Il nostro cronista all'assaggio del Chianti Classico © Ok!News24
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Il debutto c'è stato domenica a Firenze dove dopo la sontuosa apertura (ruffiana) di sabato con la conferenza stampa e la cena di gala per pochi eletti e con special guest Gianna Nannini in veste di vignaiola nello spazio del padiglione Spadolini della Fortezza da Basso è tornato il vino in presenza e aperto al pubblico.
L'inizio è stato come da tradizione con il "Chianti Lovers & Morellino di Scansano" un binomio riuscito nel nome del Sangiovese e che, grazie all'apertura al pubblico del pomeriggio fa registrare (così si legge dal comunicato ufficiale) un grosso successo grazie alle 2.000 persone disposte a pagare 15 euro per una full immersion enoica di alcune ore e 400 etichette di 110 aziende agricole.
Per noi il successo di un evento del genere non lo si può misurare nelle presenze perchè non siamo a un concerto rock (a proposito della Nannini) ne a uno spettacolo in teatro.
Crediamo che "misurare" il successo di un evento che dovrebbe fare cultura, tradizione, territorialità e ambiente così allontana il consumatore da quello che dovrebbe essere l'obiettivo di una buona promozione: invitare alla conoscenza.
Poi se il nome "Chianti Lovers" è accattivante e strizza l'occhio al vasto pubblico di appassionati millennials riteniamo che dietro non ci possano essere solo selfie e storie da social col bicchiere in mano in posa.
Se togliamo "lovers" rimane solo Chianti e i problemi di sempre che questo termine così vasto e generico porta atavicamente con se.
Chianti = Toscana?
Il rischio c'è e me lo confermano le chiacchiere fatte con alcuni colleghi stranieri che scevri dalle nostre storielle di campanile proprio non riescono a capire le sottozone eccezion fatta per il Chianti Rufina da sempre identitario.
Che necessità ci sia della frammentazione fra Chianti Valdarno Superiore, Chianti Colline Pisane, Chianti Colli Aretini, Chianti Colli Fiorentini, Chianti Colli Senesi, Chianti Montalbano e Chianti Montespertoli i consumatori medie esteri proprio non riescono a capirlo.
I colleghi che devono raccontare loro il Chianti sono i primi in difficoltà perchè quale linea seguire dato che nel bicchiere non c'è omogenità. E non potrebbe essere altrimenti dato che altitudini, territori, esposizioni, etc sono molto diverse.
I vini anche a noi non ci hanno del tutto convinti. Alcuni ancora troppo giovani, alcuni sovrammaturi, alcuni tecnicamente ben fatti ma senza anima.
Tutt'altro discorso merita il Morellino di Scansano che anno dopo anno, senza sgomitare e con l'incoscienza del piccolo riesce a crescere bene. La linea identitaria c'è e anche il carattere forte e deciso della Maremma.
Il lunedi e il martedì è stata la volta del Chianti Classico Collection che è tornata ad aprire le porte della Stazione Leopolda a un pubblico selezionato di operatori. Un po' snob? No una scelta precisa e diretta, forse un po' snob ma che condividiamo dato che, e non ci annoieremo mai di scriverlo il vino è cultura e tradizione e non è un aperitivo da selfie.
Il Chianti Classico però oltre a tornare in presenza nel periodo tradizionale (solo un mese in ritardo causa covid) gioca l'asso della grande novità dell'Uga. Nome già poco convincente nell'acronimo ancora meno nell'estensione di unità geografiche aggiuntive.
Nell'intendimento la nuova suddivisione intende delimitare undici aree all'interno della zona di produzione distinguibili in base alla combinazione unica di fattori naturali (composizione del suolo, microclima, giacitura del terreni, etc...) e fattori umani (storia culturale, tradizioni locali, spirito di comunità).
L'idea bella, che strizza l'occhio ai cugini francesi che non si sa perchè finiamo sempre per voler copiare anche se siamo noi a vendere ogni anno più vini, lo è a nostro avviso sulla carta perchè serve a creare ulteriore frammentazione e forse a confondere il consumatore medio.
Riconoscere nel bicchiere un'identità di Chianti Classico di San Casciano (che però è anche Barberino e Tavarnelle escluso San Donato in Poggio che è di per se una nuova uga) da Greve che però si frammenta anche in Lamole, Montefioralle e Panzano, Radda, Gaiole, Castellina Castelnuovo Berardena che si frammenta con la frazione di Vagliagli è davvero difficile e se ci fosse così netta farebbe perdere decenni di comunicazione identitaria Chianti Classico.
Che le differenze ci siano fra un viino che si coltiva a 100 metri d'altitudine e un altro che si coltiva a 500 sono ovvie, così come quelle fra un terreno sassoso e uno argilloso ma sono a nostro avviso cose da intenditori e appassionati che il consumatore medio non può capire.
I vini ci hanno convinto, anche le anteprime ancora scalpitanti, e ci siamo anche sforzati di comparare altitudini e uga, ma non siamo convinti.
E ora avanti alla scoperta della Vernaccia di San Gimignano per capire in che stato di forma è il grande bianco di Toscana e poi un salto a Montepulciano per capire se la crisi (anche nel nome) del piccolo sangiovese sia terminata e poi chiusura ancora a Firenze dove le piccole denominazioni che rispondono al nome di "Altra Toscana" riusciranno nel calendario a non far sentire la mancanza di sua maestà Brunello che ha deciso di fare passo.
