30 MAR 2025
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Il Mugello, la Tav, la Val di Susa e molto altro. Intervista con Simona Baldanzi...

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Il Mugello, la Tav, la Val di Susa e molto altro. Intervista con Simona Baldanzi... Il Mugello, la Tav, la Val di Susa e molto altro. Intervista con Simona Baldanzi... © n.c.
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Simona Baldanzi è una mugellana doc, una scrittrice impegnata nata e cresciuta nel nostro verde Mugello, terra fiorente e ferita come lei stessa testimonia nel suo ultimo libro “Mugello sottosopra. Tute arancioni nei cantieri delle grandi opere.”, un libro-denuncia, come è stato definito, che non solo riporta alla luce la vita e le storie di quegli operai ‘invisibili’, quei minatori che alle grandi opere lavorano ogni giorno sotto il nostro sguardo indifferente, ma che inoltre documenta a fondo l’impatto ambientale e sociale che queste grandi opere come Tav (Treno ad Alta Velocità) e Vav (Variante Autostradale di Valico) provocano alle nostre terre, al nostro Mugello.

Il libro-inchiesta di Simona, che da novembre è in giro di presentazione per l’intero stivale, risulta quantomai attuale in questi tempi di lotte No-Tav in Val di Susa, in questi tempi di processi per i tre operai morti nel 2008 su un cantiere dell’A1, in questi tempi di nuovi dibattiti che si accendono sull’area di servizio di Bellosguardo, la più grande d’Europa si dice, che si costruirà a breve colmando di detriti proprio una delle nostre belle colline tra il casello di Barberino e quello di Calenzano.

Il libro della Baldanzi evidentemente affronta questioni talmente critiche e spinose che spesso si preferirebbe tacerle, ma proprio per questo, invece, ci sembra necessario dar loro lo spazio che meritano. L’ultimo capitolo di questa interessante ricerca comincia proprio così:

“Questo è un libro aperto e non finisce qui. Ogni volta che ho provato a chiuderlo, succedeva un altro fatto che scuoteva tutto e c’era da respirare forte, imprecare piano, non farsi prendere dalla tentazione di abbandonare tutto e mettersi ad aggiornarlo. Cercare di renderlo “completo” è impossibile, perché questa storia non ha fine. Non hanno fine le grandi opere, non hanno fine le migrazioni per lavoro, non hanno fine i danni ambientali e le morti sul lavoro.”

Ed è a partire da queste parole che vogliamo riaprire nuovamente questo capitolo e fare quattro chiacchere direttamente con l’autrice.

 1.  Prima di tutto, potresti brevemente spiegarci chi sono le tute arancioni del titolo, che ruolo rivestono nei cantieri delle grandi opere e in cosa consiste il loro lavoro?

Le tute arancioni vanno distinte subito dalle tute blu. La tuta blu ha avuto tutta un’altra storia sociale rispetto alla tuta arancione. Non è un caso che ci sia molta più narrazione e studi sulla classe operaia di fabbrica, rispetto a tutto il resto dei lavoratori manuali. Il luogo di lavoro è centrale. Il cantiere non è la fabbrica. La tuta arancione è un trasfertista, gira l’Italia, il mondo. Non tesse dunque molti legami né col territorio né con gli altri colleghi. Questo ostacola il creare appartenenza, comunità. La tuta blu fuori dalla fabbrica ha una vita sociale legata al territorio e agli affetti. L’operaio delle grandi opere è uno sradicato, spesso proviene dal Sud Italia, di mestiere fa il minatore, il carpentiere, il lancista (quello che spara il cemento al fronte della galleria), è un operaio edile, ma per lo più specializzato in una fase di lavorazione.”


 2.  Qual è stata e qual è tuttora la relazione che lega questi lavoratori alla terra e alla società del Mugello?

 “Ospiti un po’ ingombranti e invisibili. Stanno nei campi base e questo un po’ li isola, un po’ evita al territorio il doversi sobbarcare di servizi che invece sarebbero necessari se una tale popolazione si stabilisse con le famiglie (basti pensare a case, scuole, altri servizi).  Dopo il fallimento dell’osservatorio sociale del Mugelllo con la TAV, non si è provato a tessere nuove relazioni. Anche il rapporto avviato fra comunità montana del Mugello e quella crotonese sancita dal monumento ai caduti sul lavoro fatto a Pagliarelle (KR) con la Pietra Serena di Firenzuola, non ha poi avuto molto seguito.” 

