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Buriano, il borgo che muore due volte: storia di un luogo sospeso tra sogno e abbandono

Tra le colline volterrane, un paese che ha conosciuto splendori e cadute. Dall'antica fattoria medievale ai progetti avanguardistici mai realizzati...

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Buriano Buriano © Tommaso Tucci
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Un luogo che muore due volte, che storia sarai mai questa? Sicuramente un realtà dove si sarà affacciata un’ampia fetta di vita e dalla quale saranno transitati un po’ di sogni. Il nome è Buriano, ameno luogo perso nel verde delle colline volterrane. Ma perso davvero, perché i mezzi tecnologici a nostra disposizione non ci sono d’aiuto nell’individuarlo. Superate le inaspettate asperità, ad attenderci ci sono due colonne che, vetuste sentinelle, sanciscono l’ingresso al paese. Subito ci imbattiamo in un palazzone isolato, il sottofondo è un tripudio di porte che cigolano e sbattono, che rimandano ad atmosfere da film horror di serie cadetta.

Il borgo è segnalato come proprietà privata, ma la spinta della curiosità surclassa il timore di qualsivoglia rischio, e ignorare il divieto vibra come una liberazione. Un grazioso vialetto punteggiato da cipressi da ambo i lati conduce alla parte più antica di un paese che affonda le sue radici nell’alto medioevo. Dell’ inaccessibile chiesa dedicata a San Niccolò si hanno notizie documentate già dal 1200, ma è dal secolo successivo che il luogo inizia ad assumere le forme attuali con l’avvento della famiglia volterrana degli Incontri, che trasformerà Buriano in una grande fattoria. 

Il luogo rapisce istantaneamente gli occhi: il senso di abbandono è mitigato da alcuni edifici tutto sommato ben conservati. Si alternano loggiati, residui di affreschi, infissi divelti, scalinate che finiscono nel nulla, e si fa ammirare anche un piccolo cimitero al di là di un cancello allucchettato. I graffiti invece hanno origine ben più recente. La sensazione che tutto andrà inesorabilmente e verticalmente a peggiorare assume i connotati di un’amara constatazione.

Su quasi tutte le facciate si staglia un duplice stemma: sono i segni delle famiglie che hanno posseduto il borgo nei secoli; i prima menzionati Incontri e la casata francese dei Rochefort, che acquistò la fattoria nei primi anni dell’ ‘800. Da questo passaggio di consegne nacque la villa Incontri-Rochefort che troneggia nella parte conclusiva del poggio sul quale si erge il paese. Una struttura che presenta al suo interno ben 73 stanze e che rappresenta la summa della storia di questo borgo dimenticato. Sotto l’egida francese dei Rochefort, Buriano conobbe il periodo di massimo splendore. Nel 1931 risposero alla conta ben 457 abitanti: numeri sorprendenti per un paese così piccolo, numeri che giustificarono la creazione di una scuola. 

L’ingresso nella struttura non è possibile ma lo splendido porticato di accesso è ancora integro. Al suo fianco un cortile, lungo il quale immaginiamo scorrazzassero orde di infanti. Un albero solitario qui spicca tra gli edifici diruti, ultimo baluardo in fiore di briose giornate delle quali non si avverte più neppure l’eco. Una targa sulla facciata di un abitazione, sbiadita dagli agenti del tempo, porta la firma di Pietro Emilio di Rochefort: “Burianesi cari figlioli miei, da voi sono chiamato il buon babbo, davvero esser lo voglio e perciò intendo che mangiate ognuno in tutte le feste dell’anno il pollo grasso ed anche il coniglio condito col lardo fresco del vostro maialino”. Il cuore intiepidito un po’ si scalda al pensiero del legame tra il nobile e gli abitanti testimoniato da queste sentite righe.

Ma Buriano, come altri paesi confinati in lande lontane da un popolamento urbano sempre più frenetico, soffrì tremendamente le ripercussioni del boom economico e dagli anni ‘60, inesorabilmente, inizia a svuotarsi. Nel 1981 conta solamente 12 abitanti. Ma prima di accasciarsi su se stesso questo paese ha conosciuto dei sussulti vitali rimarchevoli. Dal 1986 la fattoria fu trasformata in un agriturismo all’avanguardia, incentrato sulla cucina di qualità: roba che 40 anni fa era puro futurismo. Il progetto si protrasse con fortune alterne per circa 10 anni ma le inerzie della crisi della società rurale non lasciarono scampo: l’abbandono delle vicine miniere di ferro ed il congenito l’isolamento fecero il resto. Da metà anni novanta Buriano diventa un luogo totalmente disabitato. Nessuno poteva immaginarsi che questo posto potesse conoscere la stessa amara esperienza una seconda volta.

Era il 1996 quando piomba sul borgo un facoltoso medico svizzero: Urs Benz. L’elvetico si innamora di queste colline e mette sul piatto ben 20 miliardi delle vecchie lire per un altro progetto con finestre spalancate sul futuro: la creazione di una grande beauty farm immersa nel verde, pronta ad accogliere chiunque volesse rigenerarsi al silenzio di questa vallata. La cosa sembrava presentare unicamente benefici: creazione di decine di posti di lavoro, un rilancio per la vita e per l’economia del borgo. Ma lo svizzero non aveva considerato un’antagonista forse poco conosciuto alle sue latitudini: la burocrazia. Quella roba che rallenta, snerva e finisce per far ricacciare verso il mittente anche i progetti ed i sogni più ambiziosi e visionari. L’illusione durò a malapena due anni, l’ultimo sussulto del malato terminale cozzò contro la soprintendenza che impedì al progetto di decollare. Buriano si spegne ancora, questa volta pare definitivamente.

Non è bastato la strenua lotta per la sopravvivenza, il provare a riformarsi dalle sue stesse ceneri, non sono bastati i piani di rilancio ed i progetti avanguardistici. Adesso rimane lo scorrere impietoso del tempo a gravare come una mannaia su quel che rimane di questo paese, storicamente ed ostinatamente in bilico tra morte e rinascita.Il borgo è ancora oggi in mano alla società di Benz che non è riuscita a trovare acquirenti che potessero dare continuità ai sogni del medico. Qualcuno sostiene che lo svizzero si riaffacci da queste parti sempre più frequentemente. A fare cosa non è dato sapersi ma immaginare che il medico stia progettando l’ennesimo rilancio e che un altro rigurgito di vita possa investire questo paese è un pensiero luminoso che possiamo concederci. Ed in fondo è il tratto peculiare di un luogo che di morire non ne vuole affatto sapere.

Proprio come il più ostinato dei sogni.

 

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