Storie mugellane. Don Pesci e la vita (in canonica) nei dintorni di Palazzuolo © n.c.
La vita e le vicende di questo sacerdote di montagna liberamente ricostruite dal nostro lettore Gianfranco 'Gipo' Poli, nel racconto che qui segue. Scritto con passione ma anche, a tratti, con la 'tagliente', divertente e, a tratti, 'dissacrante' penna tipica delle genti di montagna e anche dell'Alto Mugello:
Senza dubbio spicca, nella fauna ecclesiastica palazzolese del ‘900, la figura di Don Raffaele Pesci nato a Castel del Rio nel 1872 da una famiglia di umili origini. Con iuna miseria, come si usava dire, che faceva lume e dove a fatica si riusciva a unire il pranzo con la cena: sorella povertà sarebbe stata compagna fedele della lunga vita di don Pesci. Caso strano fra i sacerdoti che animavano la vita religiosa del comune egli aveva frequentato il seminario di Imola e ne era uscito, se non troppo formato, almeno con la consapevolezza di comprendere il latino della messa e i rudimenti dei sacramenti. Questa infarinatura farà di lui uno dei predicatori, se non più brillanti, senza dubbio più efficaci della valle del Senio. Bisogna, comunque, far notare come la natura non fosse stata generosa con la sua persona: nel complesso brutto, sgraziato, con voce roca, tarchiato, lento nel parlare, fortemente strabico. Inoltre, a causa della povertà in cui versava, servendo una parrocchia come quella di Piedimonte priva di possedimenti quindi di rendite, appariva sempre dimesso indossando un'unica tonaca perennemente sporca di frittelle e frinzelli. Era stato ordinato sacerdote all’ età canonica di 24 anni, nel 1896 ed era stato subito mandato a Badia di Susinana come cappellano. Di lì a pochi anni venne inviato alla Rocca dove rimase gli anni del primo conflitto mondiale sino al 1923. In quell’ anno venne inviato come priore a Piedimonte dove sarebbe rimasto trent’ anni. Notevole e varia l’ aneddotica riguardo alla sua vicenda umana. Senza dubbio le prediche di cui rimane illuminante la spiegazione della Trinità presentata come un forcale con tre bronconi, ma un manico solo, limpida spiegazione per gente che non era mai andata più in la del campo. Limpida e arguta come le sue esclamazioni ai pranzi riservati ai sacerdoti durante le feste. In questi pranzi si discuteva molto, anche perche’ era una delle rare occasioni per incontrarsi, ma don pesci non era interessato a queste formalità e continuava a mangiare a più non posso. A chi gli faceva notare che era maleducazione rimanere in silenzio rispondeva: “la pecora che bela perde il boccone!” e continuava a sfamarsi. In un’ altra occasione analoga, presso il pranzo dei priori a Baffadi offerto per la festa di sant’ Antonio Abate due colleghi lo stuzzicavano per disturbarlo dalla sua seria occupazione. Alla fine il vecchio sacerdote levò gli occhi alcielo e, quasi fosse colto da una divina ispirazione esclamò, “Questa notte ho fatto un sogno!” e i colleghi si fermarono dal loro ciarlare e si misero in riverente ascolto quando il silenzio fu totale continuò “Ho sognato che mi avevano castrato” e gli sguardi dei preti cominciarono a diventare interrogativi “e dopo di cìò” proseguì guardando i due maligni preti che gli stavano accanto “avevano attaccato il mio cazzo in mezzo con i due coglioni attaccati ai lati” i due preti seduti accanto a lui arrossirono se non che il pesci concluse “faccio notare che il cazzo in questione era rotto!” e una giovincella che faceva da cameriere colse la battuta e concluse “Allora si e’ rotto il cazzo reverendo?” “Esattamente” scandì solenne prima di riprendere il pranzo Accanto a lui nella foto, oltre che nella vita, la fedelissima Caterina, passata alla storia come “Catrena” perpetua d’ aspetto scimmiesco, rude e grezza, ovviamente analfabeta Con questa, don Pesci, dividerà il leto per trent’ anni facendo valere la necessità di riscaldarsi reciprocamente. Fondamentale la sua presenza per un uomo che non aveva altri parenti che una nipote di nome Mafalda (pure lei nella foto, insiema al fidanzato Italo); graziosa ospite a piedimonte la quale faceva breccia sui semplici cuori dei giovani coloni. Questo sino al fatto che l’ avrebbe esautorata dalla presenza nella parrocchia. Una mattina di un mercoledì delle ceneri Catrena aprì la finestra e vide, sulla neve fresca, che qualcuno aveva scarabocchiato qualcosa sul candito manto Chiamato il priore questi spiegò con naturalezza “Questa notte, qualche ragazzaccio, ha scritto con la pipì MAFALDA TI AMO!” “Deve essere stato quel somaro di Renzo!” esclamò la perpetua, ma il prete fece presente che il Renzo in questione non sapeva scrivere “Qualcuno gli avrà tenuto in mano la penna” concluse maliziosa la Catrena. Coprirono tutto prima che altri lo vedessero. Vari erano gli impegni che don Pesci affronta: tutti gli uffici nelle parrocchie e le sostituzioni dei sacerdoti assenti per vari motivi. Tutti questi spostamenti erano effettuati con il “cavallo di san Francesco” ovvero a piedi, appoggiandosi a un grosso ombrello in tela cerata verde che, d’ inverno riparava dalla pioggia e d’ estate dal sole. Ovviamente, con l’ avanzare degli anni, perse varie volte l’ equilibrio e una volta lo trovarono tramortito in un fosso, mentre andava a Mantigno, con una fetta di polenta in testa uscita dal suo tascapane. Si orientava senza orologio, conoscendo l’ ora dal sole e dalle stelle, e impiegava i pochi soldi ricevuti in questi impegni dandoli in beneficenza Appassionato di musica, però, impiegò i soldi dati a lui per acquistare una tonaca per comprare un grammofono che gracchiava, immancabilmente, per la festa di piedi monte, il 29 giugno, san Pietro. Era il confessore delle suore di Quadalto, dove si recava settimanalmente, le quali lo ripagavano riempiendogli il tascapane di brigidini che producevano esse stesse con la schiaccia impiegata per le ostie Il senso di questa vita e racchiuso, mi piace riconoscere, in questo aneddoto: Da lungo tempo non pioveva e la siccità rendeva pericoloso il futuro dei raccolti. I parrocchiani andarono da don Pesci a chiedergli di fare una processione per ricevere la grazia dell’ acqua. A loro rispose “Andiamo pure, ma finche’ dura un sereno così … comunque prendete quella madonnaccia brutta che abbiamo in soffitta che non si sa mai” dopo alcuni giorni la siccità perdurava e il cappellano ebbe un idea luminosa: “Prendiamo giù il crocifisso dall’ altar maggiore, lo piantiamo in mezzo al campo, gli leghiamo un’ aringa sulla bocca e quando avrà sete farà piovere!” … dopo che ebbero finito l’ operazione iniziò a tuonare ..
Nicola Di Renzone
Gentile Piero. La ripetizione era stata individuata gi dalla redazione, ma poi non tolta per una svista. Ora stata tolta. Saluti
Piero
E' chiedere troppo di rileggere gli articoli prima di pubblicarli, onde evitare sconcertanti ripetizioni?