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Luigi D’Elia e l'intima trasposizione di "La luna e i falò" sul palco del Corsini di Barberino

Al Corsini di Barberino lo spettacolo tratto da Cesare Pavese, "La luna e i falò – il tempo non muore, il cerchio non è tondo"...

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Uno scatto con il protagonista Luigi d’ Elia Uno scatto con il protagonista Luigi d’ Elia © Massimiliano Miniati
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È come un fermo immagine, in platea al Corsini non si sente una parola, un colpo di tosse (di questi tempi raro) non si percepisce un movimento e non si vedono le luci dei cellulari. Tutti ipnotizzati dal racconto delle vite di Anguilla, Nuto e Cinto i personaggi de “la luna e i falò” che l’eccezionale Luigi d’ Elia ha riadattato dal Romanzo di Cesare Pavese.

Nonostante in scena ci sia solo una sedia, D’Elia riesce a creare con il racconto le immagini di un paese diviso dalla guerra dove la terra fa riaffiorare i cadaveri dei soldati o dei partigiani.

Interpreta tutti i personaggi, e nonostante non cambi d’aspetto, riesce a farti visualizzare distintamente gli interpreti di questa storia dando l’impressione di raccontarla solo a te.

Anguilla (emigrato in USA) torna al paese dove è nato, anche se non sa dove è nato, ma è li che ha vissuto da bambino e mentre tutto il paese gli propone terre da comprare e ragazze da sposare, reincontra Nuto amico (e complice) delle scorribande di ragazzini.

Quando decide di tornare a vedere la casa dove ha vissuto, conosce Cinto, ragazzino storpio e maltrattato dal padre, ed è qua che il pubblico comincia a vivere la nuova tenerissima amicizia, mentre altri personaggi si affacciano in scena quel tanto che basta per rendere più varia la storia, ma senza invadenza.

Il vecchio Berta, le sorelle ricche figlie di sor Matteo, Irene e Silvia, gli avventori del bar che parlano di politica per questa storia dove ad un certo punto, il beniamino del pubblico diventa Cinto che si ribella ai soprusi del padre adottivo perché anche lui è stato preso in orfanatrofio (come il protagonista) solo per lo scudo d’argento che il comune passava alla famiglia per il mantenimento, e mentre la casa brucia tutto il pubblico prova un motto di soddisfazione e di vendetta.

Cinto diventa il giovane amico, quasi un figlio, per il protagonista e per Luigi d’Elia che regala alla storia un finale modificato che, invece di lasciare Cinto per sempre al paese, lo vede vecchio, in camper ad aiutare le famiglie messicane ad attraversa il confine degli stati uniti.

Lo spettacolo è bello, molto bello e Luigi d’Elia riesce a creare con gli spettatori un rapporto quasi intimo, non interpretando, ma raccontando una storia in fondo molto tenera anche per rendere omaggio a Cesare Pavese che pubblicò questo romanzo nel 1950 e che, se ieri sera fosse stato seduto in platea al Corsini probabilmente sarebbe stato ammirato da questa grande versione delle sue parole.

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