiori diritti della persona che era giusto far prevalere sulle algide regole dell’economia.
Un dibattito che sarebbe riemerso a più riprese nei decenni successivi, spesso enfatizzando il presunto assistenzialismo di questo tipo di interventi; c’è da dire che in questo caso il salvataggio si rivelò tutt’altro che assistenzialistico, visto che l'azienda, tornata alla sua originaria vocazione di industria meccanica seppe raggiungere livelli di eccellenza a livello mondiale nella produzione delle turbine, fino a che non venne rilevata nel 1993 dalla multinazionale americana General Electric.

 

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