 3.  Per quanto riguarda le grandi opere ancora in corso, invece, qual è l’impatto previsto sul nostro territorio?

 “Sulle previsioni non saprei e non mi fiderei, considerando quello che ogni volta viene detto e poi smentito dai fatti. Alcuni effetti, di nuovo, sono già evidenti. Con la Variante di Valico, un comune dell’Emilia sta franando e la galleria si sta spostando di molti centimetri, ma i lavori non si fermano. Si fanno molte prescrizioni e poi non si rispettano. Bellosguardo sta già creando problemi e anche guardando come stanno costruendo il campo base, mi pare non si sia imparato granché. Le baracche sono completamente di lamiera, ci si acceca solo guardandole, non so come ci si possa stare dentro d’estate e sono su due piani, che per lavoratori a turni, sono le peggio perché quando uno dorme, l’altro dovrebbe riposare. Inoltre l’acqua attraversata dai lavori va a finire nel Bilancino, ma pare una preoccupazione di pochi.” 

4.  E come reagisce la popolazione mugellana a queste problematiche?

 “C’è poco movimento, poca contestazione, anche poca conoscenza e informazione. Il Mugello, di fatto e complessivamente, sta accettando di tutto.

5.  A Febbraio hai fatto una presentazione di Mugello sottosopra proprio qui in Mugello, a Barberino. Qual è stata la reazione dei mugellani in quell’occasione?

 “C’è stata partecipazione anche se ostacolata dal gelo e dalla neve di quei giorni. Interessano soprattutto le storie e la vita di questi lavoratori. Sicuramente ha colpito il lato umano del testo. Il Mugello ha ancora tanto da elaborare su come vive queste grandi opere, sulle informazioni che riceve, su questo mondo di lavoro di cantiere che sta sempre ai margini.” 

 6.  Il tuo libro-denuncia può essere paragonato a certe contestazioni che si stanno portando avanti da tempo in Val di Susa. Quali sono a tuo avviso le analogie e le differenze tra i lavori che riguardano quelle zone e quelli che si stanno facendo in Mugello?

 “Il progetto TAV riguarda tutta Italia e anche oltre confine e le implicazioni dovrebbero toccare tutti, compresi quei territori che non l’attraversano. La TAV infatti in Italia è una T che si ferma a Napoli. Tempo fa lessi un intervento di Scalfari su Repubblica che si stupiva di come gli studenti Calabresi fossero i più convinti No Tav sparsi per L’Italia e si chiedeva il perché. Secondo lui si dovevano occupare di altre disgrazie legate alle loro terre. Quei disagi delle loro terre non sono scollegati alla TAV: intanto tanta umanità emigra dalle loro terre proprio per fare il TAV, quando a loro mancano strade, ospedali, scuole, treni. E poi se c’è questa crisi, se i soldi non bastano, se l’Italia cade e pezzi, se si investe sul TAV non è un di più, bisogna rinunciare al resto. E il resto sono opere piccole che potrebbero evitare alluvioni, devastazioni, infiltrazioni mafiose e la maggior parte di queste toccherebbero al Meridione. L’essere notav non vuole dire essere contro il treno. I treni dei pendolari stanno diminuendo e peggiorando, hanno tagliato i treni notturni, proprio quelli così preziosi per collegare il Sud e il Nord. Questi e altri temi sono sul piatto, quando si parla di TAV in tutta Italia.” 

 

 7.  E quali analogie e differenze vedi, invece, tra le lotte che si stanno portando avanti in quella valle e quelle mugellane?