Seguiteci...
L'inizio è stato come da tradizione con il "Chianti Lovers & Morellino di Scansano" un binomio riuscito nel nome del Sangiovese e che, grazie all'apertura al pubblico del pomeriggio fa registrare (così si legge dal comunicato ufficiale) un grosso successo grazie alle 2.000 persone disposte a pagare 15 euro per una full immersion enoica di alcune ore e 400 etichette di 110 aziende agricole.
Per noi il successo di un evento del genere non lo si può misurare nelle presenze perchè non siamo a un concerto rock (a proposito della Nannini) ne a uno spettacolo in teatro.
Crediamo che "misurare" il successo di un evento che dovrebbe fare cultura, tradizione, territorialità e ambiente così allontana il consumatore da quello che dovrebbe essere l'obiettivo di una buona promozione: invitare alla conoscenza.
Poi se il nome "Chianti Lovers" è accattivante e strizza l'occhio al vasto pubblico di appassionati millennials riteniamo che dietro non ci possano essere solo selfie e storie da social col bicchiere in mano in posa.
Se togliamo "lovers" rimane solo Chianti e i problemi di sempre che questo termine così vasto e generico porta atavicamente con se.
Chianti = Toscana?
Il rischio c'è e me lo confermano le chiacchiere fatte con alcuni colleghi stranieri che scevri dalle nostre storielle di campanile proprio non riescono a capire le sottozone eccezion fatta per il Chianti Rufina da sempre identitario.
Che necessità ci sia della frammentazione fra Chianti Valdarno Superiore, Chianti Colline Pisane, Chianti Colli Aretini, Chianti Colli Fiorentini, Chianti Colli Senesi, Chianti Montalbano e Chianti Montespertoli i consumatori medie esteri proprio non riescono a capirlo.
I colleghi che devono raccontare loro il Chianti sono i primi in difficoltà perchè quale linea seguire dato che nel bicchiere non c'è omogenità. E non potrebbe essere altrimenti dato che altitudini, territori, esposizioni, etc sono molto diverse.
I vini anche a noi non ci hanno del tutto convinti. Alcuni ancora troppo giovani, alcuni sovrammaturi, alcuni tecnicamente ben fatti ma senza anima.
Tutt'altro discorso merita il Morellino di Scansano che anno dopo anno, senza sgomitare e con l'incoscienza del piccolo riesce a crescere bene. La linea identitaria c'è e anche il carattere forte e deciso della Maremma.
Il lunedi e il martedì è stata la volta del Chianti Classico Collection che è tornata ad aprire le porte della Stazione Leopolda a un pubblico selezionato di operatori. Un po' snob? No una scelta precisa e diretta, forse un po' snob ma che condividiamo dato che, e non ci annoieremo mai di scriverlo il vino è cultura e tradizione e non è un aperitivo da selfie.
Il Chianti Classico però oltre a tornare in presenza nel periodo tradizionale (solo un mese in ritardo causa covid) gioca l'asso della grande novità dell'Uga. Nome già poco convincente nell'acronimo ancora meno nell'estensione di unità geografiche aggiuntive.
Nell'intendimento la nuova suddivisione intende delimitare undici aree all'interno della zona di produzione distinguibili in base alla combinazione unica di fattori naturali (composizione del suolo, microclima, giacitura del terreni, etc...) e fattori umani (storia culturale, tradizioni locali, spirito di comunità).
L'idea bella, che strizza l'occhio ai cugini francesi che non si sa perchè finiamo sempre per voler copiare anche se siamo noi a vendere ogni anno più vini, lo è a nostro avviso sulla carta perchè serve a creare ulteriore frammentazione e forse a confondere il consumatore medio.
Riconoscere nel bicchiere un'identità di Chianti Classico di San Casciano (che però è anche Barberino e Tavarnelle escluso San Donato in Poggio che è di per se una nuova uga) da Greve che però si frammenta anche in Lamole, Montefioralle e Panzano, Radda, Gaiole, Castellina Castelnuovo Berardena che si frammenta con la frazione di Vagliagli è davvero difficile e se ci fosse così netta farebbe perdere decenni di comunicazione identitaria Chianti Classico.
Che le differenze ci siano fra un viino che si coltiva a 100 metri d'altitudine e un altro che si coltiva a 500 sono ovvie, così come quelle fra un terreno sassoso e uno argilloso ma sono a nostro avviso cose da intenditori e appassionati che il consumatore medio non può capire.
I vini ci hanno convinto, anche le anteprime ancora scalpitanti, e ci siamo anche sforzati di comparare altitudini e uga, ma non siamo convinti.
E ora avanti alla scoperta della Vernaccia di San Gimignano per capire in che stato di forma è il grande bianco di Toscana e poi un salto a Montepulciano per capire se la crisi (anche nel nome) del piccolo sangiovese sia terminata e poi chiusura ancora a Firenze dove le piccole denominazioni che rispondono al nome di "Altra Toscana" riusciranno nel calendario a non far sentire la mancanza di sua maestà Brunello che ha deciso di fare passo.
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