
“La gente gira e le montagne stanno ferme”: questa è solo una delle tante lapidarie e simpatiche massime con cui spesso saluta i suoi avventori Natalina Recati, storica proprietaria dell’Osteria da Nandone all’Omomorto di Scarperia, sempre pronta ad accogliere e chiaccherare con ogni ‘forestiero’ che si fermi a fare merenda alla sua bottega. E non è solo un modo di dire il suo, ma proprio un modo di stare al mondo: Natalina infatti non si è mai allontanata da queste pendici d’Appenino dov’è nata. È sempre rimasta qui, ferma come queste montagne dov’è cresciuta lavorando in questa osteria, che fin dal 1908 offre riparo e ristoro a chiunque si trovi a passare sulla via del Giogo: turisti e commercianti, mugellani e forestieri, gente comune e gente ‘importante’. Questa piccola osteria è stata ed è tuttora un frequentato crocevia di vite e di mondi, dove il vecchio mondo rurale ed essenzialmente mugellano della prima metà del secolo scorso, fatto di contadini, coltellinai e commercianti, incontra il nuovo mondo globalizzato del Mugello moderno, fatto anche di turismo internazionale, outlet, autodromo e grandi VIP. Così, anche se Natalina è sempre rimasta qui sulle sue montagne, in tanti anni di lavoro ne ha vista passare in quantità di ‘gente che gira’ e che si è fermata da lei, magari per un caffé, un pranzo o una notte di riposo. Nei primi anni ’70, però, Natalina ha visto bussare alla sua porta chi non si sarebbe mai immaginata potesse arrivare proprio qui, e oltretutto con la richiesta più assurda che le fosse mai capitato di sentire in tutta la sua vita: alla porta di vetro della sua osteria, infatti, si presentò un giovane Al Pacino che voleva ‘girare’ proprio lì all’Omomorto! Proprio così, si tratta di alcune scene del film del 1977 “Un attimo, una vita” di Sidney Pollack, che adesso, grazie all’immortalità che regala il cinema, anche chi non sapeva e ancor più chi neanche immaginava, potrà godersi e stupirsi della malinconica scena in cui il carismatico attore hollywoodiano, che nel film interpreta Bobby Deerfield, un famoso pilota di Formula 1, sfreccia su per queste curve del nostro Appennino a bordo della sua Alfa Romeo Alfetta GT, accanto ad una donna con la testa avvolta da un foulard rosso, la sua donna fiorentina che, gravemente ammalata, sta accompagnando nel suo ultimo viaggio verso la Svizzera, tra baci e allontanamenti, romanticismo e tragedia.
A molti sembrerà incredibile pensare che, già trentacinque anni fa, la settima arte statunitense avesse scelto proprio il nostro Mugello come set cinematografico, svelandone così il grande potenziale paesaggistico, così come altrettanto incredibile dev’essere sembrato a Natalina ritrovarsi al centro di un movimentato set hollywoodiano in quei lontani anni ’70... Nei suoi ricordi, infatti, il racconto di quella giornata di ‘ciak’ si allontana non poco dai fantastici sogni hollywoodiani e prende i toni del documentario da ‘dietro le quinte’ che ci riporta con i piedi in terra nella nostra realtà quotidiana, ripresa attraverso il suo sagace punto di vista e pennellata dalle sue proverbiali massime: “Le vedi quelle foto là, dietro la macchina del caffè? Sono le foto del film che hanno girato qui, quello con l’attore americano, Al Pacino. Sarà stato intorno al ’73 più o meno, me lo ricordo perché avevo ancora i ragazzi piccini. Me lo ricordo bene, come se fosse ora: era un giovedì, tornavo da Scarperia e mia suocera mi disse che erano venute due persone che parlavano straniero e che volevano girare un film. Ma io mica pensavo che lo facessero proprio quel sabato lì e che portassero una confusione del genere! Fu una giornata incredibile quella, ci invasero! La mattina presto arrivò sù una carovana di persone, tutte con i macchinoni e le roulotte. Chiusero perfino la strada per fare il film! Noi bisognava stare tutti zitti in casa, fermi, con tutte le finestre chiuse. E dare una mano per quel che c’era bisogno. Mi dissero che doveva sembrare un paesino svizzero qui e allora improvvisarono una staccionata di là dalla strada, con la legna che aveva appena accatastato mio marito. Sistemarono tutti i tavolini della bottega, con le sedie, lì dove si parcheggiano le macchine. Poi iniziarono le riprese. Gli attori stettero tutto il giorno chiusi dentro quella roulotte, non uscivano mai se non per girare le scene. Ma c’è da dire che per fare una ripresa, Al Pacino l’avrà fatta non so quante volte quella strada in sù e in giù con la macchina! Poi, immaginati che nel parcheggio dietro la bottega la mattina avevano montato un tendone con la cucina da campo, perché si preparavano tutto da sé, mi dissero. Per pranzo fu facile, presero solo un thè quegli attori... Pensa te, ce l’ho ancora la tazza marrone di Al Pacino! E la sera per cena, invece, avevano una montagna di meloni: li presero e li tagliarono tutti a metà, li svuotarono dei semi e li riempirono con il vino porto; poi li mangiarono con il cucchiaino... Se era una cena, quella! Mi ricordo che, il giorno dopo, quel popone mi toccò darglielo tutto alle galline, sai, perché rimase tutto lì. Vennero a prendere i panini da noi per mangiare qualcosa! E alla fine dei conti, tutto questo trambusto per cinque minuti di riprese del film!” Cosa ribattere, dunque, alla nostra pratica e simpatica Natalina che, nella semplice vita dei suoi monti, un bel giorno si è vista ‘invasa’ dalla confusione e dall’artificioso sfarzo di una troupe hollywoodiana di cui non immaginava neanche lontanamente le dinamiche?! I suoi racconti, del resto, oltre a strappare sempre un sorriso e restare impressi nella memoria, mettono in risalto le contraddizioni e le distanze che persistono tra i diversi mondi che sono passati e che passano dalla sua bottega. Mondi lontani nel tempo, nello spazio e nella cultura, ma che s’incrociano e s’incontrano davanti a una buona tavola imbandita a cui nessuno sa resistere. E infine, come negarlo, saperci nonostante tutto dentro un film con Al Pacino, ci riempie sempre di sano orgoglio mugellano!