 “Per rispondere, bisogna ricordare che proprio nella circoscrizione del Mugello hanno candidato Di Pietro nei DS, si è sdoganato un uomo di destra, facendolo votare, con un plebiscito, dalla sinistra. In Mugello ci sono elettori devoti, forse legati alla vecchia concezione del PCI, dove il partito non sbaglia mai e gli si da una fiducia incondizionata. Da lì ho pensato spesso che il Mugello fosse un laboratorio, un territorio cavia, dove si può sperimentare cosa gli elettori a sinistra sono capaci di sopportare. Per la TAV, all’inizio si era creato un embrione NOTAV, ero giovane, ma lo ricordo bene. Erano le mie prime manifestazioni sul territorio. La storia è nota. I consigli comunali erano tutti contrari (tranne Firenzuola) e pure i sindaci. Poi questi si recarono a Roma con Chiti, l’allora presidente della Regione Toscana, e pur non avendo mandato dai consigli comunali, firmarono per il sì. Questo è un grave atto per la democrazia, ma il Mugello ha digerito anche quello. Ora stanno costruendo la mega area di sosta di Bellosguardo. L’utilità? L’interesse generale? Sicuramente il vantaggio è di chi fa i lavori perchè creando l’area di sosta si evita di pagare una discarica. E il Mugello tace. In Val di Susa sono venti anni che si stanno documentando, che si informano, si riuniscono, hanno creato un movimento che ha coinvolto molte e diverse realtà, compresi amministratori che non mollano. Per certi versi ricorda il Social Forum, ma ha una vita più lunga e sono anche più preparati. Chi crede che sia solo un movimento legato ad un localismo si sbaglia: difendono la Valle, ma anche i beni comuni come l’acqua, il lavoro, i diritti. Ha una visione d’insieme complessa, collegamenti con realtà di tutta Italia compresa la sicurezza sui treni e l’associazione “29 Giugno” sulla strage di Viareggio, per questo è così temuto e anche così resistente.

8.  Dopo le molte presentazioni del libro che hai fatto a giro per l’Italia, come ti sembra sia stata la ricezione e il dibattito su questi temi da parte del pubblico? In quali zone hai sentito maggiore partecipazione?

A volte ci sono stati timori a invitarmi. Che piega prenderà il dibattito con questa attenzione sulla Val di Susa? Poi in realtà la gente vuole sapere. I cantieri sono un mondo inaccessibile e in molti si chiedono come vivono quei lavoratori, da dove vengono, quali sono le loro storie.  C’è la crisi e c’è fame di lavoro, eppure non si smette di difendere diritti e dignità. Insomma c’è una parte del paese che non vorrebbe sottostare al ricatto “tutto purché ci facciano lavorare” come spesso la grande opera promette.

 9.  Credi che, in un momento tanto critico per l’Italia come questo, desti interesse raccontare queste spinose realtà? Credi che sia stato utile questo tuo duro lavoro di ricerca e denuncia?

È un mondo del lavoro poco raccontato, quello dei cantieri. Sui minatori, dopo Orwell e Cassola e Biancardi non è stato scritto poi molto, quindi in un certo senso ho cercato di colmare un vuoto. Spesso mi sono interrogata - e continuo a farlo-  sull’utilità di raccontare certe storie e il momento più duro è stata la morte di Pietro Mirabelli, un grande amico, oltre che minatore calabrese e attivista sindacale. È morto in galleria in Svizzera, nei cantieri Alptransit, dopo essere fuggito dall’Italia, deluso da tutto. Mi sono ricordata le sue stesse parole: “Questa non è la mia storia, è la storia di tutti quelli che fanno la vita che faccio io”. Lui era instancabile nel raccontarsi.  Non riuscirò mai a farlo come faceva lui, io non so cosa vuole dire fino in fondo fare quella vita lì. Ho sentito molto bene la difficoltà di raccontare quel lavoro, c’è un limite, che Richard Sennet ha chiamato nel suo saggio sull’uomo artigiano, “l’intelligenza mutilata”. Ecco, è il limite di noi intellettuali, che non sappiamo descrivere fino in fondo il lavoro manuale, non ne cogliamo in pieno tutto il linguaggio e le implicazioni. Bisognerebbe essere più umili e aver presente questa difficoltà, quando si vanno a rappresentare certe categorie, quando si parla o si vuole difendere il lavoro e i suoi diritti.
(Caterina Suggelli)

 

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