Il contrasto alla violenza di genere richiede un impegno costante fin dai primi anni di vita, con un’attenzione particolare agli stereotipi di genere che, se non corretti, possono radicarsi nei comportamenti dei bambini e dei ragazzi, perpetuando disuguaglianze e giustificazioni per atti violenti. Il lavoro educativo nelle scuole, insieme al coinvolgimento delle comunità educanti e dei centri antiviolenza, riveste un ruolo fondamentale in questo processo.
Le radici culturali della violenza di genere
L'acquisizione precoce degli stereotipi, spesso già nell'infanzia, può avere un impatto significativo sull'acquiescenza verso comportamenti violenti. La violenza di genere non solo danneggia direttamente le donne, ma ha anche un effetto devastante sui bambini e i ragazzi che ne sono testimoni o vittime. I traumi psicologici che ne derivano possono manifestarsi immediatamente in disturbi del sonno, ansia, aggressività e comportamenti adultizzati. A lungo termine, cresce il rischio che i giovani sviluppino atteggiamenti violenti o tolleranti verso la violenza, soprattutto nei casi in cui assistano alla violenza del padre nei confronti della madre. In tali ambienti, i ragazzi sono più propensi a diventare aggressori, mentre le ragazze sono più inclini a diventare vittime.
Secondo i dati Istat, il fenomeno della trasmissione intergenerazionale della violenza è ben documentato. La violenza familiare diventa un modello che viene appreso e ripetuto nelle generazioni successive, creando un ciclo difficile da interrompere. Questo è emerso anche dai recenti dati del 1522, il numero nazionale contro la violenza, che ha visto un aumento significativo delle chiamate nel 2024 (32.989 chiamate nei primi sei mesi, con un incremento del 70% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), segno di una crescente consapevolezza del problema.
L’educazione come strumento di cambiamento
Per combattere gli stereotipi di genere e la violenza, è essenziale intervenire sin dalla scuola primaria e secondaria. L’obiettivo è instillare fin da giovani una cultura di parità e rispetto, che possa contrastare gli stereotipi che confinano le donne in ruoli subalterni. Tuttavia, gli studi rivelano che molte convinzioni conservatrici persistono tra la popolazione. Ad esempio, oltre il 20% degli intervistati considera ancora che le donne debbano occuparsi prevalentemente dei figli, mentre il 40% degli uomini ritiene che una donna possa sottrarsi a un rapporto sessuale se lo desidera davvero, indicando una mentalità che giustifica la violenza. Inoltre, tra gli uomini, quasi il 20% crede che una donna possa provocare la violenza sessuale con il suo abbigliamento.
Questi dati evidenziano quanto sia ancora radicata una cultura che vede la donna come subalterna e oggetto di proprietà dell’uomo. Una cultura che giustifica o tollera la violenza, rendendo necessarie azioni educative sistematiche per contrastare queste convinzioni.
I centri antiviolenza in Italia: una rete in crescita ma ancora disomogenea
La rete dei centri antiviolenza in Italia ha visto un’espansione negli ultimi anni. Nel 2022, secondo i dati Istat, erano attivi circa 400 centri, con un incremento del 3,2% rispetto all’anno precedente e del 37% rispetto al 2017. Tuttavia, la distribuzione di questi centri è disomogenea sul territorio, con alcune regioni che offrono una rete di supporto più robusta rispetto ad altre. In media, ogni 10.000 donne in Italia ci sono 0,13 centri antiviolenza, ma la presenza varia notevolmente da regione a regione. Per esempio, al Sud (come in Molise, Umbria, Campania e Abruzzo), la densità di centri antiviolenza supera la media nazionale, mentre al Nord, in particolare nelle regioni del nord-est, la densità è inferiore.
In Toscana, come in molte altre regioni, i centri antiviolenza svolgono un ruolo cruciale, ma la capillarità e l'accesso ai servizi potrebbero essere migliorati, soprattutto nelle aree rurali e periferiche. Inoltre, circa il 90% dei centri antiviolenza in Italia fornisce attività di formazione nelle scuole, ma la diffusione di queste iniziative varia: in alcune regioni come la Calabria, la Campania e il Trentino-Alto Adige, la percentuale di centri che svolgono attività educative nelle scuole è più bassa, evidenziando la necessità di rafforzare l'impegno in questi ambiti.
L’importanza di un lavoro sinergico e del finanziamento pubblico
Per affrontare adeguatamente la violenza di genere, è fondamentale un impegno sinergico tra istituzioni educative, sociali e culturali, nonché un adeguato finanziamento dei centri antiviolenza. Alcune aree italiane, come la provincia autonoma di Bolzano, hanno mostrato una spesa particolarmente elevata per il supporto alle donne, con un impegno significativo per ogni 1.000 donne residenti. In altre zone, come la Calabria o la Valle d’Aosta, i fondi per i centri sono molto più limitati, con spese che non superano i 5 euro ogni 1.000 donne, indicando una disparità che necessita di essere affrontata.
La sfida principale rimane quella di garantire una rete di supporto che sia efficace, accessibile e che operi in modo uniforme su tutto il territorio. Potenziare l’educazione nelle scuole e sensibilizzare la comunità sull’importanza della parità di genere sono passi cruciali per costruire una cultura che non tolleri la violenza.
Conclusioni
Il contrasto alla violenza di genere non può prescindere dal superamento degli stereotipi di genere che li alimentano. Un lavoro educativo nelle scuole, l’impegno delle istituzioni locali e un rafforzamento della rete di centri antiviolenza sono strumenti fondamentali per interrompere il ciclo della violenza e costruire una società più equa e sicura per tutti. La situazione toscana, pur non essendo tra le più critiche, necessita comunque di maggiore attenzione e investimento per garantire un accesso equo ai servizi e per favorire un cambiamento culturale profondo e duraturo.
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